Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 27-05-2013, n. 22920

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava quella in data 23.10.2007 del GUP del Tribunale di Cuneo, appellata da G.L., con la quale il medesimo era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione e al risarcimento del danno in favore della parte civile per il reato di cui all’art. 368 c.p. per avere denunciato falsamente lo smarrimento dell’assegno n. (OMISSIS) della xxx di Euro 10.000,00, consegnato invece a M.A. in pagamento di lavori di ristrutturazione, che incolpava così implicitamente e falsamente di reati relativi all’indebito impossessamento del titolo. Propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore, dolendosi del vizio di motivazione sull’attribuzione di responsabilità e sulla misura della pena. Il ricorso è inammissibile per genericità e formulazione di motivi non consentiti.
Premesso, invero, in diritto che, per giurisprudenza consolidata, la denuncia di smarrimento di assegno, che il denunciante sa invece di avere regolarmente emesso per la negoziazione, integra nei confronti del beneficiario (anche) le oggettive condizioni di un’accusa di ricettazione, divenendo lo stesso sospettabile di averlo consapevolmente ricevuto da chi ne fosse illecitamente (per furto o appropriazione indebita di cosa smarrita) venuto in possesso (Cass. 24.08.2002, xxx; 29.01.1999, xxx; 04.07.1996, PM in proc. xxx; 02.03.1992, xxx), e tale possibilità è per sè sufficiente per il configurarsi della calunnia, reato di pericolo, si osserva che nel ricorso si assume, da un lato, apoditticamente, e contrariamente a quanto risulta dalla congiunta lettura delle sentenze di merito, che la Corte torinese non avrebbe reso una motivazione compiuta sul riconoscimento di responsabilità del prevenuto, e, dall’altro, si pretende di accreditare sic et simpliciter la versione negatoria dell’imputato, ampiamente e argomentatamente contrastata, come detto, dalla coerente valutazione delle risultanze processuali compiuta in sede di merito. Del tutto generica è poi la doglianza sulla pena.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si ritiene equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2013

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