Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14467

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Svolgimento del processo
B.D. convenne innanzi al giudice del lavoro del Tribunale di XXX la società Agricola "XXX s.r.l", alle cui dipendenze aveva lavorato dal marzo del 1982 al gennaio del 2002 con la qualifica di dirigente, nonchè la società "XXX s.p.a" e XXX per ottenere il pagamento di prestazioni lavorative ulteriori rispetto a quelle oggetto del rapporto dedotto in causa, prestazioni rese in loro favore in regime di subordinazione.
Il giudice adito, dopo aver riunito i ricorsi, condannò l’Azienda agricola "XXX s.r.l" a pagare al B. la somma di Euro 100.000,00, mentre rigettò la domanda riconvenzionale proposta dall’Azienda per il recupero di quanto corrispostogli per l’attività lavorativa dal medesimo resa in favore delle altre due convenute.
A seguito di impugnazione principale dell’Azienda Agricola "XXX s.r.l" e di impugnazione incidentale del lavoratore, la Corte d’appello di Firenze – sezione lavoro, con sentenza del 22/9 – 23/10/09 ha accolto l’appello principale e dichiarato assorbito quello incidentale, rigettando integralmente le domande del lavoratore e compensando interamente tra le stesse parti le spese di entrambi i gradi del giudizio, con conferma nel resto della gravata sentenza.
La Corte territoriale ha osservato che il primo giudice aveva violato la norma di cui all’art. 112 c.p.c. nel momento in cui aveva posto a carico dell’azienda agricola "XXX s.r.l" il compenso che il B. aveva rivendicato nei confronti delle altre due convenute e che, comunque, quest’ultimo aveva omesso di impugnare con appello incidentale la statuizione con la quale gli erano state rigettate le domande proposte nei confronti della società "XXX s.p.a." e di XXX, per cui ogni questione in ordine alle stesse era da ritenere preclusa dal formarsi del giudicato sul punto.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il B., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso la società Agricola "XXX s.r.l.".
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente denunzia i seguenti vizi della sentenza impugnata:- "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) per non aver motivato in ordine alla dichiarata violazione dell’art. 112 c.p.c. affermata in ragione del disconoscimento della Agricola XXX s.r.l. quale unico soggetto passivo, come tale destinatario della sentenza di primo grado, delle pretese creditorie del sig. B.D.; violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) ovvero nullità del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) in relazione alla predetta declaratoria di mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c.. Aggiunge il ricorrente che, in realtà, non si era trattato di rigetto delle domande nei confronti delle altre due convenute, bensì di riferimento delle prestazioni eseguite in favore di un solo soggetto passivo, vale a dire l’azienda agricola "XXX s.r.l".
Il motivo è infondato.
Invero, non può dirsi che sia mancata la motivazione in ordine alla ritenuta violazione della norma di cui all’art. 112 cod. proc. civ., atteso che la stessa è adeguatamente argomentata laddove è evidenziata l’impossibilità di estendere all’odierna intimata gli effetti delle domande proposte nei confronti delle altre due convenute, cioè la società "XXX s.p.a." e M.M.L. R., stante l’intervenuta decisione di rigetto, coperta da giudicato, rispetto alle pretese economiche avanzate nei confronti di queste ultime.
In pratica, la rilevata violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte della Corte d’appello è corretta, in quanto è stato chiarito che le attività svolte dal B. in favore della società "XXX s.p.a" e della signora M.R. costituivano oggetto di separate domande nei confronti dei rispettivi beneficiari delle prestazioni, domande rispetto alle quali era intervenuta una decisione di rigetto non impugnata in via incidentale, per cui l’oggetto della richiesta di condanna di queste ultime due non poteva entrare a far parte della separata domanda proposta contro l’Azienda agricola "XXX s.r.l".
Non coglie, quindi, nel segno la censura nella parte in cui imputa al giudice d’appello una erronea interpretazione della domanda, posto che il convincimento della Corte territoriale, sia in merito all’errore in cui era incorso il primo giudice nel condannare la società agricola "XXX s.r.l." anche al pagamento delle differenze economiche pretese dal B. nei confronti delle altre due convenute, sia in ordine alla constatata mancanza di un appello incidentale, con rispettivo accertamento di un vizio di ultrapetizione della decisione gravata e della impossibilità di riesaminare le domande coperte da giudicato, riposa su dati processuali evidenti.
2. Col secondo motivo sono dedotti i seguenti vizi:- "Violazione e falsa applicazione di norme (art. 360 c.p.c., n. 3), carenza e contraddittorietà di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione alla affermata inclusione fra le mansioni e prestazioni proprie del dirigente dell’azienda Agricola XXX s.r.l. di quelle espletate dal sig. B. in riferimento all’Azienda Faunistico Venatoria".
Sostiene il ricorrente che era erroneo il convincimento in base al quale si era ritenuto che l’attività dell’azienda faunistica- venatoria rientrasse in quella dell’azienda agricola "XXX s.r.l", in quanto per sua natura era semmai l’azienda agricola al servizio di quella faunistica-venatoria, tanto più che quest’ultima non perseguiva scopi di lucro.
Anche tale motivo è infondato.
Invero, con motivazione congrua ed esente da rilievi di natura logico- giuridica, il giudice d’appello ha avuto modo di accertare, all’esito dell’esame degli atti istruttori, che l’attività prestata dal B. in favore dell’Azienda faunistica-venatoria non poteva ritenersi diversa ed ulteriore rispetto a quella di dirigente unico della società appellante, tanto più che l’azienda faunistica aveva una funzione di valorizzazione dell’intero territorio della tenuta (OMISSIS) nel quale era compreso quello dell’azienda agricola "XXX srl", per cui le prestazioni eseguite per la prima erano da considerare accessorie a quelle rese all’appellante. Inoltre, secondo la Corte territoriale, era emerso che l’attività svolta dal B., quale dirigente dell’azienda agricola, non poteva ritenersi esorbitante rispetto ai limiti quantitativi dell’impegno cui il medesimo era tenuto nell’espletamento dei compiti propri di un dirigente, non avendo il lavoratore allegato, nè provato, che le prestazioni svolte per l’azienda faunistica-venatoria lo costringessero a superare i limiti della ragionevolezza in rapporto alla tutela del diritto alla salute. In definitiva, le censure del ricorrente finiscono per tradursi in una inammissibile rivisitazione delle risultanze di merito, operazione, questa, che non è consentita nel giudizio di legittimità.
Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007) che "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse".
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2500,00 per onorario ed Euro 40,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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