Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 27-05-2013, n. 22922

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza del 13.12.2010 il Tribunale di Milano condannava Z.D. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile G.S. per il reato di cui all’art. 368 c.p., per avere, con denuncia presentata alla Procura della Repubblica di Milano il 22.12.2006, incolpato falsamente G.S., che sapeva innocente, dei reati di ingiurie, minacce e sequestro di persona.

Su appello del prevenuto, con sentenza del 22.02.2012 la Corte d’appello di Milano assolveva lo Z. perchè il fatto non costituisce reato, rilevando che la condotta dello stesso era frutto del clima di tensione esistente fra le parti, che gli aveva potuto indurre la convinzione di aver subito effettivamente gli illeciti denunciati, con riferimento in particolare al sequestro di persona.

Tanto portava ad escludere, a sensi dell’art. 530 cpv. c.p.p., la consapevolezza dell’innocenza dell’accusato. Contro la sentenza propongono ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano e la parte civile.

Il P.G. deduce il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale:

– ribaltato la pronuncia di primo grado senza confutare in modo analitico e completo la dettagliata e argomentata valutazione delle risultanze processuali che aveva condotto il Tribunale alla decisione di condanna;

– accreditato una distorta percezione della realtà da parte dell’imputato, mai allegata dal medesimo e contrastata dalle prove acquisite, oltre che dalla circostanza che la denuncia venne presentata tre mesi dopo l’episodio e dopo che il G. aveva a sua volta denunciato lo Z.;

– omesso qualsiasi rilievo sui reati di ingiurie e minacce pur oggetto della denuncia dello Z..

La p.c. formula sostanzialmente gli stessi motivi del P.G..

Ha presentato memoria la difesa dello Z., chiedendo fra l’altro la condanna del G. alla rifusione delle spese del giudizio.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

Per quanto concerne, invero, il delitto di calunnia, deve osservarsi, in via generale, che, perchè si realizzi il dolo di tale reato, è necessario che chi formula la falsa accusa abbia certezza dell’innocenza dell’incolpato. L’erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude, quindi, l’elemento soggettivo.

Si è tuttavia precisato (v., per tutte, Sez. 6, 14 marzo 1996, Gardi) che tale esclusione opera solo se il convincimento dell’accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni. A quest’ultimo riguardo, occorrono però alcuni chiarimenti. Se, invero, l’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o comunque di corretta rappresentazione nella denuncia, la omissione di tale verifica o rappresentazione determina effettivamente la dolosità di un’accusa espressa in termini perentori. L’ingiustificata attribuzione come fatto vero di un fatto di cui non si è accertata la realtà presuppone infatti la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all’incolpato.

Quando invece l’erroneo convincimento riguarda profili essenzialmente valutativi della condotta oggetto di accusa, l’attribuzione dell’illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, è inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia.

Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che, secondo la ricostruzione della Corte di appello, la falsità delle accuse rivolte dal prevenuto attiene precipuamente all’interpretazione soggettiva dell’operare dell’accusato, ritenuto dall’imputato – alla stregua delle sue valutazioni condizionate dal clima di tensione e dal contesto confuso dell’alterco, oltre che dallo stesso atteggiamento provocatorio e di sfida del G. – come connotato verosimilmente da finalità illecite. Ne è scaturita, quindi, secondo la detta ricostruzione, una rappresentazione falsata di intenti e caratteristiche dei fatti, determinata dalla particolarità della vicenda in cui il prevenuto si è trovato coinvolto, che lo ha indotto a leggere, senza comprovata malafede, alcuni passaggi della condotta dell’accusato in una luce ingiustamente aggressiva. Tale ricostruzione della Corte territoriale appare logicamente motivata e idonea a vincere le obiezioni sollevate nei ricorsi, che insistono sul diverso svolgimento dei fatti, quale scaturente dalla valutazione delle risultanze probatorie quale compiuta dal primo giudice, che non è oggettivamente in discussione, laddove è sul piano della non dolosa errata interpretazione degli stessi che si colloca il percorso argomentativo della decisione di appello. Le argomentazioni giustificative quivi sviluppate nella sentenza, pur se appaiono formalmente riferite solo alla calunnia di sequestro, ricomprendono in realtà nella sostanza anche l’imputazione della calunnia di ingiurie e minacce. Le ragioni dell’assoluzione e la situazione di prolungata conflittualità, anche giudiziaria, che caratterizza i rapporti fra le parti, giustifica l’integrale compensazione fra le stesse delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il G. al pagamento delle spese processuali.

Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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