Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24994

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 2/11/2012 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata applicava nei confronti di A. L., A.G., P.M., S.D. la misura cautelare della custodia in carcere, poi sostituita con quella degli arresti domiciliari nonchè nei confronti di M.V. e M.S. la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, in relazione al reato di cui al capo a) – art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3.

1.1. Avverso tale provvedimento proponevano istanza di riesame gli indagati, lamentando l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

1.2. Il Tribunale di Napoli, accogliendo l’istanza di riesame proposta dagli indagati, annullava l’ordinanza impugnata, disponendo l’immediata liberazione di P.M., S.D., A. L., e A.G. nonchè la cessazione degli effetti della misura non custodiate applicata nei confronti di M.V. e M.S..

2. Ricorreva per Cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli, sollevando i seguenti motivi di gravame: inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonchè contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 416 c.p.. Fa rilevare al riguardo che, stante l’autonomia del delitto di cui all’art. 416 c.p., rispetto ai reati fine, la sussistenza o meno dell’associazione non può essere fatta discendere esclusivamente dall’analisi dei singoli reati fine; che non sono state prese in considerazione le modalità esecutive dei singoli reati fine, perpetrati in maniera seriale con modalità ben scandite e collaudate ed un’unica regia. In relazione alla posizione dei diversi indagati evidenzia gli elementi in forza dei quali gli stessi devono considerarsi partecipi con diversi ruoli del sodalizio criminoso dedito alla perpetrazione di una serie indeterminata di truffe e le contraddittorietà in cui sarebbe incorso il Tribunale nell’escludere la gravità indiziaria in relazione al suddetto reato di cui al capo a) della provvisoria contestazione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata risulta fondato e merita accoglimento.

Ed invero il provvedimento del tribunale del riesame appare contraddittorio laddove dopo avere correttamente affermato che, ai fini della valutazione della gravità indiziaria in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p., non si può prescindere dall’analisi dei singoli reati fine, che costituiscono indici sintomatici essenziali per distinguere il reato di associazione a delinquere dal semplice concorso di persone nel reato, perviene alla conclusione che, alla luce della verifica in fatto delle condotte realizzate dagli indagati, debba escludersi la sussistenza del reato di cui all’art. 416 c.p., ipotizzato a carico degli indagati al capo A) della provvisoria imputazione, reato fondante il titolo cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli, poi annullato con il provvedimento impugnato. Segnatamente, dopo avere dato atto della pacifica sussistenza dei reati come provvisoriamente contestati nell’imputazione – capi B) fino a A4) – che sono proprio, sulla base dell’impostazione accusatoria, i reati fine del sodalizio criminoso facente capo ad A.L., ed avere evidenziato che il modus operandi degli indagati era sempre lo stesso, rispondendo al medesimo clichè, è pervenuto, come correttamente ha argomentato il pubblico ministero ricorrente, ad una conclusione contraddittoria rispetto alla premessa sopra esposta dalla quale aveva preso le mossa. Rileva, infatti, il Collegio che dalla ricostruzione complessiva della vicenda che emerge nel provvedimento impugnato risulta in modo eclatante un contesto che sembra porsi ben al di là dell’occasionale concorso di persone nel reato, prefigurandosi l’esistenza di una struttura organizzata facente capo, come promotore ad A.L. e nell’ambito della quale agli altri indagati erano attribuiti dei ruoli essenziali per il perseguimento del comune programma associativo costituito dalla perpetrazione di un numero indeterminato di truffe poste in essere in danno di persone anziane. In tal senso il Tribunale non sembra avere adeguatamente considerato le collaudate modalità operative che vedevano coinvolti, oltre all’ A.L., ora S.D., fino all’arresto dello stesso, ora P.M., poi tratto in arresto anche lui in flagranza, ora, con diversi ruoli, M. V. e A.G. e M.S.; al riguardo risulta essersi trattato di ben ventiquattro episodi di truffa identici nelle modalità esecutive, in relazione alle quale appare difficilmente ipotizzabile un semplice accordo occasionale, imponendosi, invece, un’attenta valutazione di quegli ulteriori indici rivelatori della sussistenza del reato associativo, che possono essere rappresentati, nel caso di specie, anche dai rapporti di parentela e collaudata amicizia esistenti fra i vari indagati e dalla conseguente e continuativa disponibilità di risorse umane per il perseguimento del fine criminoso dei sodalizio. Ciò appare particolarmente rilevante ai fini dell’individuazione dell’elemento soggettivo della condotta di partecipazione ad un’associazione a delinquere, costituito, appunto, dalla consapevole volontà di fare parte della compagine criminosa per condividerne le finalità e l’attività svolta. Ed in tale direzione, come già questa Corte ha avuto occasione di affermare (sez. 6 n. 35914 del 30/5/2001, Rv. 221246), circostanza indiziante della consapevole volontà di partecipazione al sodalizio criminoso deriva dal legame di parentela fra i partecipanti all’associazione, laddove sia stata accertata, come nel caso di specie, l’esistenza di un’organizzazione criminale composta da persone aventi vincoli familiari tra di loro ed una non occasionale attività criminosa degli stessi componenti della famiglia nell’interesse del sodalizio.

