Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-08-2012, n. 14536

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Rilevato che:
1. la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 5 maggio 2000 stipulato da xxx s.p.a. con M.F.;
2. per la cassazione di tale sentenza xxx s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso;
3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;
4. quanto alla statuizione concernente l’illegittimità del termine, deve preliminarmente osservarsi che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali… – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – e che lo stesso ha avuto termine in data successiva al 31 dicembre 1998;
5. secondo la Corte territoriale, sul presupposto della legittimità, alla stregua del disposto della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’ipotesi di contratto a termine introdotta dallo strumento negoziale, vi erano da considerare successivi accordi sindacali, i quali, limitando la portata di quello del 1997, avevano stabilito limiti temporali alla possibilità dell’azienda di avvalersi del tipo contrattuale in questione; un siffatto limite era stato prima individuato nella data del 30 aprile 1998, con l’accordo "attuativo" 16 gennaio 1998; dall’esame di un successivo accordo in data 27 aprile 1998 e del c.d. addendum all’art. 7 del c.c.n.l. del 1998, la Corte desumeva che, in ogni caso, la data fissata dall’addendum (31 dicembre 1998), al pari di quella del 30 aprile 1998, dovesse intendersi come riferita non già alla data dell’assunzione ma alla durata massima consentita, con la conseguente illegittimità del contratto individuale in esame che prevedeva la scadenza del termine dopo il 31 dicembre 1998;
6. la suddetta statuizione è stata censurata dalla società ricorrente la quale con i primi due motivi (con i quale denuncia violazione degli artt. 99, 112, 115, 414, 420 e 437 cod. civ., della L. n. 230 del 1962, art. 3, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 cod. civ., e segg., in tema di interpretazione delle norme collettive sopra richiamate, nonchè vizio di motivazione) contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed ai successivi accordi c.d. attuativi; in via preliminare deduce altresì che la Corte territoriale si sarebbe pronunciata oltre i limiti della domanda, in violazione del citato art. 112 cod. proc. civ., atteso che nel ricorso introduttivo il lavoratore non aveva sollevato la questione dei limiti di efficacia dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997;
7. deve in primo luogo osservarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, la statuizione in esame, nella parte in cui ha affermato l’illegittimità del termine apposto al contratto de quo in quanto stipulato oltre il limite temporale fissato dalle parti collettive con gli accordi attuativi dell’accodo 25 settembre 1997, non viola i limiti del thema decidendum rimesso all’esame della Corte di merito, atteso che, secondo la tesi dell’appellante xxx s.p.a., la legittimità del termine apposto al contratto de quo è, in buona sostanza, basata sulla perdurante efficacia dell’accordo sindacale 25 settembre 1997 (ciò si evince, in particolare, dai richiami testuali contenuti nel primo motivo di ricorso) e dei successivi accordi collettivi, donde la necessità del relativo esame da parte della Corte territoriale;
8. quanto alla ritenuta illegittimità del termine osserva il Collegio che la statuizione della Corte territoriale deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., u.c.;
9. correttamente la sentenza impugnata ha infatti ritenuto che la contrattazione collettiva abbia fissato termini di scadenza dell’autorizzazione alla stipula di contratti a termine per l’ipotesi sopra specificata;
10. deve ricordarsi in proposito che con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr., ex pturimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha univocamente confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ..), dopo il 30 aprile 1998;
11. ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011); ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608;
Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);
12. appare quindi inesatta la statuizione della Corte territoriale secondo cui gli accordi attuativi ebbero a stabilire non già i termini entro i quali era consentita l’adozione del tipo contrattuale, ma proprio i termini entro i quali dovevano scadere i contratti individuali;
13. questa Corte Suprema (cfr. Cass. 10 gennaio 2006 n. 166 e numerose successive), decidendo su un ricorso avverso una sentenza della Corte d’appello di Genova basata sulla medesima interpretazione dell’accordo in data 27 aprile 1998 e del c.d. addendum all’art. 7 del c.c.n.l. del 1998, ha ritenuto tale interpretazione viziata per violazione delle regole sull’interpretazione dei contratti; in particolare ha osservato che l’interpretazione accolta dalla Corte di merito ha finito per attribuire all’accordo 27 aprile 1998 l’effetto di chiarire l’intento delle parti al di là del significato letterale di altre previsioni pattizie, precedenti e persino successive, in violazione dell’art. 1362 cod. civ., e con motivazione insufficiente e contraddittoria;
14. anche l’orientamento da ultimo citato deve essere in questa sede pienamente ribadito; tuttavia il conseguente accoglimento della censura sotto questo profilo non determina la cassazione della sentenza impugnata, atteso che il dispositivo in essa contenuto deve ritenersi conforme a diritto; ed infatti, essendo stato accertato in fatto che il contratto de quo è stato stipulato con decorrenza 5 maggio 2000, lo stesso, come si è in precedenza rilevato, doveva ritenersi comunque illegittimo in quanto la sua decorrenza era successiva alla scadenza del termine concordato fra le parti con i c.d. accordi attuativi;
15. col terzo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372 cod. civ., comma 1, art. 1362 cod. civ., comma 2, art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso;
16. la censura è infondata;
17. secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto;
18. nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso;
19. con riferimento alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010; applicabilità sostenuta da xxx s.p.a. con la memoria depositata ex art. 378 cod. proc. civ..
20. in proposito va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che vi siano motivi di ricorso che investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine; tale condizione non sussiste nel caso di specie;
21. il ricorso va pertanto respinto;
22. in applicazione del criterio della soccombenza la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3000 (tremila) per onorari e oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2012

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