Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14468

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 9/12/05 il giudice de lavoro del Tribunale di Siena rigettò l’opposizione proposta dalla società "XXXS.a.s" avverso il decreto ingiuntivo notificatole da B.P. per il pagamento di insoluti derivanti dal rapporto di lavoro intercorso tra le parti, dopo aver escluso che le quietanze apposte su gran parte delle buste paga fossero idonee allo scopo difensivo perseguito dalla datrice di lavoro, cioè quello di voler dimostrare attraverso tali documenti l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni.
A seguito di impugnazione della società "XXX di XXX s.a.s." la Corte d’appello di Firenze – sezione lavoro ha respinto il gravame ribadendo che non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti paga e che è sempre possibile l’accertamento dell’insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle buste paga. La stessa Corte ha, altresì, evidenziato che l’opponente al decreto ingiuntivo aveva omesso di articolare tempestivamente istanze istruttorie atte a dimostrare in altro modo la prova dei pagamenti, che la documentazione prodotta era costituita da una serie di relazioni di un contabile di parte, aggiungendo che la richiesta di acquisizione di ogni documentazione utile presso diversi istituti bancari perseguiva una finalità meramente esplorativa e che la richiesta di autorizzazione a produrre in appello copie di assegni e bonifici riferibili alla lavoratrice era tardiva.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società "S.a.s.
XXX di XXX & C." che affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso B.P..
La ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo la ricorrente denunzia, anzitutto, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in riferimento ai seguenti punti:- Ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.; valore di confessione da attribuirsi ai prospetti paga sottoscritti dalla lavoratrice, anche per quietanza dei relativi importi ex art. 2730 e 2735 c.c.; erronea valutazione della presunzione di avvenuto pagamento da attribuirsi ai prospetti paga sottoscritti dalla dipendente (artt. 2727 e 2730 c.c.). Inoltre, la medesima si duole della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) su un punto decisivo della controversia in riferimento alla ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., al valore da attribuirsi ai prospetti paga sottoscritti dalla B. ex artt. 2730 e 2735 c.c. ed alla erronea valutazione della presunzione di avvenuto pagamento da attribuirsi agli stessi prospetti (artt. 2727 e 2730 c.c.).
Il motivo è infondato.
Invero, la decisione cui sono pervenuti i giudici d’appello è aderente al preciso orientamento di questa Corte sulla insussistenza di una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti paga.
In tal senso questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. sez. lav. n. 6267 del 24/6/1998) che "la sottoscrizione "per ricevuta" apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dall’art. 1362 c.c. e segg.".
In seguito si è ribadito (Cass. sez. lav. n. 9588 del 14/7/2001) che "non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga." (v. anche Cass. sez. lav. n. 24186/2008 che richiama, a sua volta, i principi affermati nelle sentenze n. 6267/98 e n. 9588/01).
E’, quindi, priva di pregio la circostanza evidenziata dalla ricorrente in ordine al preteso valore confessorio delle quietanze che avrebbe esonerato la parte datoriale dall’onere di fornire la prova del pagamento. In realtà, avuto riguardo al consolidato principio giurisprudenziale sopra richiamato, va osservato che con valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, la Corte territoriale ha posto l’accento sul fatto che la B. aveva da sempre affermato di riconoscere come di propria provenienza le firme apposte sulle buste paga, ma nel contempo la medesima aveva attribuito alle stesse il valore di sola ricevuta della loro consegna, disconoscendo il fatto di aver apposto la sua firma con valore di quietanza, in quanto il timbro con la stampigliatura "per quietanza" non figurava al momento della sottoscrizione. Ne conseguiva che tale timbro era da intendere come apposto in un momento successivo alla sottoscrizione, circostanza, questa, che aveva trovato riscontro nelle deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che era in uso nell’azienda apporre spesso tale timbro in un momento posteriore a quello della firma del lavoratore che riceveva il prospetto.
2. Col secondo motivo è dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) per non aver il giudicante adeguatamente motivato in ordine all’esame, non effettuato od effettuato in modo fuorviante, delle produzioni documentali della "XXX s.a.s." e per non aver ammesso integralmente le richieste istruttorie della medesima società, omettendo di valutare la mancata prova sul "quantum" delle richieste della B.. Nel muovere tali censure la ricorrente contesta sostanzialmente quanto ritenuto dalla Corte d’appello circa il fatto che la domanda fosse fondata su prova scritta e che la resistente non avesse fornito alcuna documentazione idonea a neutralizzare l’avversa richiesta.
Anche tale motivo è infondato.
Invero, le motivazioni su cui poggia la decisione sono ancorate alle precise emergenze processuali, si rivelano immuni da vizi di natura logico-giuridica e sono adeguatamente argomentate, per cui sfuggono ai rilievi di legittimità. Tali motivazioni fanno, infatti, riferimento, oltre che alla riscontrata prassi aziendale di apposizione del timbro per quietanza sulle buste paga in un momento successivo a quello della loro firma da parte dei dipendenti, anche alle ammissioni della parte datoriale nel corso del libero interrogatorio, alla mancanza di articolazione da parte della società di ulteriori mezzi istruttori in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ai fini della prova dell’eccepito pagamento, alla natura meramente esplorativa della richiesta di acquisizione di documenti presso diversi istituti bancari, alla verificata tardività delle istanze istruttorie tendenti alla produzione di assegni e bonifici asseritamente riferibili alla lavoratrice, alla mancanza di oggettività della relazione di un contabile di parte datoriale, nonchè alla appurata impossibilità, per il giudice d’appello, di esercitare i sollecitati poteri d’ufficio in mancanza di articolazione in primo grado di ulteriori mezzi istruttori rispetto alle semplici buste paga oggetto di contestazione. Il ricorso va, quindi, rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario ed Euro 40,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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