T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 27-01-2011, n. 172

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con la L.r. 23/2008 la Regione Lombardia ha autorizzato la Provincia di Bergamo ad attivare 24 impianti per la cattura di 18.100 richiami vivi, suddivisi in tordi bottacci (8.500), tordi sasselli (4.000), cesene (4.000), merli (1.000), allodole (600).

Con l’impugnata deliberazione l’amministrazione provinciale ha attivato 21 impianti di cattura a reti verticali e 1 a reti orizzontali per la cattura dei richiami vivi, dalla terza domenica di settembre al 31 dicembre 2008.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione le ricorrenti impugnano i provvedimenti epigrafe, deducendo i seguenti motivi di gravame:

a) Violazione dell’art. 7 comma 4 della L.r. 26/93 e della L. 241/90 per omessa acquisizione del prescritto parere obbligatorio dell’INFS (oggi denominato ISPRA), dotato di competenza tecnica in materia;

b) Violazione degli artt. 5 e 19bis della L. 157/92, dell’art. 26 della L. 26/93, dell’art. 1 della L.r. 3/2007 e dell’allegato D alla L.r. 26/93 in relazione alla direttiva CE 79/409, poiché la Provincia – sulla base dei richiami vivi già in possesso dei cacciatori che praticano la caccia da appostamento – ha autorizzato la cattura nella misura massima prevista dalla legge regionale, per consentire il raggiungimento della soglia limite prevista per ciascuna specie;

c) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti, poichè la Provincia è incorsa in errori:

I. nel rilevare il numero di cacciatori (4.303 per l’appostamento fisso + 2500 per l’appostamento temporaneo) e dei richiami già posseduti;

II. per ciascuna specie di turdidi (tordo bottaccio, tordo sassello, cesena e merlo) il numero totale dei cacciatori (6.803) è stato moltiplicato per 10, senza tenere conto del fatto che i cacciatori da appostamento temporaneo sono abilitati ad utilizzare al massimo dieci richiami complessivi (cfr. art. 26 comma 3 L.r. 26/93);

III. è stato sottostimato il numero dei richiami nella disponibilità dei cacciatori, dato che il censimento – basato su un’autocertificazione alla quale non hanno fatto seguito appropriati controlli successivi – non offre alcuna garanzia di attendibilità non essendo stato informato a criteri tecnicoscientifici;

IV. il censimento ha riguardato solo i cacciatori d’appostamento fisso, nella misura dell’82,1%;

d) Violazione dell’art. 19bis della L. 157/92 e dell’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, poiché dovevano essere apprezzate le possibili alternative alla cattura selettiva degli uccelli;

e) Eccesso di potere per contraddittorietà nel calcolo della modalità di distribuzione dei richiami vivi;

f) Illegittimità delle previsioni riguardanti la cattura del tordo boccaccio:

g) Indebita delega di attività istituzionali ad organi terzi, privi di mezzi e dunque indotti a violare la legge.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione provinciale, chiedendo la reiezione del gravame.

Con ordinanza n. 765, adottata nella Camera di Consiglio del 30/10/2008, la Sezione ha parzialmente accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.

La Provincia si è adeguata alla pronuncia cautelare correggendo il sistema di calcolo del fabbisogno di richiami vivi (doc. 25).

Alla pubblica udienza del 13/1/2011 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del gravame sollevata dalla difesa provinciale, la quale sottolinea l’intervenuta chiusura della stagione venatoria 2008/2009 e l’avvenuta adozione degli atti relativi alle stagioni 2009/2010 e 2010/2011, non censurati dalle ricorrenti.

Se è pur vero che l’atto impugnato ha esaurito i suoi effetti (essendo da tempo conclusa la stagione di caccia di cui è causa), è parimenti innegabile che una pronuncia di questo Tribunale favorevole alle ricorrenti avrebbe senza dubbio l’effetto di orientare e conformare l’attività amministrativa per le prossime stagioni venatorie, allo scopo di evitare la ripetizione di condotte contra legem, oltre ai possibili riflessi in relazione ad un ipotetico giudizio di tipo risarcitorio (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 5/3/2009 n. 1751; 3/3/2010 n. 533).

Nel merito il gravame è fondato.

