Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 05-06-2013, n. 24445

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 24.4.2007, il Tribunale di Brindisi dichiarò L.M. responsabile del reato di ricettazione continuata e lo condannò alla pena di anni 3 mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 16.2.2012, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:
1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio, dell’ordinanza dichiarativa di contumacia, delle sentenze di primo e secondo grado e dunque dell’intero procedimento; nel redigere il verbale di vane ricerche, la polizia municipale di xxx dava atto che nel domicilio eletto non si rinveniva nessuno e che, in occasione della notifica di atto relativo ad altro procedimento, la madre dell’imputato aveva comunicato che il figlio era detenuto a (OMISSIS); si sarebbe dovuto perciò procedere a notifica presso il luogo di detenzione; invece è stata considerata valida la precedente elezione di domicilio e si è proceduto a notifica ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4; peraltro non avrebbe potuto essere dichiarata la contumacia stante la detenzione all’estero; la Corte territoriale ha rigettato il motivo d’appello sul punto sull’assunto che la notizia della detenzione all’estero era stata assunta in altro procedimento ed era incerta e non più attuale; la notizia si ricava invece dal verbale di vene ricerche che riguarda il presente procedimento;
2. vizio di motivazione in relazione alla mancata derubricazione del delitto di ricettazione in furto aggravato in quanto l’imputato, in sede di udienza di convalida aveva ammesso di essere l’autore del furto dell’autovettura a bordo della quale venne fermato due giorni dopo il furto; le difformità fra la denunzia e le dichiarazioni dell’imputato non sarebbero tali da renderle incompatibili.
Motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato ed in parte proposto al di fuori dei casi consentiti.
L’art. 169 c.p.p., il quale disciplina le modalità per le notificazioni all’imputato all’estero, trova applicazione soltanto quando alla persona che risulti avere residenza o dimora all’estero debba essere data notizia del procedimento penale che viene instaurato nei suoi confronti, con contestuale invito ad eleggere domicilio nel territorio dello Stato per le notificazioni di atti del procedimento stesso. Detta disposizione, viceversa, non deve essere applicata nella diversa ipotesi in cui già si sia svolto il giudizio di primo grado e l’imputato abbia ricevuto tutte le previste notificazioni nel domicilio dichiarato o determinato ai sensi dell’art. 161 c.p.p.. In quest’ultimo caso, ove la notificazione presso tale domicilio sia divenuta impossibile a seguito del trasferimento all’estero, essa va effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, mediante consegna al difensore. (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 16819 del 27/03/2008 dep. 23/04/2008 Rv. 239777).
La Corte territoriale ha rilevato che lo stato di detenzione all’estero era stata dedotta nell’ambito di diverso procedimento (anche se la notizia di ciò era richiamata in un verbale di vane ricerche redatto per questo procedimento).
La detenzione all’estero, anche per reato diverso da quello oggetto del giudizio, costituisce legittimo impedimento a comparire in dibattimento, purchè risulti dagli atti. (Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 47497 del 03/11/2011 dep. 21/12/2011 Rv. 251740. Nella specie, la Corte ha ritenuto legittima la dichiarazione di contumacia dell’imputato effettuata nel giudizio di merito posto che il difensore si era limitato a segnalare all’udienza lo stato di detenzione in Croazia dell’imputato senza ulteriori precisazioni, laddove l’imputato era, invece, detenuto in Francia).
La Corte d’appello ha perciò ritenuto che non fosse stata esplicitamente dedotta e comunicata come attuale tale situazione di detenzione all’estero.
In tema di legittimo impedimento dell’imputato, non è impugnabile il provvedimento con cui il giudice dichiari la contumacia anzichè disporre il rinvio dell’udienza richiesto dal difensore, qualora questi non abbia fornito adeguata documentazione sulla situazione impeditiva del suo assistito, trovando applicazione, in tale ipotesi, il regime dettato dall’art. 420 – ter c.p.p., comma 2, secondo cui il giudice non è tenuto a svolgere gli opportuni ulteriori accertamenti, ma può semplicemente ritenere non attendibile la sussistenza del dedotto impedimento (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 32033 del 12/06/2003 dep. 30/07/2003 Rv. 226258; nella specie l’imputato era in stato di detenzione disposto successivamente alla citazione per il giudizio).
La decisione della Corte di merito non integra quindi alcuna violazione della legge processuale ed è in sintonia con la giurisprudenza di legittimità richiamata.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.
La Corte territoriale ha ritenuto le circostanze del furto descritte dall’imputato diverse da quelle risultanti agli atti e quindi non verosimile la confessione del furto.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.12000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2013

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