Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 27-05-2013, n. 22928

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con sentenza del 07.10.1999 il Tribunale di Rovigo condannava R.N. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile xxx per il reato di cui all’art. 368 c.p., per avere, con denuncia-querela presentata il 14.02.1995 ai Carabinieri di xxx, incolpato falsamente l’avvocato P., che sapeva innocente, del reato di appropriazione indebita aggravata, per avere, senza il consenso del R., incassato un assegno di L. 8.035.300 emesso da un debitore di quest’ultimo e trattenuto la somma a fronte di competenze professionali.
Su appello del prevenuto, con sentenza del 22.04.2012 la Corte d’appello di Venezia dichiarava non doversi procedere nei confronti del R. per essere il reato estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
Contro la sentenza propone ricorso per cassazione nell’interesse dell’imputato il suo difensore, deducendo che:
– la commissione del reato di appropriazione da parte del P. è stata esclusa in base all’esistenza di un consenso alla compensazione prestato dal R., senza però che sia stato affrontato in maniera specifica il problema del momento di tale prestazione, che, nella sequenza delle condotte ricostruite in sede di merito, appariva essere successiva al momento in cui il P. aveva comunicato di trattenere la somma recata dall’assegno, così perfezionando il reato predetto;
– non è stato affrontato in modo logico e compiuto neppure il problema della sussistenza del dolo del reato di calunnia, desunto impropriamente dalla tardività della denuncia e dal movente ritorsivo della medesima, senza considerare la piena compatibilità di tali elementi con la convinzione che il P. avesse comunque posto in essere il reato appropriativo per l’assenza di un previo consenso alla compensazione da parte del R..
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
Anzitutto deve confermarsi che il P. non commise con la sua condotta il delitto di appropriazione indebita aggravata.
Egli, invero, quale avvocato della ditta del R., aveva ricevuto da un debitore della ditta un assegno in pagamento di un credito. Tale assegno era però intrasferibile e intestato al detto P., il quale, quindi, doveva comunque portarlo all’incasso, salvo a riversare poi il controvalore in danaro al R..
Essendosi nel frattempo rotto il rapporto fra le parti, il P. comunicò al R. di avere incassato l’assegno e di trattenere la relativa somma in conto dei maggiori importi a lui dovuti per competenze professionali. Al di là del tenore formale delle parole usate, tale comunicazione avveniva prima che fosse disponibile la valuta dell’assegno e, quindi, non poteva oggettivamente che esprimere una "intenzione" del professionista, a cui il R. poteva opporsi contestando la scelta unilaterale dell’avvocato di praticare una compensazione non autorizzata.
Una simile opposizione mancò e anzi, per come sono stati ricostruiti i fatti in sede di merito, vi fu da parte del R. un comportamento di concludente acquiescenza all’iniziativa assunta dal P.; di tal che, quando quest’ultimo, una volta divenuta disponibile la valuta dell’assegno, omise di corrispondere il controvalore in danaro al R., agì in maniera del tutto lecita.
Il R., a notevole distanza dai fatti, e ormai in rotta con il P. (che aveva agito in executivis per il conseguimento dei suoi residui crediti per prestazioni professionali), rivangò la suddetta vicenda dell’assegno e del trattenimento della relativa somma da parte del suo (ex) avvocato, esponendola in modo tale da non far comprendere il suddescritto reale (e scriminante) svolgersi del fatto, e da far conseguentemente apparire la condotta del professionista come arbitrariamente appropriativa. Smentita, alla stregua delle emergenze probatorie di causa, la circostanza, riferita dal prevenuto, che fosse stato il suo nuovo avvocato a giudicare delittuoso il comportamento del P. e addirittura a predisporre una bozza (mai in effetti prodotta) di una denuncia di appropriazione indebita, non c’è dubbio che con la personale iniziativa della descritta fuorviante denuncia il R. realizzò consapevolmente il delitto di calunnia ascrittogli. E’ noto, invero, che, ai fini della configurabilità del reato di calunnia, la falsa accusa può anche realizzarsi sottacendo artatamente alcuni elementi della fattispecie, così da fornire una rappresentazione del fatto fuori del suo contesto e far apparire quindi come fatti illeciti… i comportamenti realmente tenuti dall’accusato (Sez. 6, n. 7722 del 20/01/2004, Melis ed altro, Rv. 229650).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2013

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