Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 20-06-2013, n. 26905

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – M.A., indagato per il delitto, in concorso, di rapina,di lesioni e di resistenza a p.u., ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di Napoli, datata 18.12.2012/9.1.2013, che, in sede di riesame, confermava la pregressa ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip dello stesso tribunale in data 5.12.2012, denunciando,con il richiamare l’art. 606 c.p.p., lett. b) ed c), carenza di motivazione in ordine alla gravita degli indizi.

Il ricorso non merita accoglimento, nella misura in cui svolge il tentativo di una ricostruzione dei fatti valorizzando elementi circostanziali, e depotenziando il valore oltremodo significativo delle circostanze considerate dai giudici di merito. I quali hanno fatto perno, per sostenere la motivazione della loro decisione, sulle dichiarazioni della persona offesa, aggredita da due rapinatori, a bordo di un motorino ed a viso scoperto, che lo rapinavano della somma di Euro 30,00 del telefonino e delle chiavi della sua autovettura, che dava una descrizione fisica dell’ imputato, che successivamente lo individuava davanti alla p.g.. Il coacervo degli elementi sopra indicati veniva poi implementato dalla circostanza che, subito dopo il fatto, i due rapinatori venivano inseguiti dalla polizia giudiziaria ed arrestati in quasi flagranza. Opporre ad una tale discorso giustificativo giudiziale una serie di circostanze – i due rapinatori indossavano il casco sul motorino che si era dato alla fuga, i due non furono trovati in possesso della refurtiva, la persona prima della individuazione non avrebbe riferito nulla sulle fattezze dei rapinatori, disomogenee rispetto alla ricostruzione accusatoria non è concludente in sede di legittimità sotto due profili: da un lato, per aver dato una plausibile giustificazione di talune circostanze – l’indossare i rapinatori il casco nel corso della fuga e non essere stati trovati in possesso della refurtiva – del tutto compatibile con la commissione, in tempi antecedenti, del delitto, dall’ altro per costituire mere asserzioni, sfornite di supporti, aver contestato il fatto della preventiva descrizione, anche se sommaria, del rapinatore da parte della persona offesa prima della sua individuazione. In sede di legittimità, invero, non sono consentite censure che, pur non caratterizzandosi per la loro illogicità, pretendano di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dal poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, complessivamente e puntualmente nel caso di specie considerati dalla sentenza impugnata, posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2013

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