Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-08-2012, n. 14535

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Il Prof. P.A. promosse un’azione giudiziaria nei confronti degli Istituti xxx, di cui fu direttore scientifico dal 1 novembre 1999 al 31 ottobre 2001, chiedendo la rideterminazione del compenso spettategli e la condanna degli istituti al pagamento delle differenze retributive, nonchè l’accertamento della illegittimità del recesso operato dal datore di lavoro e la condanna al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzione che avrebbe dovuto percepire sino alla scadenza naturale del rapporto.
Il Tribunale di Bologna respinse il ricorso.
Il P. propose appello, che la Corte d’appello, con sentenza depositata il 20 giugno 2007, ha accolto, così provvedendo:
"condanna la parte appellata a pagare alla parte appellante, a titolo di differenze per il compenso relativo al periodo 1 novembre 1999 – 31 ottobre 2001, la somma di 125.478,18 Euro, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; dichiara l’illegittimità della revoca dell’appellante dall’incarico di direttore scientifico e condanna la parte appellata a pagargli, a titolo di risarcimento del danno, la somma di 445.648,93 Euro, oltre rivalutazione ed interessi".
Gli istituti propongono ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Il P. si è difeso con controricorso.
Gli istituti hanno depositato una memoria per l’udienza e note di replica alle conclusioni del Procuratore generale, che sono state nel senso del rigetto del ricorso.
Con il primo motivo si denunzia difetto di giurisdizione, rilevando che il rapporto tra le parti era sorto quando il professore era già esterno all’ente e, che la relativa revoca costituì provvedimento amministrativo di natura discrezionale, di fronte al quale si pongono questioni di interesse legittimo come tali devolute al giudice amministrativo. A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito: "la revoca del direttore amministrativo di un istituto scientifico di ricovero e cura e le rivendicazioni in merito alle differenze retributive sono soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo allorchè non vi sia un rapporto di lavoro subordinato?".
Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 1325, 1421, 2222, 2230 c.c. e R.D.L.S. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, in quanto il contratto con il quale una amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità in forma scritta, e tale contratto non è stato prodotto dal P..
Il quesito è il seguente "il contratto di direttore scientifico di un istituto di ricovero e cura, quando non vi sia rapporto di lavoro subordinato, deve avere la forma scritta ad substantiam ed essere prodotto in giudizio per cui è causa e il giudice può rilevarne la mancanza in ogni stato e grado del giudizio anche senza espressa eccezione di controparte?".
Con il terzo motivo, in via subordinata, si denunzia violazione dell’art. 2237 c.c., sostenendo che, non essendovi un contratto valido, le parti erano libere di recedere dal rapporto in ogni momento.
Con il quarto motivo si censura la sentenza per aver dichiarato inammissibile l’eccezione di nullità del contratto, non avendo la parte proposto a tal fine appello incidentale.
Quanto al primo motivo, concernente la giurisdizione, la vicenda processuale si è così evoluta. Vi è stata eccezione degli IOR in primo grado in sede di costituzione. Il giudice ha deciso nel merito, ritenendo quindi di avere la giurisdizione, e, implicitamente, respingendo l’eccezione.
Gli IOR non hanno proposto appello sul punto, nè hanno formulato la relativa eccezione nel corso del giudizio di secondo grado. Hanno riproposto la questione solo in Cassazione.
La giurisprudenza, ormai consolidata, delle Sezioni unite, afferma che "L’interpretazione dell’art. 37 cod. proc. civ., secondo cui il difetto di giurisdizione "è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo", deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ("asse portante della nuova lettura della norma"), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All’esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l’ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, consegue che:
1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti anche dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 38 cod. proc. civ. (non oltre la prima udienza di trattazione), fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito "per saltum", non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito. (Nella specie, le Sezioni Unite hanno giudicato inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità dalla parte che, soccombente nel merito in primo grado, aveva appellato la sentenza del giudice tributario senza formulare alcuna eccezione sulla giurisdizione, così ponendo in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire il difetto di giurisdizione e prestando acquiescenza al capo implicito sulla giurisdizione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 329 cod. proc. civ., comma 2)" (Cass., sezioni unite, 9 ottobre 2008, n. 24883; 16 ottobre 2008, n. 25246).
Alla luce di tali principi il motivo di ricorso degli IOR non può essere accolto.
Una situazione analoga si delinea con riferimento alla questione posta con il secondo ed il quarto motivo, che devono essere trattati congiuntamente. L’eccezione di nullità del contratto fu sollevata dagli IOR in sede di costituzione nel giudizio di primo grado. Il Tribunale decise sul presupposto della validità del contratto. Gli IOR si difesero in appello riproponendo la questione solo in sede di discussione, quindi tardivamente, perchè la questione, pur non richiedendo un appello incidentale della parte interamente vittoriosa (come invece afferma la sentenza della Corte di Bologna) avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 346 c.p.c., essere sollevata nel primo atto difensivo del giudizio di gravame, il che non è stato. Secondo Cass. 28 ottobre 2011, n. 22520, "Il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre il dedotto ed il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia. (In applicazione del suddetto principio, si è ritenuta l’eccezione di nullità di un contratto di associazione in partecipazione preclusa dal giudicato, avendo il riconoscimento dell’esistenza di un valido contratto ex art. 2549 cod. civ., costituito il presupposto logico-giuridico della decisione)".
Anche il secondo ed il quarto motivo sono pertanto infondati, il che comporta l’assorbimento del terzo motivo strutturato sul presupposto della invalidità del contratto (il quesito posto è: "In assenza di valido contratto l’istituto scientifico di ricovero e cura può revocare in ogni momento il rapporto con il direttore scientifico?"), mentre non sono stati impugnati i capi della sentenza concernenti la quantificazione delle differenze retributive e la quantificazione del risarcimento del danno.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Le spese devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 40,00 Euro, nonchè 6.000,00 Euro per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2012
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