Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-08-2012, n. 14552

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con sentenza del 14/4 – 16/4/2010 la Corte d’appello di Roma – sezione lavoro, in parziale riforma della sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 29/4/05 dalla xxx s.p.a a B. R. e ne ha ordinato la reintegra con condanna della società al pagamento della penale minima pari a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge e metà delle spese del doppio grado del giudizio. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha spiegato che non era stata fornita la prova del danno da dequalificazione lamentato dal B. in relazione al periodo settembre-dicembre 2004, che la documentazione sanitaria versata in atti era insufficiente ai fini del preteso danno biologico, mentre era fondata la doglianza inerente alla contestata legittimità del licenziamento. A tal proposito la Corte d’appello ha precisato che, pur non essendo stato dimostrato il carattere ritorsivo del licenziamento, doveva ritenersi vincolata all’accertamento operato dal primo giudice circa la dequalificazione attuata progressivamente in danno del B. a decorrere dal gennaio del 2005, stante la mancanza di una appello incidentale al riguardo della società, per cui l’appellante, così demansionato, doveva ritenersi equiparato in tale periodo ad un dirigente per convenzione, figura, questa, che poteva assimilarsi a quelle per le quali risultava applicabile la disciplina sui licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 10. Tanto chiarito, la stessa Corte ha aggiunto che il licenziamento intimato in base alla dichiarata soppressione della funzione organizzativa cui il ricorrente era preposto era da ritenere illegittimo, in quanto in un contesto temporale di poco anteriore era stata creata una nuova funzione del tutto analoga a quella soppressa, denominata "xxx", affidata ad altra risorsa. Ne conseguiva, pertanto, la reintegra dell’appellante nel posto di lavoro, mentre la circostanza conclamata della sua rioccupazione in mansioni dirigenziali, avvenuta nel luglio del 2005, giustificava la condanna risarcitoria al pagamento della penale minima di legge.
Erano risultate, infine, sprovviste della prova dei relativi fatti ostitutivi sia la domanda inerente le pretese differenze retributive a titolo di "xxx" che quella risarcitoria per mancata percezione delle "xxx".
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la xxx s.p.a.
(già xxx s.p.a), la quale affida l’impugnazione a quattro motivi di censura.
Resiste con controricorso B.R., il quale propone, a sua volta, ricorso incidentale al cui accoglimento si oppone la xxx s.p.a..
Il B. deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
1. Col primo motivo la società ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103 c.c. e della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 10, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dell’art. 2118 c.c. e degli artt. 19 e 22 del ccnl per i dirigenti di aziende industriali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La ricorrente si duole, in pratica, del fatto che il giudice d’appello ha qualificato il lavoratore come dirigente convenzionale, operando, in tal modo, una inammissibile distinzione all’interno della categoria dirigenziale e valutando, di conseguenza, la legittimità del recesso datoriale alla stregua della normativa di cui alla L. n. 604 del 1966, con applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in luogo della disciplina di cui all’art. 2118 cod. civ. e degli artt. 19 e 22 del ccnl dei dirigenti di aziende industriali. La medesima aggiunge che l’esclusione dei dirigenti dalla disciplina limitativa dei licenziamenti, nonchè dalla tutela reale, viene operata dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 10, con espresso riferimento alla qualifica rivestita e non all’attività svolta, il che comporta l’inserimento nella categoria esclusa di tutti coloro ai quali sia stata attribuita la qualifica dirigenziale e, perciò, anche dei cosiddetti dirigenti convenzionali.
