T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, Sent., 27-01-2011, n. 191

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La ricorrente, dipendente del Comune di xxx ha impugnato la deliberazione n. 786 del 17 novembre 1998, con la quale la Giunta municipale del Comune di xxx ha approvato la graduatoria per l’attribuzione del livello economico differenziato (l.e.d.), relativamente alla 7^ qualifica funzionale, nella quale la ricorrente risulta collocata al 2° posto con punti 18,67, dopo il dipendente L.C. cui sono stati attribuiti punti 43,94.
La ricorrente, unitamente alla domanda demolitoria, formula domanda di accertamento del suo diritto alla attribuzione del l.e.d. relativo alla 7^ q.f. e, contestualmente, domanda di condanna della amministrazione comunale al pagamento delle relative differenze retributive, maggiorate degli interessi e della rivalutazione monetaria.
In particolare, la ricorrente contesta la legittimità dell’azione amministrativa del Comune di xxx per i seguenti motivi:
1. Violazione di legge. Violazione e mancata applicazione degli artt. 16 lett. e) e 17 lett. e) del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, così come modificati dall’art. 11 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80. Incompetenza;
2. Violazione di legge. Violazione ed errata applicazione degli artt. 35 e 36 del D.P.R. n. 333/1990 anche in relazione alla violazione ed errata applicazione del Regolamento L.E.D. di cui alla deliberazione consiliare n. 34 del 9 marzo 1993. Violazione ed erronea applicazione dei principi in materia di costituzione del rapporto di pubblico impiego e di inquadramento del personale ai sensi e per gli effetti del DD.PP.RR. n. 347/1983 e n. 333/1990. Eccesso di potere per erronea presupposizione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, perplessità ed ingiustizia manifesta. Sviamento. Illegittimità autonoma ed in via derivata;
3. Violazione di legge. Violazione del principio di buona amministrazione e di affidamento del cittadino nell’azione della P.A. Violazione del principio di trasparenza del procedimento amministrativo di cui alla l. 7 agosto 1990 n. 241, con particolare riferimento all’art. 3. Violazione ed errata applicazione degli artt. 35 e 36 del D.P.R. n. 333/1990 anche in relazione alla violazione ed errata applicazione del Regolamento L.E.D. approvato con deliberazione consiliare n. 34 del 9.03.1993. Eccesso di potere per errore sui presupposti, travisamento dei fatti, carenza assoluta di motivazione, perplessità ed ingiustizia manifesta. Sviamento;
4. Violazione di legge. Violazione ed errata applicazione degli artt. 35 e 36 del D.P.R. n. 333/1990, anche in relazione alla violazione ed errata applicazione del Regolamento L.E.D. approvato con deliberazione consiliare n. 34 del 9.03. 1993. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, ingiustizia manifesta.
Si è costituito in giudizio il Comune di xxx, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone, pertanto, la reiezione.
Con Ordinanza n. 229/1999 è stato ingiunto al Comune di xxx di provvedere ad alcuni incombenti istruttori.
Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2010 il ricorso è stato introitato per la decisione.
1. Con il primo motivo del gravame, la ricorrente deduce anzitutto l’incompetenza della Giunta comunale in ordine alla adozione dell’atto gravato. Essendo l’attribuzione del livello economico differenziato un atto di natura gestionale, esso avrebbe dovuto essere adottato con determinazione del dirigente dell’Ufficio personale.
La tesi della ricorrente non può essere condivisa.
E’ bensì vero che l’art 51, comma 3 lett. e) della legge 8 giugno 1990 n. 142 (vigente ratione temporis) attribuiva ai dirigenti "gli atti di amministrazione e gestione del personale" e che l’atto di attribuzione del livello economico differenziato deve essere sussunto nella categoria degli atti di gestione del personale dipendente.
Tuttavia, a ben vedere, nel caso di specie, la Giunta comunale si è limitata ad approvare, con atto deliberativo, la graduatoria predisposta dal dirigente per l’attribuzione del l.e.d. relativo alla 7^q.f., allegata sub a) alla medesima deliberazione.
Coerentemente con il carattere recessivo attribuito dalla legislazione più recente ai vizi di carattere meramente formale (art. 21 octies della legge n. 241/1990), il Collegio ritiene, pertanto, che la censura debba essere respinta.
2. Con il secondo articolato motivo di gravame, la ricorrente ripercorre tutta la carriera del controinteressato (L.C.), a far data dal deliberazione del Commissario straordinario n. 100 del 18 febbraio 1977, con la quale erano state conferite al medesimo le funzioni di messo di conciliazione ed arriva alla conclusione che questi sarebbe stato illegittimamente assunto alle dipendenze del Comune di xxx ed altrettanto illegittimamente inquadrato, con deliberazione di G.M. n. 475 del 2 aprile 1984, nella IV^ q.f., con il profilo di "messo notificatore".