1. Devono essere esaminate con priorità le censure di cui alle lett. b) e d) dell’esposizione in fatto, con le quali le ricorrenti deducono anzitutto la violazione degli artt. 5 e 19bis della L. 157/92, dell’art. 26 della L. 26/93, dell’art. 1 della L.r. 3/2007 e dell’allegato D alla L.r. 26/93 in relazione alla direttiva CE 79/409, poiché la Provincia – sulla base dei richiami vivi già in possesso dei cacciatori che praticano la caccia da appostamento – ha autorizzato la cattura nella misura massima prevista dalla legge regionale, per consentire il raggiungimento della soglia limite prevista per ciascuna specie.

Le ricorrenti si dolgono poi della violazione dell’art. 19bis della L. 157/92 e dell’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, poiché non sono state prese in considerazione le possibili alternative alla cattura selettiva degli uccelli.

2. Detta prospettazione merita condivisione, anche alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 22/7/2010 n. 266. Essa in particolare statuisce che "L’art. 9 della citata direttiva 79/409/CEE – oggi riprodotto (senza alcuna modificazione di sostanza) nell’art. 9 della direttiva 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici) – prevede che gli Stati membri, "sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti", possano derogare alle misure di protezione poste dalla medesima direttiva per il conseguimento di una serie di interessi generali tassativamente indicati fra i quali, per quanto riguarda il presente giudizio, quello di "consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di uccelli in piccole quantità". La costante giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che si tratta di "un potere di deroga esercitabile in via eccezionale" che ammette "l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall’art. 9.1, e secondo le procedure e le modalità di cui al punto 2 dello stesso art. 9" (sentenze n. 168 del 1999 e n. 250 del 2008).

Il carattere eccezionale del potere in questione è stato peraltro ribadito anche dalla giurisprudenza comunitaria (in particolare, Corte di giustizia CE, 8 giugno 2006, causa C118/94), secondo la quale l’autorizzazione degli Stati membri a derogare al divieto generale di cacciare le specie protette è subordinata alla adozione di misure di deroga dotate di una motivazione che faccia riferimento esplicito e adeguatamente circostanziato alla sussistenza di tutte le condizioni prescritte dall’art. 9, paragrafi 1 e 2. Detti requisiti, infatti – precisa sempre la Corte di giustizia della Comunità europea (oggi Corte di giustizia dell’Unione europea) – perseguono il duplice scopo di limitare le deroghe allo stretto necessario e di permettere la vigilanza degli organi comunitari a ciò preposti. In particolare, il paragrafo 2 dell’art. 9 della citata direttiva prevede che le deroghe debbano menzionare: a) le specie che formano oggetto delle medesime; b) i mezzi, gli impianti o i metodi di cattura o di uccisione autorizzati; c) le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere applicate; d) l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, impianti o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali persone; e) i controlli che saranno effettuati.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, il rispetto del vincolo comunitario derivante dall’art. 9 della direttiva 79/409/CEE (oggi art. 9 della direttiva 2009/147/CE) impone l’osservanza dell’obbligo della puntuale ed espressa indicazione della sussistenza di tutte le condizioni in esso specificamente indicate, e ciò a prescindere dalla natura (amministrativa ovvero legislativa) del tipo di atto in concreto utilizzato per l’introduzione della deroga al divieto di caccia e di cattura degli esemplari appartenenti alla fauna selvatica stabilito agli articoli da 5 a 8 della medesima direttiva".

La Corte costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia n. 19 del 2009, in quanto "deve rilevarsi la completa omissione di qualsiasi cenno in ordine alla sussistenza delle condizioni e dei presupposti richiesti dalla direttiva".

3. Osserva anzitutto il Collegio che il provvedimento impugnato in questa sede è stato adottato sulla base della L.r. 23/2008 la quale – seppur non direttamente investita dagli effetti della pronuncia della Corte – presenta gli stessi vizi dell’identico provvedimento legislativo adottato l’anno successivo, limitandosi ad approvare il piano di cattura dei richiami vivi (allegato A), ossia una tabella contenente per ciascuna Provincia l’indicazione del numero di impianti attivabili e la quantità di uccelli da richiamo catturabili suddivisi per specie.

