Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 05-06-2013, n. 24485

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con decreto del 22.10.2010 il Tribunale di Reggio Calabria applicò a M.L. la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni 3 con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza e cauzione, ordinando la confisca dei beni indicati nel provvedimento, intestati a M.M..

Avverso tale provvedimento M.L. e la terza interessata M.M. proposero gravame ma la Corte d’appello di Reggio Calabria, con Decreto in data 20 aprile 2012 depositato il 13.7.2012, lo rigettò.

Ricorrono per cassazione, a mezzo dei difensori, M.L. e la terza interessata M.M..

Il difensore di M.L. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione sotto il profilo della mera apparenza in quanto la Corte territoriale si è limitata a richiamare le sentenze penali di cui agli atti vi sono i dispositivi e non le motivazioni; mancherebbe un’autonoma valutazione del giudice della prevenzione;

2. insussistenza della pericolosità sociale qualificata ed inattualità della stessa e mancanza di motivazione sul punto; non risulterebbe l’appartenenza del proposto ad associazioni mafiose e mancherebbe qualsiasi motivazione sull’attualità della pericolosità sociale;

3. violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla durata della misura ed all’applicazione dell’obbligo di soggiorno.

Il difensore della terza interessata M.M. deduce: 1.

violazione di legge in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che il bene dovesse essere ritenuto nella disponibilità del proposto essendo stato acquistato il 3.5.2005 in costanza di convivenza fra M.M. e M.L., cessata il (OMISSIS) allorchè il proposto contrasse matrimonio con T.D., fissando in altro luogo la propria residenza; la lettura della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 3, data dalla Corte di merito non sarebbe corretta alla luce delle modifiche apportate dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 10, comma 1, lett. d), n. 4, convertito con L. 24 luglio 2008, n. 125; tale disposizione ha previsto negozi tipizzati per i quali esiste una presunzione iuris tantum ed un limite temporale di operatività di tale presunzione di due anni antecedenti la proposto di misura; esclusa l’operatività della presunzione i giudici di merito avrebbero dovuto motivare indicando i fatti dai quali desumere che l’intestazione era meramente formale; lo stesso trasferimento della residenza in (OMISSIS) da parte del proposto al momento del matrimonio escluderebbe la disponibilità sostanziale dell’immobile;

2. violazione di legge avendo la ricorrente assolto l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene in questione avendolo acquistato con l’elargizione di 25.000,00 Euro da parte di congiunti;

ciò esclude l’acquisto del bene con proventi illeciti;

3. violazione di legge sotto il profilo della apparenza della motivazione essendosi limitata la Corte di merito a rilevare la mancanza di garanzie circa la restituzione del prestito ricevuto dai parenti, per ipotizzare la provenienza illecita delle somme.

Con memoria depositata il 6.5.2013, i difensori di M. M. hanno svolto ulteriori argomenti a sostegno del ricorso e di replica alla requisitoria del Procuratore generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO Il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti da M. L. sono manifestamente infondati.

La Corte territoriale ha richiamato una sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, in data 4.4.2008, di condanna del proposto per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

La L. n. 575 del 1965, art. 1, che si applica anche ai soggetti indiziati di uno dei reati di cui all’art. 61 c.p., comma 3 bis, fra i quali rientra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

L’attualità della pericolosità va riferita al momento del giudizio di primo grado, mentre mutamenti successivi giustificano la revoca o la modifica della misura (Cass. Sez. 6^ sent. n. 38471 del 13.10.2010 dep. 2.11.2010 Rv. 248797).

Nel caso in esame la pronunzia di primo grado è intervenuta nell’ottobre 2010, a due anni dall’ultima manifestazione di pericolosità (porto di armi clandestine e ricettazione nell’anno 2008).

Il terzo motivo di ricorso proposto da M.L. è manifestamente infondato.

La indicazione della specifica pericolosità e dell’attualità della stessa è idonea a motivare anche la durata della misura di prevenzione e l’applicazione dell’obbligo di soggiorno.

Il primo motivo di ricorso proposto da M.M. è manifestamente infondato e non correlato alla motivazione del provvedimento impugnato.