2. Col secondo motivo è denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2095 e 2103 c.c. e della L. n. 604 del 1966, artt. 1, 3 e 10, dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, dell’art. 2118 c.c. e degli artt. 19 e 22 del ccnl per i dirigenti di aziende industriali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Si contesta la decisione della Corte di merito sia nella parte in cui è stato ritenuto che, al momento del licenziamento, il lavoratore era un dirigente per convenzione in conseguenza della dequalificazione subita negli ultimi quattro mesi del rapporto di lavoro, sia nella parte in cui è stata valutata la legittimità del recesso datoriale alla stregua della normativa di ci alla L. n. 604 del 1966, con applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in luogo della disciplina di cui all’art. 2118 cod. civ. e degli artt. 19 e 22 del ccnl dei dirigenti di aziende industriali. Si precisa, inoltre, che la dequalificazione attuata in progressione dal gennaio 2005 al 29 aprile di quello stesso anno non poteva in alcun modo produrre l’effetto giuridico di modificare validamente la categoria alla quale il dirigente B. aveva diritto ai sensi degli artt. 2095 e 2103 c.c. e comportare, di conseguenza, l’applicazione della disciplina in materia di licenziamento di cui alla L. n. 604 del 1966 ed alla L. n. 300 del 1970, art. 18.
3. Col terzo motivo la difesa della società si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nell’avere il giudicante attribuito rilevanza alla dequalificazione subita dal B. negli ultimi quattro mesi di servizio, equiparandolo, per effetto di ciò, ad un dirigente convenzionale all’epoca del licenziamento, in contrasto con l’accertamento di fatto compiuto dal primo giudice al quale la medesima Corte d’appello ha dichiarato di essere vincolata. Al riguardo la ricorrente fa notare che se, per un verso, era vero che il primo giudice aveva valorizzato la violazione della norma di cui all’art. 2103 c.c., dall’altro, era pur certo che il medesimo aveva accertato che per effetto di ciò si era avuto solo un ridimensionamento delle prerogative del B., senza che il suo ruolo venisse nel complesso alterato. In ogni caso, aggiunge la ricorrente, i soli ultimi quattro mesi in cui si era verificata la dequalificazione nell’arco di un periodo complessivo di quattro anni di durata del rapporto non sembravano costituire un periodo di tempo apprezzabile ed idoneo a determinare l’effetto estintivo del diritto alla qualifica dirigenziale cui alludeva la Corte di merito.
4. Con l’ultimo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nell’avere il giudice d’appello ritenuto non contestata e, comunque, decisiva, ai fini della effettività della riorganizzazione prospettata nella lettera di licenziamento, la circostanza indicata dal B. relativa alla creazione di una funzione denominata "xxx", affidata ad altra persona e con identiche attribuzioni rispetto a quella, poco dopo soppressa, cui era preposto il B..
Il ricorso incidentale è, invece, articolato su otto motivi attraverso i quali vengono affrontate le diverse questioni del mancato accoglimento delle domande aventi ad oggetto le seguenti richieste: accertamento del demansionamento per il periodo settembre – dicembre 2004; liquidazione del danno biologico richiesto in conseguenza della dequalificazione per tutto il periodo fino al licenziamento; accertamento della natura ritorsiva del licenziamento;
conseguimento delle differenze retributive per "xxx" e risarcimento del danno per mancata percezione delle "xxx".
In particolare, in ordine alla lamentata dequalificazione per il periodo settembre-dicembre 2004 il lavoratore si duole sia della carenza di motivazione che della omessa pronunzia su un motivo di gravame che investiva tale aspetto della vicenda. Quanto al danno da lamentata dequalificazione, il B. si duole della violazione degli artt. 2103, 1223 e 2697 cod. civ., oltre che della carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo rappresentato dall’esistenza di allegazioni idonee a far ritenere fondata la domanda. Al riguardo, il medesimo sostiene che il danno all’immagine non necessita di allegazione e prova, costituendo un pregiudizio che discende oggettivamente dalla vicenda lesiva, mentre in merito al preteso danno biologico lamenta una carenza di motivazione sul fatto decisivo rappresentato dalle allegazioni documentali, costituite da certificazioni sanitarie.