Ed ancora da un punto di vista oggettivo dalla lettura del provvedimento impugnato, alla luce dei rilievi mossi nel ricorso, sembra emergere, come aveva ritenuto il giudice per le indagini preliminari, una struttura organizzata nell’ambito della quale a ciascuno erano attribuiti compiti e funzioni bel delineati sulla base di uno schema organizzativo di tipo associativo che trascendeva la semplice aggregazione familiare e si era tradotto nella realizzazione di un consistente numero di truffe; appare, a questo riguardo, significativo evidenziare che un ulteriore e ben più consistente numero di episodi risultanti dalle intercettazioni, di cui si è dato ampiamente atto nel provvedimento genetico, non aveva raggiunto la soglia di punibilità del delitto tentato; trattasi di episodi che, se pur privi di rilevanza penale, appaiono estremamente significativi ai fini della valutazione della sussistenza dell’ipotesi associativa di cui al capo a) della provvisoria contestazione.

Sono questi gli aspetti che dovranno essere riesaminati dal Tribunale di Napoli al fine di stabilire se il pactum sceleris, che risulta avere collegato gli indagati, si riduca, come si è ritenuto nel provvedimento impugnato, ad un semplice accordo fra gli indagati diretto a commettere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, più reati di truffa; ovvero, come aveva ritenuto il giudice della cautela ed ha sostenuto il pubblico ministero ricorrente, debba affermarsi che il suddetto patto permanga anche in seguito alla commissione di ogni singolo reato, configurandosi come un generico programma criminoso, nel quale sarebbero coinvolti con diversi ruoli gli attuali indagati, volto alla commissione di una serie indeterminata di truffe. E difatti, sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte (sez. 1^ n. 10835 del 22/9/1994, Rv.

199581; sez. 1^ n. 8291 del 31/5/1991, Rv. 202192), condivisa dal Collegio, sta proprio in tale particolare connotazione del pactum sceleris la distinzione fra le ipotesi di concorso di persone nel reato anche continuato dal reato di associazione a delinquere:

seconda fattispecie astratta è caratterizzata da un vincolo fra tre o più persone tendenzialmente stabile o permanente volto alla commissione di un numero indeterminato di delitti al quale si accompagna la predisposizione di un minimo di organizzazione strutturale e la consapevolezza degli associati di fare parte del sodalizio e di contribuire con la loro condotta all’attuazione del comune programma delinquenziale; nella prima ipotesi del concorso di persone, invece, si tratta di un accordo occasionale che si dissolve ogni volta all’esito della realizzazione della singola condotta criminosa.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013
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