Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-08-2012, n. 14582

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Ro.Re. e R.G.T. convocavano in giudizio davanti al Tribunale di Torino sezione distaccata di Susa, B. R. e A.V. e, premesso di essere proprietari dell’immobile sito in (OMISSIS) e censito al F. 57, mappale n. 86 chiedevano che venisse dichiarata l’illegittimità della condotta fognaria che attraversando il proprio fondo, collegava il fabbricato di proprietà dei convenuti di cui al mappale n. 87 con il fondo di cui al mappale n. 84 di proprietà di terzi. Chiedevano, altresì, la condanna dei convenuti a rimuovere due mensole illegittimamente collocate sulla scala di accesso alla cantina, nonchè il risarcimento del danno subito.

Si costituivano i convenuti contestando le domande avversarie ed assumendo, in particolare, di essersi limitati a sostituire la vecchia fognatura preesistente con il consenso di Br.Te., allora proprietaria dell’immobile.

Il Tribunale di Torino sezione staccata di Susa, dichiarava l’inesistenza della: servitù avente ad oggetto la condotta fognaria, di cui si dice, trattandosi di manufatto nuovo (a servizio di un altro gabinetto) che affiancava e non sostituiva quello preesistente, condannava i convenuti a rimuoverla;

dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alle due mensole poste sulla scala di accesso alla cantina.

Avverso questa sentenza proponeva appello B.R. e A. V. deducendo: 1) la nullità della sentenza del Tribunale per mancata trascrizione delle conclusioni. 2) il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado considerato che il Tribunale dichiarava l’inesistenza della servitù per cui causa in assenza di qualsiasi domanda in tal senso; 3) che erroneamente il Giudice aveva disatteso le indicazioni fornite dal consulente tecnico di parte convenuta il quale aveva chiarito che la vecchia condotta raccoglieva non solo le acque di un lavandino ma anche di un gabinetto c.d. alla "turca"; 4) che, erroneamente, il Giudice di primo grado aveva rimesso in termine gli attori (ai fini dell’assunzione delle prove orali) dopo averli dichiarati decaduti in quanto i testimoni erano stati intimati per il giorno 31 gennaio anzichè per il trenta gennaio.

Si costituivano gli appellati contestando tutte le argomentazioni avversarie e chiedendo il rigetto del gravame La Corte di appello di Torino con sentenza n. 1606 del 2006 rigettava l’appello. A sostegno di questa decisione la Corte torinese osservava: a) che la nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di cui all’art. 132 c.p.c. non rientrava tra le ipotesi tassative che comportavano la rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; b) che non erano state impugnate nè la reiezione della domanda di risarcimento danni nè la declaratoria di cessazione della materia del contendere in ordine alle mensole sulla scala di accesso alla cantina; 3) che, erroneamente, il Tribunale aveva riammesso in termine gli attori ai fini dell’assunzione delle prove orali dopo averli dichiarati decaduti e, pertanto, non si sarebbe dovuto tener conto dei verbali della deposizione resa da due testimoni; 4) andava accolta la domanda rivolta alla rimozione del manufatto relativo alla fognatura, essendo quella di cui si dice nuova e diversa da quella preesistente, tanto è vero che nel sottosuolo del mappale n. 86 esistevano due condotti fognari entrambi provenienti dal mappale n. 87 di proprietà dei coniugi B. A..

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da A. V. e B.R. con ricorso affidato a tre motivi, Ro.Br. e R.G.T. hanno resistito con controricorso, proponendo, a loro volta, ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Motivi della decisione

A.= Ricorso principale.

1.= B.R. e A.V., con il primo motivo, lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Secondo le ricorrenti la domanda proposta dagli originari attori sarebbe del tutto carente di qualsiasi adeguato supporto probatorio perchè non sarebbe stata offerta nessuna prova in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda, cioè: 1) che sul mappale foglio 57 n. 87 (di proprietà degli attori) risultasse una condotta fognaria che collegava il fabbricato posto sul mappale 83 sul quale era collocata la fossa biologica, ove venivano immesse le acque luride trasportate dalla suddetta condotta; 2) che in precedenza tale fabbricato fosse dotato solo di un lavandino le cui acque venivano scaricate mediante altra preesistente tubazione, nella quale confluivano anche le acque piovane cadenti sul cortile annesso alla casa. Nè era stato dimostrato che le acque di scarico del lavandino fossero state immesse in una nuova conduttura e che la precedente fosse rimasta a raccogliere solo le acque piovane del cortile. Gli attori avevano provveduto a dare prova dei loro assunti attraverso prova testimoniale, epperò, sono stati dichiarati decaduti dall’escussione dei loro testi e, pertanto, le deposizioni rese illegittimamente dovevano essere espunte dal verbale. Nè la CTU espletata poteva supplire all’onere probatorio che incombeva su parte attrice, soprattutto, in mancanza di qualsiasi prova in ordine al fatto che in precedenza vi fosse solo un lavandino e non anche uno scarico per un servizio igienico alla "turca".

1.1 .= Il motivo è infondato.

