Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14469

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Svolgimento del processo
Con sentenza n. 18973/2006 il giudice del lavoro di Roma accolse parzialmente la domanda proposta da B.R. diretta all’impugnativa del licenziamento intimatole il 27/3/03 dalla XXX soc. XXX. a r.l. in conseguenza della perdita dell’appalto e, ritenuta la legittimità dell’atto di recesso, condannò la società convenuta al solo pagamento delle differenze retributive nella misura di Euro 1312,00. A seguito di gravame proposto dalla lavoratrice, con sentenza del 30/11/09 -19/4/10 la Corte d’appello di Roma – sezione lavoro ha accolto l’impugnazione ed ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, ordinando all’appellata di reintegrare la B. nel posto di lavoro e condannandola al risarcimento del danno pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre la somma di Euro 3318,31, gli accessori di legge e le spese del grado, con conferma nel resto dell’impugnata decisione.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha rilevato che la parte datoriale non aveva fornito alcun elemento utile per escludere che in altri appalti in corso al momento del licenziamento vi fosse la possibilità di reimpiegare utilmente la ricorrente, atteso che quest’ultima non aveva lavorato esclusivamente nell’ambito dell’appalto della Liquigas s.p.a già cessato. Inoltre, tenuto conto dei conteggi elaborati in base al livello posseduto e dell’incontestato orario di lavoro svolto spettavano alla B. le differenze retributive nella misura rivendicata.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la soc. XXX La XXX che affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso B.R..
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, degli artt. 3 e 5 degli artt. 2727 e 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c., nonchè l’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Sostiene la difesa della società che la Corte d’appello è incorsa in errore nel pretendere che fornisse, ai fini della legittimità del licenziamento, la prova del reimpiego della B., dal momento che il licenziamento per motivo oggettivo, determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, è scelta riservata all’imprenditore e non sindacabile dal giudice, quanto ai profili della sua congruità ed opportunità, allorquando non è simulata o pretestuosa. Pertanto, l’affermazione della Corte di merito, secondo la quale la società avrebbe dovuto dimostrare non la effettività della cessazione dell’appalto che aveva consentito l’impiego della lavoratrice, bensì la ragione per la quale il rapporto di lavoro con quest’ultima non era proseguito presso l’impresa con la quale in precedenza era stato contratto un appalto, violava la L. n. 604 del 1966, art. 3 in quanto costituiva una inammissibile ingerenza del giudice nelle scelte aziendali. La ricorrente adduce, altresì, che sarebbe stato onere della lavoratrice non solo quello di allegare l’esistenza della possibilità di una sua diversa collocazione in azienda, ma anche quello di precisare, attraverso l’articolazione dei relativi mezzi di prova, in quale posto scoperto ciò poteva avvenire. La ricorrente contesta, infine, che l’esistenza di altri appalti dimostrasse la possibilità di reimpiego della B., trattandosi, al contrario, solo di mera presunzione, inidonea a giustificare il convincimento sulla base del quale la Corte di merito aveva motivato la propria decisione di accoglimento della domanda della lavoratrice; nel contempo, la ricorrente si duole dell’omessa disamina dell’eccezione di "aliunde perceptum" formulata in primo grado e ribadita con la memoria di cui all’art. 436 c.p.c..
Il motivo è infondato.
Invero, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e di assolvimento dell’onere probatorio circa la impossibilità di reimpiego del lavoratore questa Corte ha di recente avuto modo di precisare (Cass. sez. lav. n. 19616 del 26/9/2011) che "il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, L. 15 luglio 1996, n. 604, ex art. 3 è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha quindi il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale. (Nella specie, la corte territoriale aveva ritenuto non raggiunta la prova della soppressione del posto di responsabile di laboratorio, emergendo solo una diversa distribuzione delle mansioni in forza di una revisione del pregresso assetto organizzativo; la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha rigettato il ricorso)." Per quel che concerne in particolare il licenziamento determinato da ragioni organizzative dell’impresa, si è ancor più di recente statuito (Cass. Sez. Lav. n. 7474 del 14/05/2012) che "in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto. (Nella specie, il recesso era stato motivato sul presupposto della soppressione del posto cui era addetta la lavoratrice, le cui mansioni erano però state assegnate ad altra dipendente, assunta con contratto a termine per più volte, ed avente diverso inquadramento; la S.C., nell’escludere l’effettività delle ragioni indicate dal datore in ragione dell’identità delle mansioni delle lavoratrici, ha ritenuto l’illegittimità del recesso)".
Orbene, calando tali principi nella fattispecie in esame può affermarsi che la Corte d’appello ne ha fatto corretta applicazione, dal momento che, con motivazione congrua ed immune da vizi di natura logico-giuridica, ha verificato l’illegittimità dell’impugnato licenziamento alla stregua delle seguenti considerazioni:- Col ricorso di primo grado la lavoratrice aveva fornito specifiche indicazioni in ordine al fatto di aver svolto la propria prestazione oltre che presso lo stabilimento "Liquigas" a (OMISSIS), anche presso la Caserma di (OMISSIS), nonchè presso l’ACEA a (OMISSIS); inoltre, dai contratti prodotti erano risultati numerosi appalti anche nella città di (OMISSIS) in atto al marzo del 2003 (epoca del licenziamento) e proseguiti successivamente. A fronte di tali dati specifici la parte datoriale non aveva, invece, fornito alcun elemento utile per escludere che in altri appalti in corso al momento del licenziamento vi fosse la possibilità di reimpiegare utilmente la ricorrente ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo posto a base del recesso. Nè va sottaciuto che si è anche avuto modo di statuire che "in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3 se il motivo consiste nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, – in relazione al quale non sono utilizzabili nè il normale criterio della posizione lavorativa da sopprimere, nè il criterio dalla impossibilità di "repechage" – il datore di lavoro deve pur sempre improntare l’individuazione del soggetto (o dei soggetti) da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 cod. civ., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse." (Cass. sez. lav. n. 7046 del 28/3/2011).
2. Col secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio assumendosi che la Corte di merito non avrebbe spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto che fosse generica la contestazione della società in ordine alle allegazioni della lavoratrice riguardanti le pretese differenze retributive, nonostante che essa ricorrente avesse puntualmente contestato i conteggi della controparte in ordine all’invocato superiore inquadramento.
Il motivo è infondato, in quanto la censura proposta è inconferente rispetto alla "ratio decidendi" dell’impugnata sentenza che al riguardo è incentrata sulla precisazione che le differenze retributive erano state pretese dalla lavoratrice non a titolo di superiore inquadramento, mai invocato, bensì per effetto dell’erroneo calcolo delle spettanze dovutegli sulla base del 6^ livello già posseduto e dell’orario lavorativo svolto e non contestato. Non possono, quindi, trovare ingresso in tale sede ulteriori considerazioni di merito concernenti le modalità di calcolo di tali spettanze, oltretutto inammissibili nel giudizio di legittimità.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo, con attribuzione agli avvocati XXX i quali si sono dichiarati antistatari.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per onorario, oltre Euro 40,00 per esborsi, nonchè IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge, con attribuzione ai difensori antistatari, avv.ti XXX.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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