Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 05-06-2013, n. 24450

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza del 27.6.2008, il Tribunale di Cosenza dichiarò P. F. responsabile dei reati di sostituzione di persona e ricettazione unificati sotto il vincolo della continuazione e lo condannò alla pena di anni 2 mesi 2 di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 13.6.2012, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di ricettazione anzichè per furto o appropriazione indebita di cosa rinvenuta; la Corte territoriale avrebbe invertito l’onere probatorio ritenendo che dovesse essere l’imputato a dimostrare di aver sottratto o di essersi indebitamente appropriato del documento d’identità smarrito; in ogni caso dovrebbe trovare applicazione il principio del favor rei; si sarebbe in presenza di furto non perseguibile per difetto di querela tanto più che la carta d’identità fu smarrita in comune limitrofo a quello di residenza e dimora dell’imputato; sarebbe peraltro incerto il riconoscimento dell’imputato quale negoziatore dell’assegno;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, essendo il reato di cui all’art. 494 cod. pen. sussidiario rispetto a quello di cui all’art. 485 cod. pen. ed essendo stata archiviata l’ipotesi di cui all’art. 485 cod. pen. per difetto di querela, l’imputato avrebbe dovuto essere assolto dall’imputazione di sostituzione di persona.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

La Corte territoriale ha rilevato che l’asserzione secondo la quale l’imputato avrebbe rinvenuto la carta d’identità è mera enunciazione difensiva, non risultando alcunchè dagli atti ed anzi non essendo stato ciò neppure sostenuto dall’imputato, dal momento che lo stesso non ha fornito alcuna indicazione.

Non si versa in ipotesi di inversione dell’onere della prova, ma solo della constatazione della mancata allegazione di un’ipotesi alternativa.

Quanto alla incertezza del riconoscimento la Corte territoriale ha fugato ogni dubbio rilevando che l’espressione "sembrerebbe" è stata spiegata dal teste V. in ragione dell’essere la foto mostrata una fotocopia e della corrispondenza fra la foto apposta sul documento e quella sul cartellino d’identità dell’imputato.

In tale valutazione di merito non vi è alcuna manifesta illogicità o violazione di legge.

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha dato atto che si era in presenza di due diverse condotte, la prima relativa all’assunzione di una falsa identità da parte dell’imputato per aprire il conto, la seconda relativa al falso, citando anche giurisprudenza di questa Corte.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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