Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-08-2012, n. 14551

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Svolgimento del processo
Con sentenza del 9/10/08 – 24/8/2009 la Corte d’appello di Roma – sezione lavoro ha respinto l’impugnazione proposta da A.G. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma del 17/5/06 che gli aveva rigettato la domanda diretta all’annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli il 13/9/04 dalla xxx s.r.l..
Il licenziamento in tronco era stato intimato al ricorrente in base alla contestata appropriazione indebita della somma di Euro 30,00 pagata da un cliente di un albergo il (OMISSIS) per il noleggio di una cassetta di sicurezza, albergo presso il quale il lavoratore espletava il proprio servizio di portiere.
La Corte territoriale ha motivato tale decisione spiegando che le giustificazioni rese dal dipendente licenziato a sua discolpa non avevano trovato riscontri e che la sanzione inflittagli era proporzionata all’entità dell’addebito disciplinare.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.G., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso la xxx s.r.l., quale società incorporante la xxx s.r.l..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
Il ricorrente sostiene che la Corte di merito è incorsa in errore nell’attribuire rilievo determinante, ai fini dell’affermazione della sussistenza della giusta causa del licenziamento, alla circostanza del mancato inserimento dei dati relativi al noleggio della cassetta di sicurezza nel sistema informatico, anzichè al fatto, riscontrato anche dalle testimonianze, che esisteva un quaderno adibito alle annotazioni del noleggio di tali cassette; aggiunge, inoltre, che il giudicante non si è fatto carico di chiarire quale fosse all’epoca dei fatti di causa la procedura per la registrazione della voce relativa alle cassette di sicurezza e in che cosa fosse esattamente consistito il suo presunto comportamento omissivo ai fini del lamentato danno contabile.
2. Col secondo motivo è lamentata la violazione dell’art. 2119 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa motivazione.
In sintesi, ci si duole di una inadeguata valutazione degli elementi istruttori nel loro complesso ai fini dell’accertamento della proporzione della sanzione inflitta rispetto alla reale entità dell’addebito disciplinare contestato. Il ricorso è infondato.
In realtà, entrambi i motivi finiscono per introdurre censure dirette solo alla inammissibile rivisitazione del merito della causa a fronte delle argomentazioni congruamente motivate adoperate dal giudice d’appello nel pervenire, con ragionamento esente da vizi di tipo logico-giuridico, al convincimento della ricorrenza della giusta causa dell’impugnato licenziamento, per cui si rivelano insussistenti i denunziati vizi di violazione di legge.
Infatti, con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici, la Corte di merito ha rilevato che all’esito dell’istruttoria di primo grado non era stata avvalorata la circostanza dedotta a propria difesa dal licenziato, vale a dire quella per la quale non era necessario inserire l’operazione contabile di incasso anche nel sistema informatico dell’albergo; nè era emerso, secondo il giudicante, che poteva essere sufficiente la sola annotazione della stessa operazione in un quaderno, atteso che era risultato che un tale adempimento serviva perchè inizialmente il dato relativo al numero della cassetta di sicurezza non era riportato nel terminale.
In ogni caso, nella sentenza impugnata è chiarito che neppure era stato dimostrato che il ricorrente aveva annotato sul quaderno l’operazione oggetto di contestazione, per cui l’invocata buona fede era rimasta una mera allegazione di parte, tanto più che appariva inverosimile la prospettata impossibilità di procurarsi nei giorni immediatamente successivi al ricevimento della banconota trattenuta di Euro 200,00 il contante necessario ad integrare nella cassa l’importo di Euro 30,00 corrispondente al noleggio della cassetta di sicurezza. Infine, secondo la Corte territoriale, il danno di immagine derivatone alla struttura alberghiera, che aveva avviato la procedura disciplinare proprio a seguito della segnalazione del cliente che non aveva ottenuto dal ricorrente la ricevuta fiscale dell’operazione, costituiva un fatto imputabile esclusivamente alla condotta infedele del dipendente ed incideva irrimediabilmente sul rapporto fiduciario, per cui la massima sanzione disciplinare era risultata proporzionata all’addebito contestato.
Non va, infatti, dimenticato che "in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti)." (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04).
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario, oltre Euro 40,00 per esborsi, nonchè I.V.A., C.P.A. e spese generali ai sensi di legge.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2012

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