Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24988

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 18 settembre 2012, il Tribunale di Napoli, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento pronunciato da questa Corte con sentenza del 20 aprile 2012, in parziale accoglimento della richiesta di riesame avanzata nell’interesse di Z.C. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere – nel frattempo sostituita con la misura degli arresti domiciliari emessa nei suoi confronti per i reati di concorso in truffa aggravata, ricettazione e tentativo di impiego di denaro di provenienza illecita aggravato a norma del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, ha annullato l’ordinanza custodiale in relazione al capo u) limitatamente all’ipotesi di cui all’art. 648 ter c.p., confermando nel resto la misura in corso di applicazione.
Propone ricorso per cassazione il difensore, il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari. Sottolinea infatti il ricorrente che il provvedimento impugnato si sarebbe fondato essenzialmente sulla gravità dei fatti desunta, per un verso dalla consapevolezza che la propria condotta agevolava le attività camorristiche del cosiddetto clan dei casalesi, e sotto altro profilo, in rapporto al ruolo rivestito in seno all’istituto di credito vittima della truffa.
Il primo aspetto sarebbe non sarebbe pertinente in quanto riguarderebbe esclusivamente il dolo necessario per ipotizzare il concorso e il secondo profilo risulterebbe errato in quanto l’imputato non rivestiva una posizione apicale in seno all’istituto di credito svolgendo un ruolo sostanzialmente esecutivo. Non sarebbe stata in alcun modo valutata la personalità dell’imputato, qualificato in termini negativi sulla base di considerazioni di tipo meramente sociologico. Non sarebbe stato poi in alcun modo apprezzate le deduzioni difensive tese a contrastare la valutazione negativa in punto di prognosi di recidiva e la lontananza nel tempo dei fatti risalenti -secondo quanto puntualizzato dalla ordinanza poi annullata – al 2007. Si sottolinea, poi, la avvenuta interruzione del rapporto di lavoro con l’xxx, con conseguente interruzione di qualsiasi ipotizzato rapporto con il clan in via di accusa favorito.
Mancherebbero, dunque, elementi concreti alla strega dei quali ritenere sussistente il ravvisato periculum in libertate. Malgrado la sussistenza della presunzione derivante dalla aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, non sussisterebbero comunque circostanze atte a denotare la esistenza di esigenze cautelari tali da giustificare l’applicazione della misura.
Il ricorso è fondato. Il giudice, infatti, nel sottoporre ad analisi il complesso degli elementi presenti negli atti al fine di formulare la prognosi di pericolosità sociale "specifica" a tutela della esigenza di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c) – esigenza che, come è noto, è quella che presenta aspetti di possibile e problematica frizione rispetto al principio di presunzione di non colpevolezza, sancito dall’art. 27 Cost., e tale, dunque, da dover essere riguardata secondo prospettive applicative improntate a criteri di particolare rigorosità – deve porre particolare attenzione ai dati riguardanti i precedenti penali del soggetto, ed alla stessa condotta di vita, non soltanto antecedente, ma anche susseguente al reato addebitatogli, stante, a tal fine, la elevata significanza della recidiva nel reato e al tempo trascorso tra l’epoca di commissione del fatto in contestazione ed il momento di formulazione del giudizio di prognosi, specie quando gli atti non consentano di evidenziare, per tutto l’intervallo, rilievo negativo.
Nella ipotesi in cui, come nella specie, tale giudizio prognostico riguardi persona priva di precedenti significativi che abbia posto in essere la condotta addebitata in epoca remota, l’analisi, agli effetti che qui interesano, non può limitarsi ad una semplice ipotizzazione di ricaduta che faccia leva solo sul tipo di condotta incriminata, ma deve fondarsi su elementi concreti che rendano altamente probabile, presentandosene l’occasione, la ricaduta nel reato, tanto se a connotazioni omologhe in ordine alla species, quanto – ed a fortiori – se di natura diversa da quella della fattispecie oggetto della misura. Le specifiche circostanze e modalità del fatto, sono infatti correlate fra loro – a norma dell’art. 274, lett. c) – da una congiunzione, con l’ovvia conseguenza che i profili "oggettivi" della prognosi di recidiva non possono essere avulsi da una contestuale disamina anche di quelli "soggettivi", radicati su un apprezzamento della "personalità", a sua volta "giudicata" in funzione di "atti concreti" o dai "precedenti penali". Fatto e persona sono dunque i termini di un binomio inscindibile, che impone una valutazione "pluridimensionale" del periculum, che rifugge da stereotipi o, peggio, da valutazioni raccordate al modello del "tipo di autore".
L’ordinanza impugnata, lungi dal puntualizzare specifiche circostanze di fatto dalle quali dedurre, in termini di concretezza e di attualità il ravvisato pericolo di recidiva, si è limitata a diffondersi sulla ritenuta gravità della condotta posta in essere dall’imputato, svilendo totalmente la rilevanza che in concreto assume la lontananza nel tempo dei fatti, ed omettendo qualsiasi valutazione atta a suffragare condotte o fatti successivi dai quali dedurre la pericolosità dell’imputato. Il tutto, poi, apoditticamente svilendo la perdita della qualità soggettiva in reazione alla quale l’imputato era stato nelle condizioni di porre in essere i fatti addebitati, secondo un meccanismo logico di tipo congetturale, che trasferisce sul piano della permanenza un disvalore che strutturalmente si esaurisce in condotte a carattere istantaneo.
Non è dato comprendere, poi, come la misura carceraria sia stata successivamente trasformata in altre gradate, malgrado il disposto dell’art. 275, comma 3, in rapporto alla aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, anche se il tema assume oggi minor risalto alla luce della intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, ad opera della sentenza n. 57 del 213 della Corte costituzionale.
L’ordinanza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo giudizio in punto di esigenze cautelari.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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