Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-08-2012, n. 14550

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Svolgimento del processo
1. Con ricorso in data 14 giugno 2002 l’Ing. G.G. conveniva in giudizio davanti al tribunale di Roma la società xxx S.p.A. e la società xxx S.p.A..
Esponeva che era stato assunto il 1 gennaio 1972 dalla società xxx S.p.A. (oggi xxx S.p.A.) che, con effetto dal 1 marzo 1976, lo aveva promosso dirigente. Svolgeva quindi per nove anni mansioni di dirigente, addetto alla promozione commerciale e alle vendite in Europa e nel centro America. Con effetto dal 2 settembre 1991 ricopriva la carica di direttore centrale e veniva nominato responsabile del "business development", struttura organizzativa comprendente 67 dipendenti di cui 19 dirigenti del settore aeronautica alle dipendenze della società xxx S.p.A. nella quale era confluita la società xxx S.p.A..
Con ordine di servizio n. 116 del 19 aprile 1995 veniva modificata la struttura organizzativa della società, senza però prevedere alcun incarico per il ricorrente, che veniva lasciato in condizioni di forzata inattività. L’incarico da quest’ultimo in precedenza svolto veniva affidato ad altro dirigente. Si determinava così una condizione di totale demansionamento ed isolamento protrattosi ininterrottamente dall’aprile del 1995 per oltre sei anni con danni alla sua professionalità e anche alla sua salute.
Successivamente nell’ottobre del 2001 la società gli proponeva un esodo anticipato con la corresponsione di un incentivo pari a 18 mensilità di retribuzione oltre l’indennità sostitutiva del preavviso.
A tale proposta il ricorrente rispondeva con lettera del 26 ottobre 2001 precisando che comunque non intendeva rinunciare al risarcimento dei danni subiti per il demansionamento.
A seguito di ciò il ricorrente veniva licenziato con lettera in data 8 novembre 2001 con cui la società comunicava che non era stato possibile trovare alcuna idonea collocazione in azienda per il ricorrente.
Tutto ciò premesso, il ricorrente domandava la dichiarazione di illegittimità del licenziamento e la condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. In via subordinata chiedeva la condanna al pagamento dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva per i dirigenti di aziende industriali; oltre in ogni caso al risarcimento dei danni subiti.
2. Si costituivano la società xxx S.p.A. e la società xxx S.p.A..
Il tribunale di Roma con sentenza n. 21 mila 884 del 22 novembre 2005 accertava il demansionamento denunciato dal ricorrente e condannava le società convenuta al risarcimento del danno nella misura di Euro 537.000, oltre accessori.
Dichiarava l’illegittìmità del licenziamento e condannava le società alla pagamento di ulteriori Euro 129.682,22. Condannava con le società al pagamento delle spese di lite.
3. Avverso tale decisione la società xxx S.p.A. e la società xxx S.p.A. hanno proposto appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado. L’impugnazione è stata articolata in tre motivi con cui contestava il demansionamento ritenuto dal giudice di primo grado, nonchè la quantificazione del danno e l’accertata la illegittimità del licenziamento.
Si, è costituito l’appellato resistendo l’impugnazione e proponendo anche appello incidentale per il riconoscimento del carattere ritorsivo del licenziamento.
La corte d’appello di Roma con sentenza n. 9351 del 19 dicembre 2008 – 5 ottobre 2009 ha accolto parzialmente l’appello principale riducendo il risarcimento del danno alla somma di Euro 225.750, oltre accessori; ha rigettato l’appello incidentale; ha compensato tra le parti le spese del grado.
In particolare la corte d’appello, ripercorrendo analiticamente le risultanze processuali, ha ritenuto sussistente il lamentato demansionamento a partire dall’aprile del 1995, così confermando in questa parte la pronuncia de giudice di primo grado.
Quanto al secondo motivo d’appello, la corte territoriale ha ritenuto che il danno professionale fosse quantificabile equitativa mente nella misura del 10% della retribuzione; ha escluso il danno alla vita di relazione e il danno morale nonchè quello per perdita di possibilità di guadagno, perchè non provati.
Quanto ai terzo motivo d’appello, la corte territoriale ha confermato la valutazione di illegittimità del licenziamento perchè la causale faceva riferimento alla soppressione del posto di lavoro dell’originario ricorrente, ossia una vicenda organizzativa aziendale risalente ad alcuni anni prima e quindi vi era una sostanziale mancanza di tempestività.
La corte d’appello buoni riteneva infondato l’appello incidentale non risultando provato il motivo ritorsivo.
4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il C. con tre motivi.
Resistono con controricorso le società intimate che hanno anche proposto ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. e art. 1226 c.c., nonchè il vizio di motivazione. Deduce che le società appellanti avevano contestato che si fosse determinata una situazione di demansionamento ritenuto dal giudice di primo grado. Ma non avevano mosso alcuna censura in ordine ai criteri adottati dalla sentenza di primo grado per la determinazione in via equitativa del risarcimento del danno.
Ossia l’impugnazione era stata limitata alla sussistenza del demansionamento, ma non si era estesa anche alla quantificazione del danno risarcito.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 2059 c.c., nonchè vizio di motivazione. In particolare il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da trattamento ingiurioso.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c., dell’art. 1345 c.c., degli artt. 15 e 18 dello statuto dei lavoratori. In particolare il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato l’appello incidentale diretto ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento perchè viziato da motivo illecito di ritorsione.
