Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-08-2012, n. 14541

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza 6.5.2009 la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la pronuncia del locale Tribunale che aveva respinto l’impugnativa di licenziamento collettivo proposta nei confronti della Jcoplastic spa dai lavoratori V.G., R.G., C. P. e F.R., già addetti allo stabilimento di (OMISSIS).

Dopo avere interpretato le disposizioni della L. n. 223 del 1991, sulla procedura di mobilità, la Corte di merito ha osservato – per quanto qui ancora interessa – che con la missiva di inizio della procedura, datata 10.11.2004, erano stati indicati dalla società gli elementi di crisi aziendale e i criteri di scelta del personale in esubero per ciascuna unità produttiva, con riferimento alle strutture di (OMISSIS). Ha quindi rilevato che la chiusura dello stabilimento di (OMISSIS) (destinato, sin dal 2003, a mera attività di recupero di polietilene di scarto) era stata esplicitata nel verbale del 14.1.2005 alla presenza delle organizzazioni sindacali per ragioni legate alla particolare organizzazione tecnico produttiva (azzeramento dell’organico dell’unità produttiva).

Ha poi osservato che il criterio della scelta del personale da assoggettare alle misure espulsive si fondava anch’esso su esigenze tecnico produttive (a cui è stato attribuito un peso predominante rispetto agli altri criteri stabiliti dalla legge), tenendosi conto del contenuto oggettivo delle mansioni concretamente svolte; infine, ha ritenuto sufficienti le modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta del personale da licenziare.

Ricorrono per cassazione i lavoratori soccombenti sulla base di tre motivi.

La Jcoplastic resiste con controricorso contenente altresì ricorso incidentale condizionato, avverso il quale i ricorrenti replicano a loro volta con separato controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 e l’omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Addebitano, in sostanza, alla Corte di merito di avere errato nel ritenere esaustiva la mera indicazione del solo personale collocato in mobilità senza che dalla comunicazione impugnata si possa rilevare il punteggio attribuito al personale ivi indicato e senza che si possa rilevare la situazione del personale non collocato in mobilità seppure coinvolto nella procedura e senza che si possa rilevare il punteggio dallo stesso conseguito, essendo del tutto omessa la relativa procedura. A dire dei ricorrenti, la mancanza di una griglia comparativa tra il personale licenziato e quello rimasto in servizio non consente di verificare il processo logico che ha condotto l’azienda alle singole scelte dei lavoratori in esubero.

L’insufficienza della motivazione (così testualmente a pag. 30 del ricorso, n.d.r.) sta nel fatto che gli elementi indicati dalla Corte di appello (dati anagrafici dei soli lavoratori licenziati, qualifica livello di inquadramento, età e carico di famiglia) sono insufficienti per individuare il criterio posto a base della scelta dei lavoratori posti in mobilità rispetto a quelli non collocati in mobilità.

Col secondo motivo si prospetta la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Ad avviso dei ricorrenti, infatti, la Corte d’Appello ha omesso di considerare che nella comunicazione aziendale di apertura della procedura di mobilità non sono affatto indicate le ragioni tecnico organizzative e produttive che hanno fatto decidere all’imprenditore di limitare la scelta del personale da collocare in mobilità esclusivamente in base allo stabilimento di provenienza ovvero non è affatto indicata la volontà di dismettere lo stabilimento di (OMISSIS) quale motivo che determina la situazione di eccedenza, collegato invece a motivi di carattere generale riconducibili congiuntamente ad ambedue gli stabilimenti (calo delle commesse, alti costi del lavoro ed aumento del costo delle materie prime). Secondo i ricorrenti, quindi, le ragioni della selezione operata per stabilimenti dovevano essere esplicitate al fine di consentire un adeguato controllo da parte delle organizzazioni sindacali. La Corte di merito, secondo i ricorrenti, non avrebbe fatto applicazione dei principi in tema di omessa comunicazione delle misure alternative alla collocazione in mobilità e non avrebbe rilevato il vizio formale e sostanziale della omessa, insufficiente e/o apparente comunicazione alle OO.SS. dei motivi tecnici, produttivi e organizzativi che hanno portato a limitare solo a posteriori la scelta del personale da collocare in mobilità solo nell’ambito di un singolo stabilimento della società, rectius, solo in base allo stabilimento di provenienza.

Col terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, e l’omessa o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Si lamenta sostanzialmente che la Corte di Appello nel valutare le modalità della selezione del personale da licenziare, avrebbe dovuto accertare le mansioni concretamente svolte dai lavoratori e la concreta fungibilità dei lavoratori di (OMISSIS) e di (OMISSIS) ai fini della corretta delimitazione dell’area dei dipendenti a rischio. La Corte di Salerno, secondo i ricorrenti, non avrebbe rilevato la mancanza di giustificazione nella scelta di limitare il concorso tra i lavoratori al solo personale di (OMISSIS) e non invece all’intero complesso aziendale.

I tre motivi – investendo tutti il tema dei limiti legali del controllo giudiziario in ordine alla effettiva sussistenza delle ragioni della riduzione e alla regolarità del procedimento di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991 – ben possono formare oggetto di trattazione unitaria.

Essi sono privi di fondamento.

Innanzitutto va osservato che nel ricorso per cassazione non risulta la trascrizione del contenuto della comunicazione del 25.1.2005 (riguardante appunto il collocamento in mobilità di 36 unità rispetto all’organico complessivo di 143) o comunque la trascrizione dei passi salienti della stessa, cioè di quelli relativi alle parti oggetto di doglianza, non essendo sufficiente la sintesi incompleta del documento contenuta a pag. 25 del ricorso.

