Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-08-2012, n. 14553

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con ricorso 19 maggio 2006 xxx, premesso di essere stato assunto da xxx srl il 4 agosto 2003, per svolgere le mansioni di autista (inquadrato nel 3^ livello del CCNL dell’Igiene ambientale) come risultante dal contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato sottoscritto in pari data, esponeva che il 23 dicembre 2004 gli era stato contestato, come addebito disciplinare, il seguente fatto: "In data 22 dicembre 2004 ella informava il nostro responsabile di cantiere Dott. M.R. che i vigili del Comune di Tempio le avevano contestato il servizio di lavaggio dei cassonetti per via di un guasto alla macchina. Perchè detta informazione insospettiva il responsabile, in quanto la macchina aveva lavorato in ottime condizioni il giorno prima e quando è stata portata in cantiere è stata nuovamente controllata e risultava perfettamente funzionante, il Dr. M. contattava i Vigili per i chiarimenti del caso e gli stessi gli riferivano che era stato il C. a dir loro che la macchina non funzionava. Successivamente la nostra società per il tramite dei propri responsabili P., Ma. e Mu.Gi. effettuava una verifica al fine di capire il perchè del non funzionamento della lava cassonetti e in tale occasione veniva appurato che la valvola che conduce l’acqua alla pompa ad alta pressione la quale permette di effettuare il lavaggio, era inspiegabilmente chiusa". Il fatto – secondo la società datrice di lavoro – era considerato di tale gravità da consentire la irrogazione del licenziamento disciplinare. Nello stesso giorno altra lettera, poi annullata, aveva contestato fatti diversi, preannunziando la sanzione disciplinare della multa per quattro ore. Successivamente in data 24 gennaio 2005 – narrava ancora ricorrente – gli veniva intimato il licenziamento, che impugnava chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento delle retribuzioni dal licenziamento alla reintegrazione.
2. Si costituiva la società convenuta deducendo la legittimità del licenziamento perchè fondato sulla violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà.
3. Il Tribunale di xxx, istruita la causa mediante ordine di esibizione dei libri matricola, produzione di documenti e prova per testimoni, pronunciava la sentenza del 25 maggio – 9 giugno 2006, con cui accoglieva integralmente la domanda.
In particolare il Tribunale riteneva che le contestazioni disciplinari del 22 e del 23 dicembre 2004 erano prive di fondamento.
Infatti dalla prova testimoniale era risultato che la lavacassonetti non era funzionante, perchè era chiusa la valvola che adduceva l’acqua alla pompa, e che il C. si era attivato per risolvere il problema, sia chiedendo aiuto ai colleghi che informando i responsabili. Non poteva essere addebitato al C. di non avere capito il tipo di difetto della macchina, nè gli era stato contestato di avere chiuso intenzionalmente la valvola: circostanza, questa, illogica e del tutto indimostrata. Quanto all’avere il C. informato i VV.UU. di xxx del mancato funzionamento della macchina, tale circostanza era infondata, e comunque non censurabile visto che il C. aveva detto il vero.
Era comunque vistosa la sproporzione fra i fatti contestati e la misura disciplinare adottata.
Quanto alla invocata tutela reale, rammentato che era onere del datore di lavoro provare che il requisito dimensionale non era raggiunto, il tribunale rilevava che, per valutarne la sussistenza, occorreva riferirsi all’intero Consorzio xxx a r.l., cui apparteneva la xxx srl, quale unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale società faceva parte del consorzio xxx a r.l. insieme ad altre (xxx, xxx srl, xxx srl) i cui dipendenti lavoravano in coordinamento far loro, per l’espletamento del medesimo servizio. La società xxx era appaltatrice del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani per Tempio ed altri Comuni. Dall’interrogatorio del legale rappresentante della xxx srl era emerso che il responsabile del cantiere di Tempio era il Dr. M.R., dipendente della xxx srl. Era poi risultato che S.A., dipendente xxx, lavorava per la raccolta dei rifiuti a Tempio; che P.F., dipendente del Consorzio xxx, predisponeva i turni di lavoro insieme al Ma.
e gestiva il parco automezzi; che il teste Pi. era dipendente xxx ed aveva verificato il funzionamento del lava cassonetti.
Dunque – osservava sempre il tribunale – tutti i dipendenti delle diverse società appartenenti al Consorzio facevano capo ad una unica struttura organizzativa, che prevedeva l’utilizzo dei mezzi e dei lavoratori dipendenti delle varie imprese, in coordinamento e per l’espletamento di un unico servizio, in modo indifferenziato e contemporaneamente. Il Consorzio si avvaleva, per l’espletamento del servizio di raccolta di rifiuti a Tempio, di 20 dipendenti, come risultante dalla comunicazione alla Comunità montana del 13 dicembre 2005.