In ordine al presunto carattere ritorsivo del licenziamento è denunziato il vizio di carenza di motivazione su punti ritenuti decisivi (stretto nesso di consequenzialità temporale tra la "mail" del lavoratore dell’11/4/05 e la lettera di licenziamento del 29/4/05, pretestuosità dei motivi del recesso e contraddittorietà del comportamento datoriale, improntato, inizialmente, all’elogio ed al riconoscimento di premi). Inoltre, il B. lamenta una carenza di motivazione in ordine alle allegazioni difensive inerenti la domanda relativa alle differenze retributive per "xxx" ed al danno per mancata percezione delle "xxx"; infine, il medesimo si duole della carenza di motivazione in ordine alla disposta liquidazione del danno da licenziamento illegittimo nella misura della penale minima di legge, in quanto se, per un verso, era vero che dopo il licenziamento egli aveva trovato una nuova occupazione, per altro, aveva precisato che la relativa retribuzione corrispondeva alla metà di quella che percepiva dalla xxx. Osserva la Corte che i primi tre motivi del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente in quanto affrontano, sotto diversi aspetti, la stessa questione della ravvisabilità nella fattispecie della figura del cosiddetto dirigente convenzionale, attribuita in sentenza al B. con riferimento all’arco temporale degli ultimi quattro mesi del rapporto di lavoro quale effetto della sua progressiva dequalificazione, e dell’applicabilità o meno della disciplina del licenziamento di cui alla L. n. 604 del 1966 ed alla L. n. 300 del 1970, art. 18.
Tali motivi sono fondati.
Invero, premesso che le norme di cui alla L. n. 604 del 1966, non si applicano, per espressa previsione dell’art. 10, nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, va osservato che, per quel che concerne i dirigenti, questa Corte ha di recente (Cass. sez. lav. 27/11/07 n. 24246 e n. 25145/2010) avuto modo di precisare che la suddetta normativa trova applicazione con riferimento ai soli pseudo-dirigenti, cioè coloro che per essere tali non rivestono funzioni dirigenziali alla stregua delle declaratorie collettive e che non vanno, quindi, confusi coi dirigenti effettivi, tra i quali possono annoverarsi anche i cosiddetti dirigenti per convenzione (tale è stato ritenuto il B. dal giudice d’appello per il fatto che negli ultimi quattro mesi, da gennaio 2005 al 29/4/05, data del licenziamento, era stato progressivamente dequalificato), i quali, siano o meno dirigenti apicali, restano, invece, esclusi dall’applicazione della speciale normativa sui licenziamenti individuali.
Infatti, questa Corte (Cass. sez. lav. n. 25145 del 13/12/2010) ha, da ultimo, statuito che "la disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alla L. 15 n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 10, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudodirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente. Ne consegue che, ai fini dell’eventuale riconoscimento dell’indennità supplementare prevista per la categoria dei dirigenti, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo L. n. 604 del 1966, ex art. 3, e di giusta causa ex art. 2119 cod. civ., trovando la sua ragione d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni affidate – suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad aspettative riconoscibili "ex ante" o da importante deviazione dalla linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro, ovvero da comportamento extralavorativo incidente sull’immagine aziendale a causa della posizione rivestita – e, dall’altro, nello stesso sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda".
Oltretutto, è fondata anche la terza censura attraverso la quale è correttamente messo in risalto il fatto che la dequalificazione, ravvisata dai giudici di merito con riferimento agli ultimi quattro mesi del rapporto durato quattro anni, così come accertata dal primo giudice e fatta propria dal giudice d’appello per mancanza di appello incidentale della società, aveva investito in maniera limitata la pienezza delle funzioni dirigenziali attraverso una parziale e progressiva sottrazione di mansioni nella fase terminale del rapporto, per cui la stessa, intesa in tali termini, non poteva aver inciso sulla qualifica dirigenziale oggetto dell’accordo tra le parti.
