Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24989

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 10 gennaio2013, il Tribunale di Messina ha respinto la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di T.D. avverso l’ordinanza emessa il 17 dicembre 2012 dal locale Giudice per le indagini preliminari, con la quale era stata applicata nei confronti del predetto la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di usura e tentata estorsione aggravati a norma del D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Propone ricorso per cassazione il difensore, il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto, in riferimento al delitto di usura, il provvedimento cautelare si sarebbe fondato su una lettura parziale delle varie acquisizioni, estrapolando, dalle stesse, ricostruzioni di tipo meramente congetturale. Quanto al tentativo di estorsione, dopo ampia ricostruzione della complessa vicenda, si sottolinea come nessun elemento legittimi l’assunto secondo il quale la somma dovuta da N. ad I. e per lui al M. fosse frutto di un sottostante rapporto di natura usuraria, come invece si deduce nel capo di imputazione, essendovi, anzi, riferimenti ad una ipotesi di "una sorta di truffa" operata dal N.. Quanto al ruolo del T., lo stesso sarebbe stato "impalpabile", non potendo un qualche contributo essere desunto da una intercettazione, nel corso della quale viene fatto il suo cognome. Nè risulta d’altra parte che siano state formulate minacce di sorta, mentre nessuna intimidazione sembra aver patito il N., il quale continua a rimanere debitore della somma. Il che dovrebbe permetter di ritenere integrata, semmai, la figura della desistenza, essendo il T. scomparso dalla scena. Il reato, comunque, dovrebbe essere derubricato in tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Si contesta, poi, la sussistenza della aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, e la ravvisabilità, in concreto, di esigenze cautelari di rilevanza tale da giustificare l’applicazione della misura restrittiva.

Le censure proposte in merito alla sussistenza del presupposto della gravità indiziaria in ordine ai contestati reati sono infondate e, per molti aspetti, inammissibili, in quanto orientate in concreto a sollecitare una revisione del ponderato apprezzamento condotto dei giudici del merito secondo una prospettiva del tutto eccentrica rispetto alla odierna sede di legittimità. L’ordinanza impugnata ha infatti più che esaurientemente analizzato i singoli e convergenti elementi dai quali è emerso, alla luce delle intercettazioni e delle indagini compiute, che l’erogatore del credito di natura usuraria attorno al quale ha ruotato la cosiddetta "operazione (OMISSIS)" fosse proprio il T., avuto riguardo, anche, alle risultanze scaturite della attività di osservazione svolta dalla polizia giudiziaria. Quanto al tentativo di estorsione, la complessa vicenda è stata analiticamente ricostruita e ricomposta sulla base delle dichiarazioni acquisite e delle intercettazioni, nelle quali l’imputato compare con un ruolo di significativa intimidazione, e con modalità tali da escludere qualsiasi ipotesi di desistenza.

L’illecito articolarsi del rapporto di credito e la sua riconducibilità ad un quadro di usura esclude, poi, qualsiasi possibilità di configurare i fatti alla stregua di tentativo di ragion fattasi.

Sono invece fondate le doglianze relative alla motivazione offerta per suffragare l’esistenza della aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, giacchè i giudici del merito si sono attestati esclusivamente sul fatto che l’imputato sarebbe gravato da precedenti per mafia, senza peraltro porre in luce elementi concreti dai quali desumere che nella specie si sarebbe fatto ricorso alle specifiche condizioni cui il D.L. n. 152 del 1991, art. 7, ancora l’esistenza dei presupposti per l’applicazione della relativa aggravante ad effetto speciale. Il "metodo mafioso", infatti, riceve definizione normativa attraverso il riferimento all’impiego "delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.", vale a dire dell’impiego della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; il che, evidentemente, evoca, non il modo di atteggiarsi del fatto-reato in sè e per sè considerato, e la cui realizzazione, in forme anche particolarmente eclatanti, risulta – sul piano della struttura della aggravante in questione – elemento del tutto neutro, quanto la particolare efficacia intimidatrice che deriva dalla esistenza – concreta e percepibile – di un sodalizio che si connota delle peculiarità descritte dall’art. 416 bis c.p., e la relativa condizione di assoggettamento ed omertà che la presenza territoriale di quella associazione è in grado di generare: elementi, questi, dei quali gli autori del fatto devono avvalersi, per rendere il reato aggravato a norma del D.L. 152 del 1991, art. 7.

La verifica, in concreto, circa la sussistenza di siffatti requisiti sarà compito del giudice del rinvio, il quale dovrà altresì tenere conto, in punto di adeguatezza della misura e di esigenze cautelari, del fatto che la Corte costituzionale con sentenza n. 57 del 2013 ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo periodo, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo esame sui punti innanzi indicati.

P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza limitatamente alla aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, ed alle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013
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