Rispetto al provvedimento legislativo è possibile avvalersi dell’istituto della disapplicazione. E’ infatti noto che le norme comunitarie (comprese le direttive, purchè scadute e sufficientemente dettagliate) sono caratterizzate dall’efficacia diretta, ossia dall’immediata penetrazione nel tessuto nazionale con l’attribuzione ai singoli (persone fisiche e giuridiche) di posizioni soggettive tutelabili innanzi ai giudici di ciascun paese membro. Per effetto di tale meccanismo, la norma interna – anteriore o posteriore – incompatibile con l’ordinamento comunitario deve essere disapplicata dal giudice nazionale nel caso di specie sottoposto alla sua cognizione, senza la necessità di ottenere la previa dichiarazione di incostituzionalità: in definitiva, il diritto nazionale recede di fronte alle disposizioni in posizione di primazia immediatamente operative.

4. Neppure l’atto impugnato soddisfa le condizioni dettate dal diritto comunitario poiché – dopo aver richiamato la legge regionale – si sofferma unicamente sulla necessità di ricostituire (almeno parzialmente) il patrimonio di richiami vivi di cattura dei cacciatori da appostamento, garantito dall’art. 26 della L.r. 26/93. Sono in proposito condivisibili le deduzioni di W. e L., le quali sostengono che il tetto massimo di richiami fissato per ciascun cacciatore (10 unità per specie per chi esercita l’attività da appostamento fisso – con massimo di 40 – e 10 complessive per chi esercita la caccia da appostamento temporaneo) non va inteso come un pacifico obiettivo da raggiungere, dato che la direttiva 79/409 sulla conservazione degli uccelli selvatici circoscrive la deroga al divieto di cattura ai casi strettamente necessari.

La Corte di giustizia CE, nella pronuncia 8/6/2006 (causa C118/94 punto n. 34), afferma che "Come risulta, infatti, dalla sentenza della Corte 7 marzo 1996, causa C118/94, Associazione italiana per il W. e a. (Racc. pag. I1223, punti 23, 25 e 26), la normativa nazionale applicabile in tale materia deve enunciare i criteri di deroga in modo chiaro e preciso ed imporre alle autorità responsabili della loro applicazione di tenerne conto. Trattandosi di un regime eccezionale, che deve essere di stretta interpretazione e far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione, gli Stati membri sono tenuti a garantire che qualsiasi intervento riguardante le specie protette sia autorizzato solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’articolo 9, nn. 1 e 2, della direttiva".

5. Lo stesso art. 19bis della L. 157/92 riafferma le previsioni di cui all’art. 9 citato, disponendo che "Le regioni disciplinano l’esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE… conformandosi alle prescrizioni dell’articolo 9, ai princìpi e alle finalità degli articoli 1 e 2 della stessa direttiva…" e che le deroghe "… in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, possono essere disposte solo per le finalità indicate dall’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 79/409/CEE…".

6. Il provvedimento impugnato dà conto di un’attività istruttoria condotta mediante il censimento dei richiami vivi già in possesso dei cacciatori che praticano questa tradizionale forma di caccia.

Nelle sue difese l’amministrazione provinciale puntualizza che tale indagine è in corso dal 2000 ed ha permesso di ricostruire il patrimonio dell’82,1% dei praticanti l’attività venatoria ed evidenzia l’inadeguatezza dei richiami provenienti dall’allevamento in cattività, il calo progressivo delle catture tra il 2000 e il 2008 (cfr. tabella pag. 12 memoria finale) ed il naturale decesso dei richiami (la vita media del richiamo in cattività è pari a 6 anni). Tali eventi rendono nei fatti irraggiungibile il quantitativo massimo autorizzato dalla Regione.