Infine, è fondata la quarta censura del ricorso principale con la quale si imputa al giudice d’appello di aver erroneamente ritenuto non contestata la circostanza, decisiva ai fini della valutazione della effettività della riorganizzazione aziendale, indicata dal B., vale a dire quella relativa alla creazione della funzione "xxx" affidata ad altra persona con identiche attribuzioni a quella soppressa in cui operava il medesimo dipendente. Infatti, dai periodi riportati della memoria difensiva della società risulta che la contestazione della suddetta circostanza (n. 34 del ricorso di primo grado) avvenne in maniera espressa e alla stessa ne fu opposta una di tipo documentale (ordine di servizio n. 181/05 in cui si spiegava che tale nuova funzione non ricadeva nell’organizzazione della società, ma faceva capo alla Capogruppo "xxx"), il tutto reiterato in appello dalla difesa della stessa società.
Il ricorso incidentale è infondato.
Anzitutto, bene ha fatto la Corte d’appello a richiamare il consolidato principio giurisprudenziale (Cass. S.U. n. 6572/06) per il quale in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo, allegazione che nella fattispecie non è stata riscontrata dalla Corte territoriale.
Inoltre, non si giustificano le censure di carenza di motivazione, in quanto il giudicante ha fatto chiaro riferimento non solo alla mancanza delle allegazioni atte a supportare la richiesta di danni da dequalificazione, ma ha anche precisato che la documentazione medica versata in atti conteneva solo una descrizione della malattia. Nè può ritenersi che vi sia una omessa pronunzia sul lamentato demansionamento per il periodo settembre – dicembre 2004, avendo il giudice d’appello ritenuto di circoscriverlo al periodo gennaio- aprile 2005 sulla base della mancata impugnazione incidentale della relativa statuizione, per cui la domanda per il periodo precedente è da ritenere implicitamente rigettata.
Si è, infatti, affermato (Cass. sez. 2 n. 10001 del 24/6/03) che "qualora ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che si riscontra soltanto allorchè manchi una decisione in ordine a una domanda a o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto".
Egualmente prive di pregio si rivelano le doglianze sulla carenza di motivazione inerente il rigetto dell’accertamento della natura ritorsiva del licenziamento: invero, il giudice d’appello ha verificato, con argomentazione congrua ed immune da vizi di natura logico-giuridica, la mancanza di elementi dai quali poter desumere un tale motivo illecito ed ha ritenuto che la mera presunzione rappresentata dalla contiguità temporale del licenziamento alle lamentele espresse per posta elettronica dal lavoratore era inidonea ai fini della prova del suddetto intento; inoltre, lo stesso giudice ha considerato che erano generici gli elementi rappresentati dal preteso carattere ingiustificato del recesso e dagli elogi formulati al dipendente fino all’inizio del 2005.
Nè è ravvisabile la carenza di motivazione in ordine al rigetto della domanda diretta al conseguimento delle differenze retributive per indennità contrattuali pretese a diverso titolo, avendo il giudicante osservato, con accertamento di fatto insindacabile in cassazione per essere sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, che non era stata fornita la prova del fatto costitutivo del diritto rivendicato, cioè il conseguimento dei risultati cui il pagamento delle stesse indennità era subordinato.
Resta, invece, assorbito l’ultimo motivo sull’entità del danno da licenziamento, essendo stato accolto il ricorso principale che ha investito la pronunzia di illegittimità dello stesso.
In definitiva, il ricorso principale va accolto e, per l’effetto, la sentenza va cassata.
Ne consegue che la causa va rimessa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvederà ad accertare la legittimità del licenziamento alla stregua degli artt. 2118 e 2119 cod. civ. e degli artt. 19 e 22 del ccnl per i dirigenti di aziende industriali "ratione temporis" vigente.
Va, invece, rigettato il ricorso incidentale, ad eccezione dell’ultimo motivo che rimane assorbito.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale ad eccezione dell’ultimo motivo che rimane assorbito, cassa la sentenza e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *