Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-08-2012, n. 14578

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Svolgimento del processo

1) Secondo la citazione originaria, risalente al maggio 2002, su un’area cortilizia sita in comune di (OMISSIS), f.g. 11 mapp 181 sub F, che sarebbe sempre stata di proprietà comune alle parti, l’odierno ricorrente O.S. e i coniugi G.G. e P.A.M. avevano annesso alle rispettive abitazioni due porzioni del cortile, costruendo pavimentazione e tetto e realizzando delle verande.

I signori L. e C., quali comproprietari, agivano pertanto per la condanna al rilascio della striscia di terreno.

I convenuti G. opponevano di aver sempre goduto del battuto in cemento antistante l’abitazione, posto ad esclusivo uso di essa.

O.S. si difendeva deducendo che il porticato insisteva sulla sua proprietà.

Il tribunale di Lanusei, pur rilevando che l’atto di divisione era idoneo a provare il diritto di comproprietà degli attori in confronto con i condividenti e gli aventi causa, negava che fosse stata provata l’identità del bene domandato dagli attori con quello descritto nel titolo e rigettava la domanda con sentenza 27 novembre 2006.

1.1) La Corte d’appello, investita da gravame proposto dai sigg.

L. e C., dopo aver precisato che unico proprietario era L. A.L. e che i mappali 181 da A a B ereditati dai figli U., M.G. (poi G.), T. (poi O.) erano stati attribuiti con atto divisionale 1 aprile 1982 solo quanto ai fabbricati, lasciando in comune l’area, con frazionamento relativo ai nuovi mappali, spiegava che, come confermato dal ctu, l’area in contestazione non era di proprietà esclusiva dei convenuti, essendo rimasta comune.

Ribadiva che M.G. e L.T. non avevano quindi venduto alcuna parte dell’area comune e comunque non avrebbero potuto, posto che con l’atto del 1982 l’avevano tenuta espressamente in comunione. Accertava che non era stato provato il precedente uso esclusivo delle due porzioni controverse.

Stabiliva però che l’esistenza di un battuto in cemento non pavimentato risaliva almeno dal 1972 e che il terreno antistante l’abitazione era stato solo pavimentato dai G. nel 1999.

Quanto ad O., la sentenza d’appello precisava che egli aveva realizzato il battuto nel 1987 e il portico nel 1991, con struttura lignea e tetto in coppi in falda, occupando un’area di 16,20 mq oltre quanto assentito da concessione edilizia e in danno del cortile comune.

Con la sentenza del 30 settembre 2010 condannava pertanto il solo O. all’abbattimento dei manufatti.

Con il ricorso per cassazione il soccombente espone quattro censure illustrate da memoria.

I G. sono rimasti intimati.

I signori L. e C. hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

2) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. per difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari del cortile. Deduce che altri due eredi di L.U. – firmatario dell’atto divisionale del 1982 – sarebbero rimasti estranei al giudizio e che la domanda di demolizione doveva essere decisa nei confronti di tutti.

La censura è inammissibile. Essa non risulta svolta nei precedenti gradi di giudizio e non è confortata da esauriente indicazione fattuale riscontrata in atti. I soggetti indicati dal ricorrente sarebbero stati individuati in forza successione legittima, ma lo stesso ricorso chiarisce che la denuncia di successione non risulta neppure prodotta in giudizio.

Dunque non sussiste quella pacifica risultanza dagli atti del processo di merito che può fondare l’eccezione di difetto del contraddittorio per omessa citazione di un litisconsorte necessario.

Essa non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione qualora su tale questione sia intervenuto il giudicato, ovvero se il presupposto e gli elementi posti a fondamento di essa non emergano con ogni evidenza dagli atti del processo di merito, non essendo possibile in sede di legittimità valutare nuove prove o svolgere attività istruttorie (Cass 10649/04).

3) Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dell’art. 950 c.c. "con riferimento al principio della mera sussidiarietà delle risultanze catastali".

La censura discute dell’idoneità del frazionamento catastale a indicare l’ampiezza dell’area cortilizia, che non sarebbe stato dimostrato essere pienamente coincidente con le misurazioni effettuate.

Il motivo è infondato. Esso non coglie la ratio principale della decisione, costituita dal convincimento, ben espresso dalla Corte di appello, che tutti gli eredi vollero il mantenimento in comunione dell’intera superficie cortilizia, con la conseguenza che era impossibile che dopo la divisione effettuata con questo vincolo, parte dell’area stessa fosse alienata da due dei condividenti ( M. G. e L.T.) a O..

4) Invano il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c. per avere la Corte ritenuto che l’atto di divisione del 1982 fosse "titolo idoneo ad affermare il diritto di comproprietà degli attori".

Vi si sostiene che l’atto di divisione è idoneo a fornire "prova dell’acquisto della proprietà solo per i beni dapprima facenti parte della comunione" e non per il bene rimasto comune.

Il rilievo è plaesemete capzioso, poichè rivolto al medesimo bene che è considerato accessorio dei beni principali di cui viene riconosciuta, dalla medesima fonte, l’appartenenza.

Giova in ogni caso ricordare che l’atto di divisione, che, per il suo carattere meramente dichiarativo, è inidoneo a fornire la prova della proprietà del bene nei confronti dei terzi, assume viceversa rilevanza probatoria nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, giacchè la divisione postula necessariamente il riconoscimento dell’appartenenza dei beni in comunione (Cass. 27034/06).

Poichè O. era avente causa di due condividenti, non può quindi sostenere la mancanza di prova della proprietà di un bene comunque considerato in quella sede, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, sia pure non includendolo in attribuzioni singole.

La ricostruzione in fatto non risulta censurata.

5) Il quarto motivo, che denuncia vizi di motivazione, è relativo alla condanna del ricorrente alla demolizione del manufatto.

La censura è imperniata sulla circostanza che il ricorrente avrebbe acquistato l’immobile munito di scala e sottoscala che occupavano l’area comune e che avrebbe realizzato i lavori oggetto di causa "previa demolizione dei predetti manufatti e utilizzando la superficie prima occupata da essi".

Tali circostanze non risultano dalla sentenza impugnata. La doglianza è quindi infondata poichè il vizio di motivazione avrebbe dovuto essere denunciato indicando da quali risultanze, colpevolmente trascurate dalla Corte d’appello, esse emergessero.

Il ricorso indica soltanto che nella planimetria catastale "era contenuta la previsione di demolizione del sottoscala e della scala" e che il ctu avrebbe evidenziato che l’atto di vendita non aveva descritto lo stato dei luoghi e la previsione di abbattimento di questi manufatti.

Orbene, anche ipotizzando queste circostanze, peraltro indicate sommariamente senza specificare ex art. 366 bis gli elementi necessari per rintracciare detta risultanza, resta comunque non provato che la superficie utilizzata dalle nuove occupi quella risultante dalle previste demolizioni, cioè circostanze di fatto che non possono essere accertate in questa sede.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione in favore di parte controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 2.500,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 18 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2012
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