Ritenuto sussistente il requisito della tutela reale, discendeva la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro, ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni dal licenziamento alla reintegrazione, oltre che alla regolarizzazione contributiva per lo stesso periodo.
4. Avverso tale decisione proponeva appello la società xxx srl, censurandola sotto plurimi profili. Deduceva che, contrariamente all’opinione del primo giudice dalla prova testimoniale era emersa sia l’inadeguatezza professionale del C., sia che quest’ultimo aveva adottato, il 22 dicembre 2004, gravi e deliberati comportamenti illeciti, specificamente descritti e contestati. La decisione era soprattutto errata per avere riconosciuto la applicabilità della tutela reale. La società occupava all’epoca meno di 16 dipendenti.
Il Tribunale era comunque incorso in vizio di ultrapetizione, perchè il C. non aveva dedotto nè chiesto che ci si pronunziasse sul collegamento economico funzionale – mai evidenziato in ricorso dal lavoratore – fra xxx scarl e xxx srl. Invece la xxx srl era soggetto del tutto distinto dal consorzio; iscritta all’Albo dei gestori di rifiuti; gestiva in assoluta autonomia i propri mezzi ed il proprio personale, senza ingerenze del Consorzio, di cui è socia, pur nella piena autonomia gestionale, amministrativa, contabile ed operativa.
5. La (corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 31 ottobre 2007 – 20 dicembre 2007 rigettava l’appello e condannava la società al pagamento delle spese del grado.
6. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la società con tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’accertamento in materia di collegamento societario integrante un unico centro d’imputazione giuridica tra la società xxx Srl e il consorzio xxx a r.l. al fine della valutazione della sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della tutela reale.
Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., lamentando che in giudizio vi era stata una inammissibile modifica della domanda.
Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in riferimento sempre al collegamento economico – funzionale fra la società e il consorzio.
2. Il ricorso – i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.
3. La censura mossa dalla società ricorrente, avente ad oggetto la (contestata) sussistenza del requisito dimensionale, non è fondata.
Va ribadito in proposito l’orientamento delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141) che, in tema di riparto dell’onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, hanno affermato che fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro.
Con l’assolvimento di quest’onere probatorio il datore dimostra – ai sensi della disposizione generale di cui all’art. 1218 cod. civ. – che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L’individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della "disponibilità" dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa.
Quindi gravava sulla società l’onere della prova del fatto che non ricorreva il presupposto dell’occupazione di più di 15 dipendenti.
Assolto questo onere probatorio effettivamente spettava poi al lavoratore la prova del collegamento societario; ma questo tema non poteva che emergere successivamente a seguito della difesa della società datrice di lavoro. Nella specie il tema del collegamento societario è stato trattato correttamente nel giudizio di primo grado ed è stato oggetto di contraddittorio sicchè la possibilità di difesa della società non è risultata diminuita. Il fatto che la difesa del lavoratore abbia argomentato sul punto nelle note autorizzate finali non significa che ci sia stata una modifica dell’oggetto della domanda: il tema dell’applicabilità della tutela reale era presente fin dal ricorso originario.
4. La censura mossa con il terzo motivo di ricorso è inammissibile perchè attiene all’accertamento di fatto delle risultanze istruttorie devoluto al giudice del merito, che ha ritenuto sussistere un unico centro organizzativo e direzionale, rilevante ai fini dell’applicabilità della tutela reale. Ossia al fine della verifica del requisito dimensionale occorre considerare l’impresa nella sua unitarietà economica quale risultante dall’attività connessa e coordinata di plurime società. Va comunque precisato che il collegamento societario al fine dell’applicabilità della L. n. 300 del 1970, art. 18, ha contenuto economico e sostanziale e non coincide necessariamente con la nozione giuridica di gruppo di imprese.
Questa corte (Cass., sez. lav., 22 marzo 2010, n. 6843) ha affermato in proposito che in ipotesi d’illegittimità del licenziamento intimato da società facente parte di un gruppo, l’accertamento del giudice del merito circa la sussistenza di una situazione elusiva degli obblighi scaturenti dal regime di stabilità reale tale da consentire la computabilità, ai fini della reintegrazione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, dei lavoratori dipendenti da tutte le società collegate si risolve in un accertamento di fatto, che, ove sorretto da motivazione immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità. Cfr. anche Cass., sez. lav., 6 aprile 2004, n. 6707, che parimenti ha ritenuto che, anche se il collegamento economico – funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese, tuttavia tale collegamento può rilevare, al fine di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro ai fini della sussistenza o meno del requisito numerico necessario per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato, ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di jn’unica attività fra vari soggetti e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle singole imprese, da parte del giudice del merito.
5. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 4.000,00 (quattromila) per onorario d’avvocato ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2012

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