A ben vedere, la decisione impugnata trova il suo fondamento oltre che nelle risultanze della CTU anche in prove documentali, segnatamente nella concessione edilizia e a contrario sulle stesse considerazioni di carattere strettamente tecnico svolte dal CT di parte convenuta, attuali ricorrenti. Nel caso in esame, la CTU pur non sollevando la parte interessata dall’onere di provare i fatti allegati, integrava gli estremi di una fonte oggettiva di prova considerato che la stessa non aveva solo valutato i fatti accertati o dati per esistenti ma aveva accertato, su incarico del Giudice, i fatti stessi, cioè, quei fatti che la parte interessata aveva posto a fondamento della sua richiesta di giustizia.

E’ noto, ma è giusto il caso di ricordarlo, che in via di principio, il Giudice, tutte le volte in cui ritiene che i fatti allegati dalla parte necessitano, come nel caso in esame, di un accertamento tecnico o l’accertamento della loro esistenza richiede specifiche cognizioni tecniche, può affidare al consulente, come nel caso in esame, non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma, anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), sempre che i fatti di cui si dice siano stati dalla parte interessata posti a fondamento del proprio diritto.

1.1.a).) Ora, nel caso in esame, la CTU, su incarico del Giudice, ha finito per accertare l’esistenza di due condotte fognarie: a) una prima serviva solo un lavandino posto nel locale cucina, mentre la nuova condotta fognaria affiancava la precedente e in essa venivano immesse acque luride provenienti da un nuovo WC. Un risultato questo che veniva confermato dallo CT di parte laddove affermava che era stata costruita una nuova e diversa condotta fognaria senza che fosse stata eliminata la preesistente. Sicchè queste risultanze consentono di apprezzare la decisione della Corte torinese laddove afferma che – comunque, l’eventuale diritto a mantenere la vecchia condotta non potrebbe attribuire agli appellanti, il diritto a mantenere quella nuova. E di più, sarebbe irrilevante – ammesso che fosse così come indica il CT di parte – l’eventuale esistenza di un WC cosiddetto alla turca, precedente alla costruzione della nuova condotta fognaria, perchè, comunque, la nuova condotta (senza neppure la rimozione della precedente) sarebbe nuova e diversa da quella preesistente, cioè, comunque, costituirebbe una nuova e diversa servitù.

2= Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 cod. civ. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Avrebbe errato la Corte torinese, secondo le ricorrenti, per aver accolto la domanda proposta dagli attori, qualificata come negatoria servitutis, rivolta, cioè, alla rimozione del manufatto, nonostante non vi fosse a suffragio della stessa qualsiasi risultanza istruttoria. Piuttosto, la Corte torinese non ha considerato quanto era rilevato dal consulente di parte e, cioè, che la dotazione primitiva del locale commerciale fosse costituita non solo da un semplice lavello, ma da un vaso "alla turca" a filo pavimento, coperto da tavolato che lo rendeva inutilizzabile per lunghi periodi dell’anno, per fare posto alle scorte dell’originaria bottega. Gli attuali ricorrenti, per uniformarsi alle norme igieniche sanitarie ed edilizie, sostituivano la vecchia condotta nella quale confluivano le acque del lavandino, della turca e del cortile con quella attuale e la vecchia non fu più utilizzata. Ritengono, altresì, le ricorrenti che aver sostituito una vecchia tubazione non più in uso, fatiscente, rotta ed occlusa, con una nuova tubazione a latere della stessa, per non aver smantellato del tutto la prima, non costituisce certo una servitù e, meno che meno, un aggravamento di quella preesistente. E quand’anche nella fattispecie in esame si volesse ravvedere sotto un profilo meramente fattuale, un aggravamento di servitù non sarebbe, comunque, stato verificato (nè accertato) se la (presunta ed asserita, e, comunque, qui contestata) innovazione abbia alterato l’originario rapporto tra fondo dominante e fondo servente. Nè è stato mai accertato se il sacrificio imposto con l’innovazione medesima sia maggiore o minore rispetto a quello originario, valutando non solo la nuova opera ma, anche, le implicazioni che da essa derivano a carico del fondo servente.

2.1.= Anche questo motivo è infondato.

I ricorrenti affermano l’esistenza di un WC cosiddetto alla turca che non sembra sia stata dimostrata, tanto è vero che la Corte torinese ha ritenuto ingegnosa la spiegazione della mancata indicazione del WC nei disegni di progetto relativo allo stato di fatto (nella planimetria dello stato dei luoghi allegata alla richiesta di concessione edilizia per la ristrutturazione sottoscritta dagli attuali ricorrenti), e cioè che non era necessario indicare nel disegno di progetto il WC perchè, non essendovi opere murarie fisse, non potevano essere indicati come manufatti da demolire.