2. Le società intimate hanno proposto ricorso incidentale articolato in tre motivi.
Con il primo motivo la società ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2013, 2087, 2697, 2118 c.c., nonchè vizio di motivazione. Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata la dequalificazione denunciata dal dipendente sin dall’aprile 1995, asseritamente verificatesi a seguito di una riorganizzazione aziendale che aveva condotto alla soppressione dell’unità organizzativa di cui era responsabile il ricorrente. In particolare la corte d’appello ha ignorato le numerose missioni all’estero svolte dal ricorrente.
Con secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2087, 1218, 1226, 1227, 2697 c.c., artt. 115, 116 e 132 c.p.c., nonchè vizio di motivazione. In particolare le società ricorrenti incidentali si dolgono del fatto che la corte d’appello, pur a fronte della mancata puntuale allegazione del danno alla professionalità subito dal ricorrente, ha ritenuto provato tale danno ricorrendo a presunzioni.
Col terzo motivo le società ricorrenti in via incidentale denunciano la violazione dell’art. 19 del contratto collettivo per i dirigenti industriali, nonchè l’art. 2697 c.c.. In particolare le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto illegittimo il licenziamento del ricorrente, mentre sussisteva il giustificato motivo oggettivo.
3. Vanno riuniti, per connessione oggettiva è soggettiva, i giudizi promossi rispettivamente con ricorso principale con ricorso incidentale.
4. Il ricorso principale – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.
4.1. Va esaminato innanzitutto il terzo motivo del ricorso incidentale concernendo esso la valutazione di illegittimità del licenziamento.
Il motivo è infondato trattandosi di censura in fatto avverso l’impugnata sentenza della corte d’appello che, sul punto, si fonda su ampia e dettagliata motivazione.
Il licenziamento intimato in data 3 novembre 2001 – ha osservato la corte d’appello – è stato motivato con riferimento alle modifiche organizzative intervenute nella società e alla conseguente soppressione del posto occupato dalla G.. Ma le vicende societarie riconducibili all’ipotesi della riorganizzazione al centrale risalivano al 1995 e quindi vi era un intervallo temporale tale da non ritenerle riconducibili al recesso intimato dalla società alcuni anni dopo. Invece nell’atto di licenziamento non si faceva menzione dell’esaurimento dei progetti in relazione ai quali era stato conferito al dirigente l’incarico di staff. Da ciò la ritenuta non giustificatezza del licenziamento del dirigente, laddove invece nessun elemento deponeva per un asserito carattere ingiurioso (e quindi discriminatorio) del licenziamento stesso.
In proposito questa corte (Cass., sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3628) ha affermato che il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi anche su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, della cui prova è onerato il datore di lavoro. Cfr. altresì, sempre in tema di licenziamento del dirigente, Cass., sez. lav., 10 aprile 2012, n. 5671.
Nella specie la corte d’appello, con valutazione di merito, ha escluso che la società avesse fornito la prova dell’allegata ragione organizzativa, posta a fondamento del recesso datoriale.
4.2. Va poi rigettato il primo motivo del ricorso incidentale: la corte d’appello ha diffusamente motivato in ordine alla ritenuta sussistenza del demansionamento.
Si tratta, anche sotto questo aspetto, di mere censure di fatto che esprimono un dissenso valutativo delle risultanze di causa.
La corte d’appello, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha ritenuto che le risultanze di causa, la documentazione agli atti e l’ampia prova testimoniale espletata avevano offerto la prova piena che nel periodo compreso tra l’aprile 1995 e la data del licenziamento il dirigente era stato nella sostanza privato di mansioni adeguate al livello dirigenziale ricoperto. Mentre in precedenza il dirigente era responsabile di un’unità organizzativa complessa composta da vari dipendenti nonchè dirigenti di secondo livello ed articolata in più settori, a partire dall’aprile del 1995 il dirigente fu assegnato con funzioni di assistente ai vertici dell’azienda. Ossia da una posizione apicale di grande rilievo nell’organizzazione aziendale il dirigente era passato ad una posizione di mero supporto, di livello chiaramente inferiore a quella precedentemente ricoperta.
Questa corte (Cass., sez. lav., 8 novembre 2005, n. 21673) ha ritenuto configurabile la dequalificazione, illegittima ai sensi dell’art. 2103 cod. civ., del dirigente apicale per l’assegnazione di mansioni inferiori riconducibili a quelle di dirigente appartenente alla "media" o "bassa" dirigenza.
4.3. Infondato è poi il primo motivo del ricorso principale (di carattere processuale perchè si denuncia, nella sostanza, un’ipotesi di ultrapetizione): dalla stessa sentenza impugnata risulta che le società appellanti avevano posto la questione della quantificazione del danno con il secondo motivo d’appello.
4.4. Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale riguardano la quantificazione del danno che viene censurata da entrambe le parti per ragioni contrapposte.
Tutte le censure sono infondate perchè in fatto; mentre nella sentenza impugnata c’è ampia e puntuale motivazione sia sul danno alla professionalità (riconosciuto nella misura del 10% della retribuzione), sia sulle altre componenti del danno, negate per mancanza di prova con motivazione sufficiente e non contraddittoria.
In particolare la corte d’appello ha proceduto alla liquidazione equitativa del danno alla professionalità.
Questa corte (Cass., sez. lav., 30 settembre 2009, n. 20980) ha affermato che in caso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore implica sì la prova del danno e del relativo nesso causale con l’asserito demansionamento. Ma – ha precisato Cass., sez. lav., 7 luglio 2009, n. 15915 – il giudice, in presenza della relativa prova – il cui onere incombe sul lavoratore ma che, in presenza di precise allegazioni, può essere soddisfatto mediante il ricorso alla prova presuntiva – può liquidarlo equitativamente.
5. In conclusione entrambi i ricorsi vanno rigettati.
La reciproca soccombenza consente la compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2012

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