Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-08-2012, n. 14579

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Svolgimento del processo
Con atto notificato il 3 dicembre 1990 la xxx S.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pescara, N.M. e C.M. ed esponeva che: aveva stipulato con i predetti, in data 8 giugno 1990, un preliminare di vendita di un appartamento per il prezzo di L. 380.000.000, di cui L. 70.000.000 versate al momento della sottoscrizione del detto contratto a titolo di caparra, L. 60.000.000 da versarsi entro il 30 giugno 1990, L. 60.000.000 da versarsi entro il 31 agosto 1990, L. 20.000.000 entro il 30 settembre 1990 e il residuo importo di L. 170.000.000 da versarsi contestualmente alla consegna; successivamente e durante i lavori i coniugi N. C. avevano richiesto, a proprie spese, materiali ed infissi diversi e più costosi nonchè modifiche varie;
i predetti avevano versato al 30 giugno 1990 solo L. 40.000.000 con assegno postdatato di quindici giorni nè avevano provveduto a versare gli ulteriori importi alle scadenze convenute e neppure i costi delle prestazioni extra contratto. Tanto premesso l’attrice chiedeva che, avendo manifestato con lo stesso atto introduttivo di voler recedere dal contratto e di voler ritenere, ai sensi dell’art. 1382 c.c., comma 2, la caparra confirmatoria ricevuta, il giudice adito, preso atto del grave inadempimento dei convenuti, dichiarasse i detti recesso e ritenzione legittimi, i convenuti tenuti solidalmente tra loro a rimborsare all’attrice i costi e le spese sostenute per i lavori extra contratto, pari a L. 60.000.000, e, previa compensazione di tale credito dell’istante con l’importo di L. 40.000.000 già versato dai convenuti, condannasse questi ultimi, in solido tra loro, al pagamento della ulteriore somma dovuta, per differenza, all’attrice, oltre rivalutazione ed interessi.
Con citazione del 24 dicembre 1990 i coniugi N. C., a loro volta, convenivano la predetta società dinanzi al medesimo giudice chiedendo la declaratoria di nullità del preliminare in questione, in subordine l’annullamento dello stesso ed infine la risoluzione del medesimo contratto per colpa della xxx s.r.l., con la condanna di quest’ultima alla restituzione di L. 113.600.000, oltre rivalutazione ed interessi, nonchè al risarcimento dei danni.
La società convenuta si costituiva in giudizio precisando che gli attori avevano corrisposto il solo importo di L. 110.000.000, non avendo provveduto al versamento dell’IVA; deducevano che nessuna illiceità era ravvisabile nel preliminare, essendo le difformità da sanare inerenti alle varianti richieste in corso d’opera dai promissari acquirenti e che non sussisteva vizio del consenso, essendo i predetti a conoscenza del vincolo temporaneo preteso dalla PA per il transito su una parte dell’area oggetto del contratto mentre gli unici inadempienti erano i predetti coniugi, morosi nel pagamento dei ratei pattuiti alle scadenze fissate.
Riuniti i due giudizi, il Tribunale di Pescara, con sentenza del 2 aprile 2003 rigettava la domanda proposta dai coniugi N. C., accoglieva la domanda della xxx S.r.l., dichiarando la legittimità della ritenzione della caparra a fronte del palese inadempimento dei predetti coniugi che condannava, in solido, al pagamento, in favore della controparte, della somma di L. 40.000.000, equitativamente determinata, per lavori extra-contratto, compensando detta somma con il pari importo già versato nonchè al pagamento delle spese di quel grado.
Avverso tale decisione i soccombenti proponevano gravame che veniva accolto dalla Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 10 maggio 2006, che, ritenendo applicabile alla fattispecie all’esame la L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15 dichiarava nullo il contratto preliminare dell’8 giugno 1990 e condannava l’appellata al pagamento, in favore degli appellanti, della somma di Euro 58.669,00, oltre interessi legali dai singoli versamenti al saldo, nonchè alle spese di CTU e del doppio grado di giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di merito ha proposto ricorso per cassazione la xxx S.r.l. sulla base di tre motivi.
Hanno resistito con controricorso N.M. e C. M..
Sia la ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione della L. n. 10 del 1977, art. 15; L. n. 47 del 1985, artt. 2, 17 e 40 e art. 1418 c.c., ed altresì delle norme e dei principi giuridici generali in materia di edilizia e di contratti, con particolare riferimento a quelli di legalità e di tassatività delle relative cause di nullità, nonchè insufficienza e contraddittorietà di motivazione circa la supposta inesistenza di concessione edilizia".
