Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-08-2012, n. 14534

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
L’xxx chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti della xxx per la somma di L. 6.479.001, relativa a contributi assicurativi omessi e relative sanzioni civili, concernenti il rapporto di lavoro con il giornalista L.P. per il periodo 5 luglio-9 settembre 1997.
Il Tribunale di Roma accolse l’opposizione della xxx e revocò il decreto ingiuntivo ritenendo che l’attività prestata dal L. (per la quale i contributi sono stati regolarmente versati agli enti previdenziali ordinari) non presentasse le caratteristiche richieste dalla legge ai fini della qualificazione della stessa come praticantato giornalistico, il che avrebbe implicato il versamento dei contributi all’xxx. L’xxx ha proposto appello.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 21 settembre 2007, lo ha rigettato.
L’xxx propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
La xxx ha depositato controricorso, nonchè una memoria.
xxx e xxx non hanno depositato controricorso. L’xxx ha partecipato alla discussione orale.
Con il primo motivo si denunzia vizio di omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il diritto. Nel motivo però non si specifica end quale è tale fatto e non si spiega le ragioni per le quali sarebbe controverso e decisivo. "Il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbxxxo 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass., ord., 5 febbxxxo 2011, n. 2805; Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).
Nella specie, la valutazione della Corte viene censurata come contraddittoria in ordine alla idoneità della struttura in cui il L. era impiegato ai fini del praticantato. Ma questo non è un fatto, bensì una valutazione giuridica. Viene inoltre giudicata carente di motivazione in ordine alla interpretazione dell’atto di appello e specificamente nella parte contenente le censure sulla valutazione della prova testimoniale. Anche questo non è un fatto.
Nella sua ultima parte il motivo si risolve poi in una denunzia di violazione di legge, priva di quesito di diritto.
Con il secondo motivo si denunzia violazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 17, comma 3, in relazione all’art. 2697 c.c., perchè, in presenza di un provvedimento di iscrizione nel registro dei praticanti, l’onere della prova della illegittimità del provvedimento gravava sul datore di lavoro e non sull’xxx. Tale affermazione è da condividere, ma attribuisce alla sentenza un’affermazione che la stessa non formula o, quanto meno, sulla quale non basa la decisione, che è incentrata, nella sua parte centrale e decisiva, sulla carenza delle caratteristiche richieste dalla legge per poter qualificare come praticantato giornalistico il lavoro svolto dal L. nel breve periodo in cui fu dipendente della xxx Con il terzo motivo l’xxx denunzia violazione della L. n. 63 del 1969, art. 34 e del D.P.R. n. 212 del 1972, art. 9, in relazione all’art. 12 preleggi, nonchè vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza motiva la decisione affermando di aderire alla tesi secondo cui il numero minimo dei giornalisti sarebbe un requisito imprescindibile previsto dall’art. 34, che nel caso non sarebbe stato presente. A tal fine il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte.
Il motivo è inammissibile perchè verte su di un passaggio della motivazione che è aggiuntivo e non decisivo per l’esito della controversia, come la Corte di Roma mette bene in evidenza, laddove rileva che la esclusione della configurazione come praticantato giornalistico del lavoro svolto dal L. è stata dal Tribunale ancorata a presupposti diversi dalla mancanza del numero minimo, in base ad un ragionamento che la Corte ripercorre e dichiara di condividere.
Il passaggio della motivazione del capoverso successivo, introdotto dall’inciso "in ogni caso" è pertanto aggiuntivo e non decisivo per la soluzione della controversia, con la conseguenza che la censura, anche se fondata, non sarebbe idonea a modificare la soluzione.
Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio e liquidate in favore della parte che ha depositato controricorso e memoria, oltre a discutere la causa. Nulla spese per l’xxx che non ha svolto attività difensiva; compensate quelle dell’xxx che si è limitato a partecipare alla discussione orale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’istituto ricorrente alla rifusione alla società controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 40,00 Euro, nonchè 4.000,00 Euro per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali. Nulla spese xxx.
Compensate le spese dell’xxx. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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