Questa Corte ha chiarito (ed il Collegio condivide l’assunto) che, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto ne abbia la disponibilità facendoli apparire formalmente come beni nella titolarità delle persone di maggior fiducia, sui quali pertanto grava l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca. (Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 39799 del 20/10/2010 dep. 11/11/2010 Rv. 248845. Fattispecie nella quale sono stati ritenuti conviventi del proposto i fratelli e le cognate del medesimo, i quali, pur non occupando la stessa unità abitativa, coabitavano nello stesso edificio e condividevano con lui una serie di interessi economici ed attività imprenditoriali).

La modifica normativa di cui al D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 10, comma 1, lett. d), n. 4, convenite – con L. 24 luglio 2008, n. 125, pur introducendo presunzioni di negozi fittizi, non ha modificato siffatto orientamento giurisprudenziale.

Nel caso in esame la Corte territoriale ha motivato sulla sproporzione tra le disponibilità economiche della M. (convivente del proposto) rispetto all’acquisto del bene, mentre non vi è era necessità di far dichiarare dal giudice della prevenzione che il negozio era fittizio.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti da M. M. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

La Corte territoriale ha infatti evidenziato la assoluta sproporzione fra i redditi esigui del nucleo familiare ed il valore dell’immobile e la relativa motivazione, congrua, non è sindacabile in questa sede.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuna al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Motivi della decisione

Il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti da M. L. sono manifestamente infondati.

La Corte territoriale ha richiamato una sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, in data 4.4.2008, di condanna del proposto per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

La L. n. 575 del 1965, art. 1, che si applica anche ai soggetti indiziati di uno dei reati di cui all’art. 61 c.p., comma 3 bis, fra i quali rientra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

L’attualità della pericolosità va riferita al momento del giudizio di primo grado, mentre mutamenti successivi giustificano la revoca o la modifica della misura (Cass. Sez. 6^ sent. n. 38471 del 13.10.2010 dep. 2.11.2010 Rv. 248797).

Nel caso in esame la pronunzia di primo grado è intervenuta nell’ottobre 2010, a due anni dall’ultima manifestazione di pericolosità (porto di armi clandestine e ricettazione nell’anno 2008).

Il terzo motivo di ricorso proposto da M.L. è manifestamente infondato.

La indicazione della specifica pericolosità e dell’attualità della stessa è idonea a motivare anche la durata della misura di prevenzione e l’applicazione dell’obbligo di soggiorno.

Il primo motivo di ricorso proposto da M.M. è manifestamente infondato e non correlato alla motivazione del provvedimento impugnato.

Questa Corte ha chiarito (ed il Collegio condivide l’assunto) che, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, il sequestro e la confisca possono avere ad oggetto i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi, dovendosi ritenere che il prevenuto ne abbia la disponibilità facendoli apparire formalmente come beni nella titolarità delle persone di maggior fiducia, sui quali pertanto grava l’onere di dimostrare l’esclusiva disponibilità del bene per sottrarlo alla confisca. (Cass. Sez. 1^, Sentenza n. 39799 del 20/10/2010 dep. 11/11/2010 Rv. 248845. Fattispecie nella quale sono stati ritenuti conviventi del proposto i fratelli e le cognate del medesimo, i quali, pur non occupando la stessa unità abitativa, coabitavano nello stesso edificio e condividevano con lui una serie di interessi economici ed attività imprenditoriali).

La modifica normativa di cui al D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 10, comma 1, lett. d), n. 4, convenite – con L. 24 luglio 2008, n. 125, pur introducendo presunzioni di negozi fittizi, non ha modificato siffatto orientamento giurisprudenziale.

Nel caso in esame la Corte territoriale ha motivato sulla sproporzione tra le disponibilità economiche della M. (convivente del proposto) rispetto all’acquisto del bene, mentre non vi è era necessità di far dichiarare dal giudice della prevenzione che il negozio era fittizio.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso proposti da M. M. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

La Corte territoriale ha infatti evidenziato la assoluta sproporzione fra i redditi esigui del nucleo familiare ed il valore dell’immobile e la relativa motivazione, congrua, non è sindacabile in questa sede.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuna al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Cosi deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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