6.1 L’analisi sviluppata dall’amministrazione – se permette di apprezzare i dati obbiettivi sui richiami vivi distribuiti sul territorio provinciale ed il loro andamento – si rivela lacunosa nel suo antecedente logico: in buona sostanza la Provincia compie una serie di operazioni aritmetiche finalizzate a garantire ai cacciatori il numero massimo di richiami loro accordato dalla L.r. 26/93, senza indagare le reali ed effettive necessità di questi ultimi e senza approfondire soluzioni alternative alla cattura altrettanto soddisfacenti nei risultati. Come ha messo in evidenza la giurisprudenza, in tal modo si contravviene in maniera evidente alle previsioni del diritto comunitario, che vietano, in via generale, la cattura di animali selvatici vivi: la deroga consentita non può che essere interpretata in modo restrittivo, dovendosi ritenere imprescindibili delle giustificazioni congruenti, sia per procedere alla sua attuazione, che per individuare i limiti quantitativi ritenuti necessari" (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 3/3/2010 n. 533). In definitiva non si individuano le deroghe nelle misura dello stretto necessario, ma puramente e semplicemente si consente la cattura entro il limite massimo regionale (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 6/4/2009 n. 3136), seppur dando atto dell’impossibilità di conseguire tale obiettivo nella sua interezza.

7. La Provincia obietta da un lato che le catture non riguardano specie protette – le sole direttamente salvaguardate dalla direttiva – e dall’altro che sono utilizzate le reti mistnets, indicate dall’INFS ed avvalorate dalla giurisprudenza.

7.1 Rimeditando la questione sommariamente affrontata in sede cautelare, il Collegio rileva anzitutto che la direttiva comunitaria "concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato" (art. 1 comma 1) e che la stessa "si applica agli uccelli, alle uova, ai nidi e agli habitat" (art. 1 comma 2). Inoltre "Gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1…" (art. 2), e "Fatte salve le disposizioni degli articoli 7 e 9, gli Stati membri adottano le misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1" (art. 5). In aggiunta "Per quanto riguarda la caccia, la cattura o l’uccisione di uccelli nel quadro della presente direttiva, gli Stati membri vietano il ricorso a qualsiasi mezzo, impianto e metodo di cattura o di uccisione, in massa o non selettiva…". Risulta pertanto chiaro che la tutela apprestata dalla direttiva si estende a tutti gli esemplari di uccelli, compresi quelli per i quali è ammessa la caccia in regime controllato, salve le speciali misure di protezione e conservazione per le particolari specie elencate nell’allegato I (art. 4).

7.2 Per quanto riguarda le reti mistnets, né la L.r. 26/93 né il suo allegato D – invocati dalla Provincia – danno conto dell’approfondimento compiuto in ossequio alla normativa comunitaria, limitandosi a descrivere le caratteristiche delle reti, le modalità di prelievo ed i controlli: l’Ente locale non si diffonde in riflessioni sull’esistenza di modalità alternative alla cattura, e ciò è attestato dalla parte dell’allegato D nella quale si afferma che "L’attività di cattura per l’inanellamento e per la cessione a fini di richiamo, non sussistendo altre condizioni alternative nella regione, è svolta da impianti della cui autorizzazione è titolare la provincia".

E’ pur vero che la giurisprudenza ha sostenuto che l’uso di reti per la cattura di volatili per la cessione come richiami vivi costituisce strumento adeguatamente selettivo se, per le caratteristiche tecniche delle reti impiegate e per la presenza di personale specializzato, sia garantita la sopravvivenza e la tempestiva liberazione dalle reti degli esemplari appartenenti a specie protette, la cui cattura non è consentita (Consiglio di Stato, sez. VI – 19/5/2003 n. 2698). Tuttavia l’assenza di sistemi alternativi meno "impattanti" sulla fauna non può fondarsi su tecniche giustificate da oltre 15 anni, ancorandosi alle conclusioni raggiunte a quell’epoca senza soffermarsi sugli eventuali nuovi metodi cui è approdata la ricerca e senza dare adeguatamente conto delle opzioni diverse come ad es. meccanismi di incentivazione degli allevamenti.

La fondatezza delle sopraesposte censure determina l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento della deliberazione impugnata. Gli ulteriori profili di doglianza possono essere assorbiti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate come da dispositivo a carico della Provincia, mentre possono essere compensate nei confronti del controinteressato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna la Provincia di Bergamo a corrispondere alle ricorrenti, in solido tra loro, la somma di Euro 3.800 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad oneri di legge.

Condanna altresì l’amministrazione soccombente a rifondere alle ricorrenti le spese del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 6bis del D.P.R. 30/5/2002 n. 115.

Spese compensate nei confronti del controinteressato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Primo Referendario

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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