Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14470

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 5/10 – 12/10/07 la Corte d’appello di Firenze – sezione lavoro ha rigettato l’impugnazione proposta da S. R. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Prato, che gli aveva respinto la domanda diretta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli il 30/5/03 dalla XXX della Misericordia di (OMISSIS), alla cui dipendenza egli aveva lavorato come responsabile del servizio di onoranze funebri.
La Corte territoriale è pervenuta a tale decisione dopo aver rilevato che l’addebito disciplinare posto a base del licenziamento ed atto a giustificarlo per la sua obiettiva gravità non era rappresentato da un presunto danneggiamento di alcune imprese fornitrici dell’XXX, bensì dalla ripetuta ed ingiustificata richiesta a queste ultime imprese, cioè la "XXX" e la "XXX s.a.s", di somme di denaro, la qual cosa aveva trovato puntuale riscontro nelle concordanti ed univoche deposizioni testimoniali.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il S., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso l’intimata XXX.
Entrambe e parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 1375 c.c., oltre che dell’art. 33, comma 7, del ccnl di riferimento, dolendosi del fatto che nel periodo di tempo trascorso tra la consegna dei suoi scritti difensivi del 29/4/03 e la sua audizione, avvenuta il 10/5/03, la XXX XXX di (OMISSIS) avrebbe potuto agevolmente verificare nell’immediatezza i fatti, attraverso riscontri di pronta esecuzione non impegnativi per l’azienda e non lesivi della sua immagine, il tutto in ossequio ai principi di correttezza e buona fede che devono animare il potere disciplinare; che gli atti di ostruzionismo commerciale ed i comportamenti ricattatori contestatigli sulla base delle segnalazioni delle stesse imprese che l’avevano accusato di essere state da lui danneggiate, vale a dire la "XXX" e la "XXX", non erano a lui imputabili in quanto insussistenti.
Nel contempo, il S. si duole dell’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, vale a dire circa la asserita irrilevanza della eccepita non imputabilità alla sua persona dei comportamenti ostruzionistici dei quali era stato accusato dalle imprese "XXX s.a.s." e "XXX XXX".
2. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè dell’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In particolare, il S. pone in dubbio la corretta applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 adducendo che la Corte di merito ha limitato l’oggetto dell’accertamento alla sola contestazione della richiesta di denaro che egli avrebbe rivolto alla "XXX, s.a.s." ed alla "XXX XXX", anzichè valutare la fondatezza degli addebiti mossigli nella loro completezza e nel contesto accusatorio desumibile dalla nota d’addebito disciplinare del 24/4/2003.
Nel contempo, il ricorrente censura la sentenza per non avere la Corte fiorentina motivato compiutamente la propria decisione nella parte in cui afferma che l’istruttoria aveva confermato gli addebiti mossigli, limitando, poi, l’esame degli stessi alla sola richiesta di denaro rivolta alle due società fornitrici di cui sopra. Osserva la Corte che entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente essendo unitaria la questione ad essi sottesa, seppur affrontata sotto il duplice aspetto della dedotta violazione di norme di diritto e del vizio di motivazione.
Il ricorso è infondato.
Infatti, il fulcro della decisione della Corte d’appello di ritenere giustificato il licenziamento del S., quale responsabile del servizio di onoranze funebri alle dipendenze dell’XXX della Misericordia di (OMISSIS), vale a dire la riscontrata obiettiva gravità dei provati episodi delle illecite richieste di denaro rivolte da quest’ultimo alla "XXX s.a.s" (fornitrice di prodotti di arte funeraria) ed alla "XXX" (società di cremazione) sotto forma di percentuali sui servizi che a dette aziende erano stati procurati dalla datrice di lavoro, non risulta in alcun modo intaccato dalle odierne censure.
D’altra parte è la stessa Corte d’appello di Firenze ad evidenziare che, attraverso la sua impugnazione, il S. aveva trascurato la circostanza per la quale l’addebito mossogli, atto ad integrare la giusta causa di recesso, non era quello di aver danneggiato alcune imprese fornitrici, ma l’aver chiesto ripetutamente delle percentuali in denaro alle predette imprese, così come comprovato all’esito dell’istruttoria compiuta.
Orbene, anche nel presente giudizio il S. omette di affrontare la specifica ragione, appena menzionata, per la quale la Corte territoriale ha ritenuto di poter confermare la legittimità del licenziamento irrogatogli, limitando le sue censure, da un lato, ad una supposta inosservanza, da parte della datrice di lavoro, delle regole di correttezza, di buona fede e di immediatezza nell’attuazione del procedimento disciplinare, formulando, in tal modo, una inammissibile rivisitazione del merito istruttorio non consentita nel giudizio di legittimità, e dall’altro, accusando la Corte d’appello di aver trascurato di esaminare gli altri addebiti disciplinari, senza spiegare in qual modo la loro disamina avrebbe potuto rivelarsi decisiva ai fini del mutamento della sorte del giudizio che è risultata, invece, dipendere esclusivamente dalla riscontrata oggettiva gravità dei summenzionati episodi di illecita pretesa di somme di denaro.
A quest’ultimo riguardo è il caso di ricordare che sui fatti non oggetto di disamina da parte della Corte di merito non può appuntarsi la denunzia di vizio motivazionale, in quanto per potersi configurare un tale vizio su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base.
In sostanza, il S. non spiega in che modo e per quale ragione la disamina degli altri addebiti disciplinari avrebbe potuto evitare il giudizio di legittimità del licenziamento, fondato sul carattere dirimente conferito ai comprovati episodi di illecita richiesta di percentuali in denaro alle aziende alle quali la datrice di lavoro aveva attribuito determinati servizi.
Oltretutto, in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), (in tal senso v. anche Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006 e n. 15355 del 9/8/04).
Nella fattispecie, la Corte d’appello ha attentamente valutato con argomentazioni logiche e ben motivate in ordine ai riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, il materiale istruttorio raccolto inerente gli episodi disciplinari atti a legittimare il recesso datoriale, per cui le doglianze appena riferite non incidono sulla validità della "ratio decidendi" posta a fondamento dell’impugnata decisione.
Il ricorso va, perciò, rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario, oltre Euro 40,00 per esborsi, nonchè IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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