Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 05-06-2013, n. 24449

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 17.9.2010, il Tribunale di Monza, Sezione distaccata di XXX, dichiarò M.F. responsabile dei reati di truffa, falso in carta d’identità e falsi in titoli di credito e – concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti – lo condannò alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 600,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 30.10.2012, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di falsificazione della carta d’identità, posto che l’imputato aveva consegnato alla persona offesa una fotocopia della carta d’identità e non il documento originale; il fatto che la fotocopia non corrisponda all’originale conservato presso il Comune non implica che sia stato falsificato il documento;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei delitti di falso in titoli di credito che sarebbero invece solo artifici del reato di truffa, dal momento che sarebbe carente la prova che sia l’imputato l’autore della falsificazione.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.
La Corte territoriale ha infatti desunto la falsificazione del documento originale dalla esibizione di fotocopia dello stesso.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, svolge censure di merito e non è stato dedotto negli stessi termini con i motivi di appello sicchè è inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e.
Nella sentenza impugnata si da atto che nei motivi di appello era stato richiesto l’assorbimento dei reati di falso in titoli in quello di truffa e la Corte ha rilevato, correttamente, che il fatto che i falsi integrino anche gli artifici della truffa non implica che perdano la loro autonomia giuridica.
Non era stata dedotta invece nei motivi di appello la diversa qualificazione del reato di falso in titoli in quello di uso di atto falso.
Peraltro, il fatto che l’imputato abbia rilasciato i titoli dopo la stesura del contratto è stato ritenuto prova del fatto che egli fosse l’autore delle falsificazioni e ciò è valutazione di merito non sindacabile in questa sede.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013

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