Piuttosto, appare del tutto convincente l’affermazione della Corte torinese che, quand’anche il rifacimento della condotta non configurasse una nuova servitù invocando la sopravvenuta inutilizzabilità della vecchia condotta, dovrebbe pur sempre ravvisarsi, nella fattispecie, un inammissibile aggravamento della servitù stessa, considerato che al divieto di aggravare l’esercizio della servitù si può contravvenire, non solo attraverso la costruzione, ma anche la modificazione delle opere materiali già destinate al normale funzionamento della servitù stessa. Nel caso in esame, per altro, la nuova conduttura non ha sostituito la precedente, ma l’ha affiancata, pertanto, la presenza di due condotte affiancate in luogo di una sola, ammesso pure che la precedente non fosse utilizzabile, rende – senza dubbio – più gravosa la condizione del fondo servente.

3.= Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, le ricorrenti lamentano una pretesa carenza di motivazione, sia in ordine alla statuizione relativa all’eccezione di usucapione svolta per l’esistenza ab immemorabile del servizio "alla turca", sia in ordine;

all’affermazione della sentenza secondo cui "la nuova condotta risulta pur sempre diversa da quella preesistente e, dunque, in nessun caso l’eventuale diritto a mantenere la vecchia condotta potrebbe attribuire agli appellanti il diritto di ammettere quella nuova e diversa. E’ pacifico, infatti, che quest’ultima configuri un’ulteriore, nuova servitù" e che "del resto quand’anche il rifacimento della condotta non configurasse una nuova servitù – come appunto sostengono gli appellanti – dovrebbe pur sempre ravvisarsi nella fattispecie un’inammissibile aggravamento della servitù stessa". Palese, dunque, sarebbe, sempre secondo le ricorrenti, l’erroneità e l’illegittimità della decisione della Corte di Appello di Torino che ha deciso il giudizio senza indicare alcun riscontro istruttorio a suffragio della propria decisione e senza fornire alcuna adeguata e dettagliata motivazione in ordine alla formazione del proprio convincimento.

3.1.- Anche questo motivo non coglie nel segno e non può essere accolto perchè: a) quanto all’usucapione svolta per l’esistenza ab immemorabile del servizio "alla turca", essa è stata esclusa in ragione della prova documentale costituita dalla planimetria dello stato dei luoghi, allegata alla richiesta di concessione edilizia per la ristrutturazione, sottoscritta dagli attuali ricorrenti, da cui non risultava la prova dell’esistenza del vaso alla turca; b) quanto, invece, alla qualificazione della nuova tubazione come "nuova servitù" o quale inammissibile aggravamento di una servitù esistente, non aveva bisogno di altra motivazione oltre al rilevamento della nuova situazione e, cioè, l’esistenza di una doppia tubazione l’una preesistente e la nuova affiancata alla prima, così come l’esistenza di due tubazioni non poteva che rendere più gravosa la condizione del fondo servente.

B.= Ricorso incidentale, 4.= Ro.Re. e R.G.T. con l’unico motivo del ricorso incidentale, lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5. Secondo i ricorrenti l’affermazione della Corte torinese secondo la quale "nella motivazione della sentenza appellata non si rinviene traccia dell’eccepita usucapione da parte dei convenuti della servitù di condotta fognaria (rectius:

dell’intervenuto acquisto, per usucapione del diritto a mantenere la condotta in oggetto) nè delle ragioni per le quali il giudice non ritiene essersi perfezionata l’usucapione stessa" sarebbe frutto di una lettura sommaria e affrettata della sentenza resa dal Tribunale di Torino sezione distaccata di Susa, perchè essendo l’eccezione di usucapione riferita dai convenuti indiscutibilmente alla tubazione preesistente e non essendo essa stata oggetto della domanda di rimozione, quell’eccezione (l’eccezione di usucapione) veniva automaticamente assorbita dall’affermazione che oggetto di causa e di pronuncia era solo la rimozione della seconda tubazione.

4.1.= Il motivo non ha ragion d’essere e non può essere accolto perchè – come correttamente ha affermato la Corte torinese – se è vero che ogni qual volta il Giudice accoglie la domanda di una parte implicitamente disattende l’opposta tesi dell’altra parte, tuttavia, il principio di cui all’art. 132 c.p.c.. Strettamente correlato al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, impone che dalla motivazione risulti che effettivamente tutte le domande ed eccezioni siano state prese in considerazione ancorchè solo per confutarle e/o dichiararle decadute o prive di rilievo. Pertanto, la Corte torinese ha correttamente evidenziato che nella motivazione della sentenza appellata non si rinveniva traccia dell’eccepita usucapione da parte dei convenuti della servitù di condotta fognaria (rectius: dell’intervenuto acquisto, per usucapione del diritto a mantenere la condotta in oggetto) nè le ragioni per le quali il Tribunale non riteneva essersi perfezionata l’usucapione stessa.

Così come correttamente la Corte torinese ha evidenziato che la violazione del principio di cui all’art. 132 c.p.c., non rientrava tra le ipotesi tassative che comportavano la rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c..

In definitiva, va rigettato sia il ricorso principale e sia il ricorso incidentale, le ricorrenti principali, condannate al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione in misura del 50%, e disposta la compensazione, tra le parti, della restante somma del 50% del totale delle spese giudiziali, in ragione di una parziale soccombenza dei controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, compensa il 50% delle spese giudiziali, condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento del restante 50% che liquida in Euro 1300,00 di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2012

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