In particolare la xxx S.r.l. censura la sentenza impugnata che, ritenendo, in base alle risultanze della CTU, che nè alla data dell’8 giugno 1990 nè alla data del 31 dicembre 1990 il progetto di variante risultava approvato, sicchè l’immobile promesso in vendita non era conforme alle norme urbanistiche, come confermato dalla circostanza che la concessione edilizia in sanatoria era stata rilasciata dal comune competente solo in data 12 luglio 1994, e ritenendo, altresì, che i contratti ad efficacia meramente obbligatoria erano disciplinati dalla L. n. 10 del 1977, art. 15 in riforma dell’impugnata sentenza, ha dichiarato nullo il contratto in questione. Ad avviso della ricorrente, in tal modo la Corte di merito sarebbe incorsa in un duplice errore giuridico e/o in violazione di legge. Anzitutto la Corte territoriale ha applicato al contratto in parola, stipulato in data 8 giugno 1990, l’art. 15 citato, abrogato dalla L. n. 47 del 1985, art. 2 il quale ne ha sostituito la disciplina con quella di cui al capo 1 della medesima legge che, peraltro, riguarda i soli contratti definitivi e, pertanto, la xxx S.r.l. formula il seguente quesito di diritto: "può essere ritenuto e, perciò, dichiarato nullo in base alla L. n. 10 del 1977, art. 15 benchè abrogato dalla L. n. 47 del 1985, art. 2 ed espressamente "sostituito" in tutta la relativa materia dalle disposizioni di cui al capo 1 della stessa legge, un contratto preliminare di compravendita stipulato l’8 giugno 1990, cioè successivamente a tale abrogazione?" Secondariamente, pur a voler ritenere la L. n. 10 del 1977, art. 15 "sopravvissuto in parte qua" alla sua abrogazione, la nullità in esso prevista non sarebbe comunque comminabile nel caso all’esame, in quanto le opere sono state realizzate in difformità e non in assenza di concessione edilizia e tanto trovava conferma proprio nella concessione edilizia in sanatoria n. 2523 del 12 luglio 1994, attenendo la stessa ad opere realizzare in mera difformità. Pertanto – ad avviso della ricorrente – la norma in parola sarebbe stata applicata dalla Corte di merito non solo oltre i confini temporali della sua vigenza ma anche al di là dei confini oggetti vi della sua portata, incorrendo in una ibrida commistione di discipline giuridiche (la L. n. 10 del 1977 e la L. n. 47 del 1985), laddove il contratto in parola non poteva incorrere nella sanzione di nullità prevista dall’una e dall’altra normativa.
In relazione a quanto precede la ricorrente formula il seguente quesito di diritto:
"sarebbe stato o è possibile ritenere e dichiarare, secondo la L. n. 10 del 1977, art. 15 la nullità del contratto preliminare di compravendita relativo ad "un’unità edilizia" che, munita della prescritta concessione, sia stata però realizzata difforme dal progetto e, peraltro, con difformità sanabili?" 2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta "omessa e, comunque, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio".
Evidenzia la xxx S.r.l. che la Corte di merito, pur consapevole della non rilevanza, della questione, ai fini della decisione, stante la ritenuta nullità del contratto, ha ritenuto fondata anche la domanda subordinata di risoluzione del contratto formulata dai coniugi controricorrenti, omettendo, comunque, di prendere in esame e/o di considerare e valutare adeguatamente fatti controversi e decisivi del giudizio ed in particolare che i promissari acquirenti avevano chiesto, successivamente alla stipula del preliminare, oltre all’utilizzo di materiali di migliore qualità, numerosissime opere aggiuntive e varianti in corso d’opera, senza rimborsarne i costi e omettendo di versare gli acconti sul prezzo alle scadenze, con la precisazione che, comunque, le opere avrebbero dovuto essere conformi a legge solo al momento del trasferimento della proprietà in base al tenore letterale dell’art. 3 del preliminare. Nè – deduce la ricorrente – risultava che a giustificazione del loro inadempimento i promissari acquirenti avessero dedotto l’assenza della concessione edilizia, sicchè dovevano ritenersi ingiustificati ed illegittimi gli inadempimenti dei predetti, tutti verificatisi prima della scadenza del termine di consegna indicato in contratto, peraltro da considerarsi non essenziale in sè, stante la riserva di cui all’art. 6 del preliminare e comunque superato dalle continue richieste di migliorie e lavori aggiuntivi formulate dai promissari acquirenti. Ad avviso del ricorrente, a "legittimare" l’inadempimento dei ricorrenti neppure possono valere le ulteriori circostanze, pure menzionate dai giudici dell’appello, del mancato rilascio, alla data del deposito della CTU, del certificato di abitabilità dell’immobile e del sopraggiunto provvedimento di occupazione temporanea d’urgenza disposta dal comune di una piccola parte dell’area circostante, in quanto il mancato di rilascio del detto certificato, attenendo a circostanze successive alla risoluzione del contratto in questione e, comunque, estranee al presente giudizio, doveva essere escluso da ogni valutazione di merito, mentre l’occupazione d’urgenza ricordata, trattandosi di fatto di scarsa entità, temporaneo e tale da non pregiudicare, all’esito, il libero godimento del bene, non poteva giustificare l’inadempimento grave, come quello del mancato pagamento del prezzo.
3. Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 13667 e 1375 cod. civ., nonchè omessa e/o insufficiente motivazione circa un atto controverso e decisivo per il giudizio, censura l’interpretazione data del contratto in questione dalla Corte di merito del tutto erronea e per essa pregiudizievole e formula i seguenti quesiti di diritto:
1) "può sussistere e ritenersi l’inadempimento d’una obbligazione futura prima della scadenza del relativo termine e nonostante l’inadempimento grave dell’altra parte?" 2) "può considerarsi essenziale il termine rafforzato dalla preposizione "entro", ma accompagnato dalla riserva che l’obbligato non può essere ritenuto inadempiente per i ritardi dovuti a svariate cause e, altresì, seguito da un contrario comportamento successivo della stessa parte a favore della quale il termine stesso era stato fissato?" 4. Rileva questa Corte che la prima parte del primo motivo del ricorso – la quale si conclude con quesito idoneo e formulato conformemente alle disposizioni di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (Cass. 25 marzo 2009, n. 7197), sicchè è da disattendere, con riferimento ad esso, l’eccezione di inammissibilità formulata dai controricorrenti nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. – è fondata e, pertanto, va data risposta negativa al primo quesito formulato e ad essa relativo.
Ed invero le disposizioni di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15 unitamente a quelle di cui all’art. 17 della cit. legge e alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 32 sono state interamente sostituite da quelle di cui al capo 1 (artt. da 1 a 23) della L. 28 febbraio 1985, n. 47, come espressamente stabilito dall’art. 2 di tale legge. Ne consegue che l’art. 15 citato non è applicabile al caso di specie, essendo stato il preliminare di cui si discute in causa stipulato in data 8 giugno 1990, quindi, in data successiva al ricordato intervento della L. n. 47 del 1985 sulla L. n. 10 del 1977, art. 18 e non essendo, per tali ragioni, condivisibile il diverso orientamento espresso al riguardo da Cass. 1 settembre 1997, n. 8335, Cass. 6 agosto 2001, n. 10831 e Cass. 24 maggio 2011, n. 11391 in relazione a fattispecie in cui il contratto preliminare era stato stipulato dopo l’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, senza tuttavia esaminare in particolare tale questione.
A quanto precede si aggiunge che la sentenza di questa Corte del 6 ottobre 2005, n. 19467 (non massimata ufficialmente sul punto), cui hanno fatto riferimento i controricorrenti (v. controricorso p. 25), si riferisce a fattispecie in cui il preliminare di vendita era stato stipulato nel 1980, in piena vigenza, quindi, della L. n. 10 del 1977.
4. L’esame del primo motivo, seconda parte, nonchè dei motivi secondo e terzo, resta assorbito per effetto dell’accoglimento della prima parte del primo motivo.
In conclusione, accolto, per quanto di ragione, il primo e dichiarati inammissibili il secondo e il terzo motivo del ricorso, la sentenza deve essere cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, che deciderà la controversia attenendosi al seguente principio di diritto: "Le disposizioni di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 5 unitamente a quelle di cui all’art. 17 della medesima legge e alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 32 sono state interamente sostituite da quelle di cui al capo 1 (artt. da 1 a 23) della L. 28 febbraio 1985, n. 47, come espressamente stabilito dall’art. 2 di tale legge. Ne consegue che l’art. 15 citato non è applicabile ad un preliminare stipulato – come nel caso di specie – in data successiva al ricordato intervento della L. n. 47 del 1985 sulla L. n. 10 del 1977, art. 15".
5.1. – Il giudice di rinvio provvederà, altresì, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2012

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