Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24992

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 3 gennaio 2013, il Tribunale di xxx ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di C.G. avverso l’ordinanza emessa dal locale Giudice per le indagini preliminari il 17 dicembre 2012, con la quale era stata disposta nei confronti del predetto la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di tentata estorsione aggravata a norma del D.L. n. 152 del 1991, art. 7.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di gravità indiziaria sottolineandosi come l’origine dei rapporti di dare e avere tra P.T. ed il M., persona offesa, fosse del tutto legittima; che i rapporti tra la parte offesa e F.C., concorrente nello stesso reato, fossero confidenziali, senza alcun atteggiamento intimidatorio; che la vicenda, infine, sarebbe stata chiarita anche dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, il quale avrebbe offerto una ricostruzione dei fatti perfettamente sovrapponibile alle acquisizioni processuali. Non sussisterebbe, dunque, alcuna condotta penalmente significativa posta in essere dall’imputato. Le dichiarazioni del M., imputato in questo stesso procedimento, non sarebbero credibili e comunque il reato ipotizzabile sarebbe quello previsto dall’art. 393 c.p.; non senza sottolineare come dalle acquisizioni probatorie, ampiamente rievocate, non traspaia alcuna intimidazione del M. rispetto al F.. Si contesta, poi, la sussistenza della aggravante della metodologia xxx, considerato che l’imputato non conosceva la personalità del F., con il quale aveva avuto rapporti occasionali, e tenuto conto del fatto che non sono stati posti in essere, nè dal F., o dallo stesso imputato, comportamenti concreti, tali da evocare l’esercizio di un potere coercitivo tipico delle associazioni maliose. Si contesta, infine, la sussistenza delle esigenze cautelari, tenuto anche conto della personalità dell’imputato del tutto estraneo a qualsiasi circuito delinquenziale, e del tempo trascorso dai fatti.
Le doglianze relative al presupposto della gravità indiziaria sono prive di fondamento ed ai limiti della inammissibilità, in quanto il ricorrente si limita a prospettare censure in punto di fatto circa la valutazione compiuta dai giudici del merito, secondo una prospettiva chiaramente eccentrica rispetto al rigoroso perimetro entro il quale è consentito l’odierno sindacato di legittimità. Le conversazioni intercettate, ampiamente rievocate dai giudici di riesame, secondo una ricostruzione logicamente ineccepibile e priva di aporie sul piano argomentativo, pongono in luce il contesto usurario nel quale si è snodata la condotta dell’imputato, il quale non ha esitato a farsi coinvolgere nella vicenda per fare in modo che il debitore fosse "indotto" ad adempiere agli obblighi assunti. L’intera gamma delle questioni sollevate dal ricorrente ha formato oggetto di puntuale scrutinio da parte dei giudici a quibus che hanno dissolto la fondatezza dei vari rilievi con motivazione del tutto esauriente e giuridicamente corretta. La relativa riproposizione delle stesse questioni in questa sede si rivela quindi del tutto sterile.
Sono invece fondate le doglianze relative alla aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, al momento che l’ordinanza impugnata ha ritenuto sussistente tale aggravante facendo leva esclusivamente sulla "nota caratura criminale" della persona coinvolta per svolgere una condotta di intimidazione nei confronti del debitore. Il "metodo xxx", infatti, riceve definizione normativa attraverso il riferimento all’impiego "delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.", vale a dire dell’impiego della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; il che, evidentemente, evoca, non il modo di atteggiarsi del fatto – reato in sè e per sè considerato, e la cui realizzazione, in forme anche particolarmente eclatanti, risulta – sul piano della struttura della aggravante in questione – elemento del tutto neutro, quanto la particolare efficacia intimidatrice che deriva dalla esistenza – concreta e percepibile – di un sodalizio che si connota delle peculiarità descritte dall’art. 416 bis c.p., e la relativa condizione di assoggettamento ed omertà che la presenza territoriale di quella associazione è in grado di generare:
elementi, questi, dei quali gli autori del fatto devono avvalersi, per rendere il reato aggravato a norma del D.L. n. 152 del 1991, art. 7.
La verifica, in concreto, circa la sussistenza di siffatti requisiti sarà compito del giudice del rinvio, il quale dovrà altresì tenere conto, in punto di adeguatezza della misura e di esigenze cautelari, del fatto che la Corte costituzionale con sentenza n. 57 del 2013 ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo periodo, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di xxx per nuovo esame sui punti innanzi indicati.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata ordinanza limitatamente alla aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 ed alle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di xxx per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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