E lo stesso discorso vale per la precedente comunicazione di inizio della procedura di mobilità datata 10.11.2004, il cui contenuto a pag. 36 del ricorso viene bruscamente troncato con un "omissis", proprio nel punto in cui la società, nel dare conto delle ragioni che l’hanno costretta a fare ricorso alla procedura di mobilità, dichiara di non poter "garantire l’impiego delle unità esuberanti…." mentre invece la sentenza impugnata, attraverso un accertamento in fatto congruamente motivato e come tale insindacabile in questa sede, sottolinea la completezza della missiva per quanto riguarda lo stato aziendale della Jcoplastic "sotto l’aspetto della crisi in cui si agitava la società con esercizio provvisorio e fortemente già ridimensionato per la continuazione delle attività in (OMISSIS), fino all’estinzione di quest’ultima unità produttiva, sia sotto l’aspetto dell’organigramma e dei requisiti di scelta per le preferenze individuali a salvaguardia dell’interesse collettivo" (cfr. pagg. 11 e 12).

Ciò posto, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, la L. n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità/licenziamento collettivo, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell’impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatane di incisivi poteri di informazione e consultazione; i residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano quindi più gli specifici motivi della riduzione di personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo), ma la correttezza procedurale della operazione (cfr., per tutte, Cass. 28.10.2009 n. 22824; Cass. 23 maggio 2008 n. 13381, 14 giugno 2007 n. 13876, 16 marzo 2007 n. 6225, 14 novembre 2006 n. 24279 e 6 ottobre 2006 n. 21541).

Funzionale a tale possibilità di controllo preventivo è del resto l’obbligo per l’impresa di trattare in buona fede, obbligo specificato dalla legge in doveri tipici, quale quello, fondamentale, di specifica informazione – preventiva e in corso di procedura – e quello di motivazione delle scelte, con un comportamento che deve essere ispirato a piena lealtà nel corso dell’intera procedura;

obblighi tutti, la cui osservanza può poi costituire oggetto del controllo giudiziario. Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, in relazione ai collocamenti in mobilità ed ai licenziamenti collettivi, il principio previsto dalla L. n. 223 del 1991, artt. 5 e 24 – in base ai quali i criteri di selezione del personale da licenziare, ove non predeterminati secondo uno specifico ordine stabilito da accordi collettivi, debbono essere osservati in concorso tra loro – se impone al datore di lavoro una valutazione globale dei medesimi, non esclude tuttavia che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza ad uno di detti criteri e, in particolare, alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale, sempre che naturalmente una scelta siffatta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore di lavoro e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie (Cass. 19.5.2006 n. 11886;

Cass. 28.10.2009 n. 22824).

Ebbene, nel valutare l’andamento della procedura seguita negli snodi critici evidenziati dagli appellanti, la Corte territoriale si è attenuta a tali principi, rilevando la corretta indicazione da parte della società delle ragioni, di tipo prevalentemente riorganizzativo, della scelta relativa al ridimensionamento dell’impresa mediante la riduzione del personale in esubero per ciascuna unità produttiva, con riferimento alle strutture di (OMISSIS) nonchè dei motivi per cui si era ritenuto di dismettere del tutto l’unità produttiva di (OMISSIS), ravvisati nel fatto che ormai lo stabilimento si occupava soltanto della mera attività di recupero di polietilene di scarto (pagg. 10 e 11).

E l’impossibilità di adozione di misure alternative alla collocazione in mobilità deve ritenersi sufficientemente individuata proprio con il richiamo alla situazione di eccedenza di personale venutasi a determinare (situazione peraltro segnalata dall’azienda con la comunicazione di avvio della procedura), di cui pure è cenno nella sentenza impugnata (pag. 10) che richiama altresì il verbale di riunione del 14.1.2005 con cui le parti "ritenevano esaurita la fase di consultazione nell’impossibilità di individuare misure alternative" (pag. 12).

Facendo applicazione dei suindicati principi di diritto, la Corte di merito ha conseguentemente ritenuto corretto il confronto operato dalla società tra i dipendenti della sede di (OMISSIS) con quelli addetti allo stabilimento di (OMISSIS), richiamando sia la netta diversità dell’attività produttiva svolta nei due stabilimenti (uno dei quali era dedito soltanto al mero recupero di polietilene di scarto) sia il diverso trattamento normativo e retributivo dei rispettivi dipendenti (pag. 14). Ciò non dimostra, anzi induce ad escludere che i lavoratori dello stabilimento di (OMISSIS) (posti in mobilità) fossero idonei per acquisite esperienze a occupare posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti.

Confronto che, alla stregua della giurisprudenza richiamata, deve ritenersi correttamente effettuato sulla base di criteri ai quali era stato attribuito un peso specifico diverso (in particolare privilegiandosi quello relativo alle esigenze tecnico-produttive):

trattasi comunque di valutazioni di fatto riservate ai giudici di merito e della quale le critiche svolte dai ricorrenti sia in appello che in questa sede non riescono ad evidenziare l’illegittimità o la manifesta incongruità.

Il ricorso, in definitiva, si limita sostanzialmente a contrapporre alle modalità con le quali la società ha applicato i criteri legali di scelta altre ritenute migliori, sollecitando quindi da questa Corte una nuova valutazione in fatto, inammissibile in sede di legittimità, in quanto eccedente i limiti del relativo controllo giudiziale segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 28.10.2009 n. 22824 cit.).

Cade così anche la critica per vizio di motivazione.

Il rigetto del ricorso principale assorbe logicamente l’esame del ricorso incidentale condizionato e del relativo controricorso spiegato dai lavoratori.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’esame dei ricorsi incidentali. Condanna in solido i ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2012

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