Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 27-05-2013, n. 22927

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Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di L’Aquila confermava la pronuncia di primo grado del 11/06/2010 con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato alla pena di giustizia (oltre che al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile) M.A. in relazione al reato di cui all’art. 368 c.p., per avere, con falsa denuncia di smarrimento di alcuni assegni, presentata il 16/10/2006 ai carabinieri del capoluogo abruzzese, tra i quali due assegni rispettivamente di Euro 3.500 e di Euro 2.500 in precedenza da lui consegnati a S.S. nel mese di (OMISSIS), incolpato il predetto, pur sapendolo innocente, di essersi indebitamente appropriato di quei titoli.
Rilevava, in particolare, la Corte di appello come la colpevolezza del M. fosse stata dimostrata dai risultati dell’istruttoria dibattimentale, in specie dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa S. e dalla sua compagna G.M..
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. xxx, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 61 c.p., art. 64 c.p., comma 3, art. 192 c.p., comma 3, art. 197 c.p., comma 1, lett. b), art. 197 bis c.p.p., e art. 210 c.p.p., comma 6, per avere la Corte di appello valorizzato le dichiarazioni testimoniali della persona offesa S. che, in quanto indagato per un reato connesso, doveva essere sentito con gli avvisi del citato art. 64, che, invece, non erano stati dati, rendendo, così, inutilizzabile la relativa deposizione.
2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la pronuncia di condanna di primo grado valorizzando le testimonianze rese dal S. e dalla Mo., le quali, al contrario, erano apparse scarsamente attendibili, perchè offerte da soggetti interessati, imprecise sui tempi e sulla causa delle consegna dei due assegni, e, per la seconda teste, inaffidabili in ordine alla identificazione dell’odierno ricorrente.
2.3.Violazione di legge, in relazione agli artt. 367 e 368 c.p., per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che i fatti accertati integrassero gli estremi del reato di calunnia e non anche quelli della simulazione di reati, comunque con riferimento ad entrambi e non anche ad uno solo degli assegni richiamati nell’imputazione, in presenza di dati informativi che avrebbero dovuto, comunque, far propendere per la ricostruzione di una condotta in termini colposi e non dolosi.
Motivi della decisione
1. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
2. Il primo motivo del ricorso della B. è inammissibile perchè non dedotto con l’atto di appello, ma, per la prima volta, solo con il ricorso per cassazione.
Non è di ostacolo alla declaratoria di inammissibilità il fatto che il motivo abbia ad oggetto una sanzione, quella della inutilizzabilità, astrattamente rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in quanto è pacifico, nella giurisprudenza di legittimità, che una siffatta questione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se richiede accertamenti o valutazioni di fatto su cui è necessario il previo vaglio, in contraddittorio, da parte del giudice di merito (così, tra le diverse, Sez. 6, n. 21877 del 24/05/2011, C. e altro, Rv. 250263; Sez. 4, n. 2586/11 del 17/12/2010, xxx, Rv.
249490; Sez. 6, n. 37767 del 21/09/2010, xxx, Rv. 248589; Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, xxx, Rv. 244328; Sez. 6, n. 12175 del 21/01/2005, xxx, Rv. 231484).
3. Il secondo motivo del ricorso è stato proposto per ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Il ricorrente, infatti, solo formalmente ha indicato, come motivo della sua impugnazione, un vizio di motivazione, ma non ha prospettato alcuna contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni. Nè è stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado e, in specie, delle dichiarazioni rese dalla personale offesa S. e dalla teste G.. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un "travisamento delle prove", vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di "travisamento dei fatti" oggetto di valutazione, sollecitando una inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine rispetto al quale è stata proposta una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell’ambito di una motivazione logicamente completa ed esauriente: nella quale è stato osservato come le deposizioni dei due testi di accusa dovessero ritenersi sufficientemente attendibili sotto l’aspetto intrinseco ed estrinseco, e come fosse comprensibile che i testi, a distanza di molti anni, non avessero ben ricordato taluni dettagli della vicenda che li aveva interessati (v. pagg. 4-5 sent. impugn.).
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Costituisce principio di diritto oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale integra il delitto di calunnia la falsa denuncia dello smarrimento o di furto di assegni bancari, attribuendosi in tal modo al legittimo portatore l’appropriazione o l’impossessamento o la ricezione illeciti dei titoli, ed irrilevante dovendosi ritenere, ai fini della consumazione del reato, la circostanza che nella denuncia non sia stato accusato alcun soggetto determinato, quando il destinatario dell’accusa sia implicitamente, ma agevolmente, individuabile sulla base degli elementi ivi contenuti (così, tra le molte, Sez. 6, n. 4537 del 09/01/2009, Sileoni, Rv. 242819; Sez. 6, n. 7490 del 07/01/2009, Padula, Rv. 242693; Sez. 6, n. 10400 del 07/02/2008, xxx, Rv.
239017; Sez. 6, n. 41960 del 07/06/2004, xxx, Rv. 230210; Sez. 6, n. 13912 del 09/02/2004, xxx, Rv. 229215; Sez. 6, n. 37039 del 01/07/2003, xxx, Rv. 226876). Nè, ai fini della configurabilità del delitto de quo, rileva la circostanza che la denuncia preceda la negoziazione di uno o più dei titoli (Sez. 6, n. 10400 del 07/02/2008, xxx, cit).
Di tali principi la Corte di appello di L’Aquila ha fatto corretta applicazione, spiegando, con una motivazione congrua e logicamente completa, che, a fronte della chiara sussistenza degli elementi costitutivi oggettivi del delitto contestato, l’esistenza dell’elemento psicologico fosse stata pienamente dimostrata dalle credibili dichiarazioni della persona offesa la quale aveva riferito in termini inequivoci e non smentiti come i due titoli gli fossero stati consegnati, quale corrispettivo per la vendita di un orologio, dal M..
In tale contesto, mentre appare circostanza marginale ed irrilevante che i due assegni fossero stati consegnati contemporaneamente o in tempi diversi, appare significativo – a riprova della sussistenza dell’elemento psicologico necessario per la configurabilità del delitto contestato – il passaggio della motivazione del provvedimento gravato nella quale la Corte territoriale ha evidenziato come, nella sua denuncia, il M. avesse fatto riferimento ad entrambi i titoli dati al S., parlando espressamente di "refurtiva".
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell’importo indicato nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2013

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