La ricorrente contesta, altresì, la legittimità dei successivi atti di inquadramento, ivi compresa l’attribuzione al Sig. L.C., a seguito di concorso interno, del posto di Responsabile Area CED – VII^ q.f.
Dalla dedotta illegittimità dell’atto di assunzione e dei successivi atti di inquadramento del Sig. L.C. la ricorrente fa derivare l’illegittimità della attribuzione al medesimo del livello economico differenziato (l.e.d.) per la 7^ q.f.
La tesi della ricorrente non può essere condivisa.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale ai provvedimenti di inquadramento dei pubblici dipendenti antecedenti alla c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego deve essere attribuita natura autoritativa e non paritetica; ne consegue che ogni pretesa a riguardo, in quanto incidente su posizioni di interesse legittimo, può essere fatta valere solo mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti che si assumono illegittimamente incidenti su tali posizioni (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V 13 agosto 2007 n. 4439; Consiglio di Stato, Sez. IV 20 dicembre 2005 n. 7257; Consiglio di Stato, Sez. V 1° agosto 2001 n. 4186; Consiglio di Stato, Sez. Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 novembre 2003 n. 7250).
Conformemente ai superiori principi ermeneutici, è evidente che la legittimità dei provvedimenti di inquadramento contestati dalla ricorrente (alcuni dei quali risalgono ad oltre venti anni dalla proposizione dell’odierno gravame) avrebbe dovuto essere contestata tempestivamente, entro il prescritto termine decadenziale, e che lo scrutinio della legittimità dei predetti provvedimenti non può trovare ingresso, neppure in via incidentale, nel presente giudizio, attraverso la loro disapplicazione, in quanto l’azione di accertamento può essere proposta davanti al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, solo quando vengono fatti valere diritti soggettivi.
3. Con il terzo motivo di gravame, la ricorrente deduce l’illegittimità dell’azione amministrativa per violazione di legge ed eccesso di potere, sotto diversi profili, evidenziando che l’amministrazione comunale di xxx, nel respingere il ricorso in opposizione proposto dalla ricorrente medesima, si sarebbe limitata a ritenerlo infondato, senza addurre alcuna motivazione a riguardo.
La censura è infondata.
Nell’atto di opposizione del 21 ottobre 1998 la ricorrente contesta la legittimità dell’inserimento del Sig. L.C. nella graduatoria per l’attribuzione del l.e.d. della 7^ q.f., "non essendo lo stesso in possesso dei requisiti di legge previsti per l’attribuzione del L.E.D. Tanto in ragione del fatto, che detto dipendente, risulta inquadrato difformemente al D.P.R. n. 347/83 ed al D.P.R. 333/90".
Orbene, la predetta impugnativa si presenta estremamente generica, senza contenere alcuna specifica indicazione delle ragioni della dedotta illegittimità, essendosi la ricorrente limitata a dichiarare che gli atti di inquadramento del Sig. L.C. non sarebbero conformi al D.P.R. n. 347/83 ed al D.P.R. 333/90.
Oltre a tale assorbente profilo, il Collegio fa rilevare che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l’amministrazione non ha l’obbligo di provvedere sulla istanza di riesame e di revisione di un inquadramento già disposto nei confronti di un suo dipendente, in quanto è libera di valutare se l’inoppugnabilità dei propri atti meriti o meno di essere superata da successive valutazioni che tengano conto del decorso del tempo e delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici (Consiglio di Stato, Sez. VI 12 novembre 2003 n. 7250).
Nel caso di specie, deve ritenersi che, essendo stata dedotta nel ricorso in opposizione (peraltro, in maniera generica) l’illegittimità di atti di inquadramento divenuti ormai inoppugnabili, l’amministrazione comunale non fosse tenuta a fornire specifiche e puntuali motivazioni in ordine a provvedimenti i cui effetti si erano ormai consolidati, e ciò anche al fine di evitare una riapertura dei termini di impugnativa.
4. Con l’ultimo motivo di gravame, la ricorrente lamenta la mancata attribuzione di punti 26,03 per titoli di servizio, che le avrebbe consentito di conseguire il punteggio complessivo di punti 44,90 e, quindi, di essere collocata al posto n. 1 della graduatoria impugnata.
La censura è palesemente inammissibile, per genericità, in quanto la ricorrente non solo non prova, ma neppure allega gli elementi per i quali l’amministrazione le avrebbe dovuto attribuire il preteso punteggio ulteriore.
In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.
Il Collegio, tuttavia, in relazione alla natura della controversia, ravvisa giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Costantini, Presidente
Enrico d’Arpe, Consigliere
Paolo Marotta, Referendario, Estensore

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