Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-08-2012, n. 14587

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Svolgimento del processo

che la Corte d’appello di Caltanissetta, con decreto in data 17 ottobre 2011, ha respinto la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, proposta da D.C.I. per l’irragionevole durata di un procedimento civile, da esso promosso davanti al Tribunale del lavoro di Palermo, per l’esecuzione di una sentenza con cui il medesimo era stato inquadrato in un superiore livello retributivo;

che la Corte d’appello ha rilevato, si, che il processo presupposto, iniziato il 21 ottobre 2003, era ancora pendente alla data di deposito, il 14 maggio 2010, del ricorso per equa riparazione, ma ha escluso l’irragionevolezza di detta durata, atteso che i numerosi rinvii (per incompleta produzione in giudizio della sentenza da porre in esecuzione, per astensione dalle udienze proclamata dai difensori, per trattative di bonario componimento, in attesa della definizione del giudizio di revocazione della sentenza di cui si era stata chiesta l’esecuzione), nonchè i periodi di sospensione del processo (per non essere stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, ex art. 412-bis cod. proc. civ., e per pregiudizialità dipendenza, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ.) erano "interamente ascrivibili alla condotta processuale delle parti e non a carenze organizzative o strutturali del servizio giudiziario";

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il D. C. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il primo motivo denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 2, e dell’art. 6 della CEDU, lamentando, anche con il secondo motivo (articolato sotto il profilo del vizio di motivazione), che la Corte territoriale abbia escluso la violazione della ragionevole durata, pur essendo il processo presupposto, in primo grado, pendente da circa otto anni;

che la censura è fondata, nei termini di seguito precisati;

che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che dalla durata del processo sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitagli gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducigli alla fisiologia del processo (Cass., Sez. 1, 3 gennaio 2011, n. 29);

che nel caso di specie non si rinviene nel decreto impugnato alcuna adeguata motivazione nel senso indicato di un comportamento dilatorio delle parti, non bastando che la parte richieda un rinvio perchè questo sia reputato a fini dilatori;

che, d’altra parte, non possono essere ascritti in toto al comportamento delle parti i ritardi dovuti alle continue richieste di rinvio non funzionali al contraddittorio e al corretto svolgimento del processo, rilevando gli stessi, almeno in parte, in caso di inerzia ed acquiescenza dell’istruttore (in capo al quale sussistono tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento stesso), ai fini della valutazione del comportamento del giudice, ai sensi della citata L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (Cass., Sez. 1, 12 luglio 2011, n. 15258);

che, infine, la Corte territoriale ha addebitato al comportamento delle parti anche la sospensione per pregiudizialità dipendenza ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., senza considerare che, ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo, il periodo di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ. non può essere automaticamente escluso dal relativo calcolo, ma potrà essere considerato una circostanza da valutare sotto il profilo del criterio della complessità, di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e, quindi, consentire una deroga generale ai parametri di durata indicati dalla CEDU, giustificandone l’incremento (Cass., Sez. 1, 15 novembre 2010, n. 23055);

che il terzo motivo, relativo alla mancata liquidazione del danno non patrimoniale, resta assorbito;

che, cassato il decreto impugnato in relazione alla censura accolta, la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Caltanissetta, che la deciderà in altra composizione;

che il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2012

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