Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-08-2012, n. 14585

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Svolgimento del processo

Con atto di notificato 12.09.91 R.E.P., premesso di essere comproprietaria quale coerede della madre di un fondo rustico sito in (OMISSIS); che erano comproprietari per l’altra metà del portone, androne e cortile anche i sig.ri D. I. P., D.L.T. e B.A., i quali avevano acquistato detti beni per atto notar Forte dei 3.3.1919; che nel detto rogito era precisato il trasferimento in capo ad essa attrice, del diritto alla comunione degli indicati portone, androne e cortile; tutto ciò premesso, evocava in giudizio avanti al tribunale di Salerno i predetti comproprietari al fine di sciogliere la comunione dei beni suddetti con attribuzione della quota e il rilascio immediato in suo favore. A seguito del decesso della D. L. il contraddittorio veniva integrato nei riguardi degli eredi di costei, che costituendosi eccepivano l’esistenza su detti beni di una servitù di passaggio. Intervenivano volontariamente in giudizio altri soggetti, proprietari di diverse unità immobiliari ubicate nel fabbricato, alcuni dei quali aderivano alla pretesa attrice ( R. A. ed E.) mentre altri instavano per il rigetto della stessa domanda. Nel corso del giudizio veniva ammessa ed espletata CTU ed il Tribunale adito, con sentenza in data 13.10.03 – 14.05.04 rigettava le domande dei R., rilevando che i beni in esame erano parti essenziali al fabbricato condominiale (art. 1117 c.c.) per cui dovevano ritenersi indivisibili.

Avverso la sentenza proponevano appello R.E.P., R.A. e R.E., i quali deducevano il vizio di ultrapetizione in quanto il giudice ex officio aveva negato il loro diritto di proprietà pro-quota su tali beni, ritenendo sussistere una mera servitù di passaggio; denunciavano inoltre la falsa applicazione dell’arT. 1117 c.c. dovendo invece trovare applicazione, nella fattispecie la più favorevole norma sulla comunione (art. 1112 c.c.). Resistevano gli appellati chiedendo il rigetto dell’avverso gravame e proponevano appello incidentale in punto compensazione della sperse processuali.

L’adita Corte d’Appello di Salerno con sentenza n. 47/08 depos. in data 11.1.2008 rigettava l’appello principale e quelli incidentali formulati dagli appellati. Secondo la Corte territoriale non era ravvisabile alcuna ultrapetizione da parte del giudice in prime cure, non avendo statuito su alcuna azione negatoria, avendo rigettato la domanda per mancata prova della proprietà; confermava altresì l’indivisibilità dei beni in considerazione della loro natura ed alle loro caratteristiche dimensionali e funzionali.

Avverso la suddetta decisione ricorre per cassazione R.E. sulla base di n. 4 censure; gli intimati resistono con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denunziando la violazione e falsa applicazione degli art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 949 c.c. nonchè l’errata motivazione, lamenta che il giudice in prime cure, sulla base della sola CTU (di cui si era chiesto il rinnovo) ignorando i validi titoli prodotti, aveva statuto ex officio su un’azione negatoria mai proposta, escludendo la comproprietà dei beni in capo ad essi istanti e "sostituendola" con una mera servitù di passaggio.

La doglianza non ha pregio. Invero non è configurabile alcuna pronuncia ultra petita in quanto secondo la Corte territoriale tali domande erano state formulate fin dalla citazione originaria. Invero è precipuo compito del giudice quello di qualificare ed interpretare la domanda; nella fattispecie tuttavia l’affermazione del giudice va inquadrata più propriamente nell’ambito di una accertamento incidentale, un obiter dictum, che non può avere efficacia di giudicato.

Con il 2 motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 2724 e 2725 c.c. nonchè il vizio di motivazione; lamenta che la Corte territoriale ha riconosciuto l’esistenza di un condominio tra tutte le parti in causa riguardanti il portone, l’androne ed il cortile, tutto ciò sulla base di una semplice consulenza tecnica senza alcun riscontro ai titoli ed atti pubblici esibiti e senza tenere conto di atti pubblici depositati in causa.

Con il 3 motivo deduce la violazione del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 720, 112 e 1117 c.c. e l’illogicità della motivazione c.p.c.; non condivide l’opinione del giudice a quo secondo cui i beni in questione sono per loro natura indivisibili perchè non vi è ragione per presumersi la loro proprietà comune in relazione alla particolare conformazione dei beni stessi: invero il portone, l’androne ed il cortile sono decentrati e di ampie dimensioni per cui non sarebbe impossibile procedere ad una loro divisione. Peraltro ai sensi dell’art. 1117 c.c. non può presumersi la proprietà comune del portone "per il solo fatto che sia attraversato da tutti gli abitanti dello stabile".

D’altra parte i R. con gli atti allegati avevano superato la presunzione di proprietà comune per il portone, l’androne e il cortile in questione.

Con il 4 motivo infine si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 disp. att. c.c. degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c. nonchè il vizio di motivazione in ordine al mancata riconoscimento dell’efficacia probatoria degli atti pubblici depositati con riferimento all’esistenza di diritti reali sugli immobili in questione.

Ad avviso del Collegio, tutti i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente, perchè vertono su questioni e circostanze analoghe, sostanzialmente su fatto che il giudice ha deciso sulla base della sola CTU, e senza tener conto dei titoli prodotti dalle parti con riferimento alla proprietà dei beni.

Le doglianze non hanno pregio. Intanto occorre rilevare che il titoli in questione sono stati adeguatamente valutati dall’ausiliare come ha sottolineato il giudice a quo, e direttamente da quest’ultimo, che ha rigettato analoghe doglianze degli appellati in quanto "assolutamente generiche in fatto e non supportate da alcun riferimento tecnico".

D’altra parte occorre sottolineare anche in questa sede, l’assoluta genericità della censura in esame, che non indica e non richiama in modo sufficiente i titoli in questione che assume non esaminati, che avrebbero dovuto indurre la Corte a ben diverse conclusioni più favorevoli per il ricorrente, per cui non è possibile adeguatamente valutare la censura stessa. Il giudice a quo ha invero stabilito, con congrua motivazione, che dalla relazione (del ctu) in atti si desume una caratteristica peculiare (peraltro del tutto conforme alla situazione di diritto come attestata dai titoli prodotti ed esaminati) dei beni oggetto di causa, definiti parti essenziali dell’edificio in cui insistono le singole proprietà immobiliari degli appellati e cioè la loro indivisibilità". Pertanto le censure del ricorrente si traducono in mere questioni di fatto, come tali riservate al giudice di merito, inammissibili in sede di legittimità, il difetto di motivazione denunciato è configurabile – secondo questa S.C. – soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; in quest’ultimo caso, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione" (Cass. n. 2272 del 02/02/2007; Cass. n. 3436 del 16/02/2006; Cass. 3, n. 3186 del 14/02/2006).

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2012
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