Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-08-2012, n. 14601

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 16-9-1997 Z.A., P. P.G., Pa.An., M.G., Pi.
M. e B.L. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari la società Immobiliare xxx di xxx xxx & C. s.a.s. assumendo:
Il 23-7-1982 i coniugi Pa.An. e M.G. avevano acquistato dalla convenuta con atto pubblico i terreni siti nel Comune di (OMISSIS);
l’art. 8 di tale atto prevedeva che le costruzioni avrebbero dovuto essere adibite ad uso di civile abitazione;
in data 12-3-1992 la suddetta società aveva acquistato da Pa.
A. e M.G. con rogito xxx un’area edificabile nel Comune di (OMISSIS) della superficie di 900 metri quadri facente parte del centro residenziale (OMISSIS);
– all’art. 2 dell’atto di vendita erano stati richiamati espressamente tutti i patti, le clausole e le condizioni contenute nell’atto pubblico del 23-7-1982, patti che la società acquirente non poteva non conoscere, come del resto risultava dallo stesso rogito G., in quanto con l’atto del 23-7-1982 l’Immobiliare xxx aveva venduto alla Pa. ed al M. la medesima area fabbricabile che successivamente aveva riacquistato con il rogito ed in cui era stato previsto che le costruzioni da edificarsi nell’area in oggetto avrebbero dovuto essere adibite esclusivamente ad uso di civile abitazione;
– la clausola contrattuale che la società, prima lottizzante, aveva inserito in tutti gli atti di acquisto, obbligava gli acquirenti ad utilizzare gli immobili unicamente per civile abitazione;
– nonostante la presenza di tale patto la società convenuta, dopo aver costruito sopra la predetta area un locale composto da più vani, aveva adibito lo stesso ad uso commerciale, e precisamente allo svolgimento di attività di ristorazione e pizzeria in spregio dei patti assunti.
Tanto premesso gli attori chiedevano, accertata la validità della predetta clausola contrattuale, ordinarsi alla convenuta di interrompere ogni attività svolta nei locali costruiti in contrasto con la destinazione a civile abitazione, e condannarsi la medesima al risarcimento dei danni.
Costituendosi in giudizio l’Immobiliare xxx assumeva che dalla clausola n. 2 del contratto del 12-3-1992 non era sorto alcun diritto in capo agli attori e che, comunque, l’art. 8 del contratto del 23-7- 1982 era dettato nell’esclusivo interesse dell’esponente e non delle controparti; chiedeva pertanto il rigetto delle domande attrici.
Con sentenza del 28-7-2003 il Tribunale adito rigettava le suddette domande.
Proposto gravame da parte dello Z., del P., della Pa. e del M. cui resisteva l’Immobiliare xxx di xxx & C. s.a.s. (già Immobiliare xxx di xxx xxx & C. s.a.s.) la Corte di Appello di Cagliari con sentenza del 22-9-2006, in accoglimento dell’appello proposto dalla Pa. e dal M. ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’appellata alla immediata interruzione di qualsiasi attività all’interno dei locali costruiti sopra l’area oggetto dell’atto di compravendita stipulato tra le parti in data 12- 3-1992 che fosse in contrasto con l’uso della civile abitazione.
Per la cassazione di tale sentenza l’Immobiliare xxx di xxx & C. s.a.s. ha proposto un ricorso affidato a cinque motivi seguito successivamente da una memoria cui la Pa. ed il M. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo l’Immobiliare xxx, denunciando motivazione insufficiente ed illogica nonchè violazione della L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4 premesso che le controparti avevano acquistato dalla società esponente in data 23-7-1982 un lotto di terreno edificabile e che successivamente il 12-3-1992 esse avevano rivenduto lo stesso lotto alla odierna ricorrente, dopo averlo valorizzato con l’ottenimento di una concessione per la realizzazione su di esso di un ristorante, assumono che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto una pura affermazione la dedotta conoscenza da parte della Pa. e del M. del rilascio di detta concessione;
invero, poichè ai sensi dell’art. 4 della legge ora richiamata la concessione poteva essere richiesta dal proprietario dell’area, essi non solo dovevano essere a conoscenza di tale circostanza, ma anzi avevano dovuto quantomeno aderire espressamente al fatto di richiederla; pertanto le controparti non avrebbero potuto ragionevolmente meravigliarsi che sull’area edificabile suddetta fosse stato realizzato un ristorante, e quindi contestare all’acquirente la costruzione e l’esercizio di tale attività.
Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione degli artt. 1362-1364 e c.c. e motivazione illogica ed insufficiente, sostiene che la pattuizione invocata dalle controparti di cui all’art. 2 del contratto del 12-3-1992 aveva un contenuto diretto (costituito dallo stato di diritto attuale del terreno) ed un contenuto "per relationem" (costituito dal richiamo alle clausole della compravendita del 23-7-1982); orbene, essendo tali contenuti tra di loro incompatibili, era evidente che doveva ritenersi prevalente la clausola relativa allo stato di diritto attuale, caratterizzato da un terreno munito di concessione per la costruzione di un ristorante.
Inoltre i ricorrenti giungono alle medesime conclusioni alla luce delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dall’art. 1362 c.c., comma 2, (considerato che i coniugi M. avevano richiesto la concessione edilizia per la gestione di un ristorante poco prima della vendita), dall’art. 1366 c.c. in ordine all’interpretazione del contratto secondo buona fede (atteso che non era certo conforme a tale canone l’interpretazione della Corte territoriale che aveva valorizzato il generico richiamo alle pattuizioni del 1982, con il conseguente divieto per l’acquirente di utilizzare la concessione edilizia ottenuta dai M.), e dall’art. 1364 c.c. (dato che le parti avevano trattato la compravendita di un terreno assistito da concessione per la costruzione di un ristorante, e che tale specifico oggetto doveva necessariamente prevalere in sede interpretativa su altre clausole di generico rinvio ad altra compravendita).
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1364 c.c. e motivazione illogica e contraddittoria, censura la sentenza impugnata per aver osservato, a riprova del preteso accordo raggiunto tra le parti in ordine all’obbligo dell’acquirente di adibire l’immobile solo a casa di civile abitazione, che nel secondo atto di trasferimento si evidenziava anche la sussistenza di ulteriori vincoli all’utilizzo edificatorio correlati alla posizione del lotto; in realtà tale clausola faceva riferimento ad una espressa pattuizione contenuta nell’atto e volta a garantire i M. da possibili future contestazioni da parte dell’acquirente circa l’esistenza di vincoli sul terreno in questione imposti dall’ANAS, clausola quindi avente finalità del tutto opposta a quella di cui si discute; anzi, proprio la circostanza dell’esplicito vincolo sopra richiamato avrebbe dovuto indurre a svuotare di rilievo un concorrente generico richiamo ad una precedente scrittura.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.
La Corte territoriale ha ritenuto che il richiamo della clausola n. 2 del contratto del 12-3-1992 a tutte le clausole del precedente atto del 23-7-1982, clausole che l’acquirente società lottizzante dichiarava di ben conoscere in quanto erano le stesse dell’atto in cui essa era stata venditrice dello stesso lotto, fosse indicativo della volontà specifica e concreta delle parti di ribadire le limitazioni poste all’attività edificatoria del proprietario del lotto; a riprova del fatto che i contraenti avevano discusso e raggiunto un accordo sul punto, il giudice di appello ha rilevato che nell’atto del 12-3-1992 era evidenziata la sussistenza di ulteriori vincoli all’utilizzo edificatorio correlati alla posizione del lotto.
La sentenza impugnata ha sottolineato altresì l’interesse del M. e della Pa. alla pattuizione della suddetta clausola che consentiva la destinazione del lotto ritrasferito soltanto a casa di civile abitazione, considerato che essi erano proprietari di un altro lotto, e che era pertanto comprensibile che volessero evitare che nelle vicinanze della propria casa si svolgessero attività rumorose che comportassero il frequente passaggio di un numero indefinito di persone e di automezzi destinati ad intasare le strade della lottizzazione; in tale contesto ha quindi aggiunto che il fatto che la clausola n. 8 del contratto del 23-7- 1982 rispondesse ad un interesse della lottizzante non escludeva di per sè che anche il M. e la Pa. all’atto del ritrasferimento del bene alla società Immobiliare xxx avessero un loro interesse alla permanenza sul lotto del suddetto vincolo edificatorio.
Infine la Corte territoriale ha escluso che fosse insussistente una volontà in tal senso da parte dei predetti coniugi per il fatto che essi erano a conoscenza che la società acquirente avrebbe costruito sul lotto un immobile destinato ad attività commerciale, ciò deducendo presuntivamente dalla circostanza che i venditori avevano ottenuto un prezzo più alto di quello da loro corrisposto nel 1982, e che la concessione edilizia era stata rilasciata nel 1990; infatti, a prescindere dall’osservare che l’aumento del corrispettivo era giustificato dal fatto che tra un atto e l’altro erano passati oltre dieci anni e che la zona aveva avuto uno sviluppo di rilievo, la conoscenza da parte del M. e della Pa. del rilascio della concessione edilizia si risolveva in una pura affermazione, e comunque costituiva un elemento equivoco, in quanto avrebbe potuto sostenersi che proprio al fine di scongiurare tale pericolo le parti avessero fatto espresso richiamo al limite di edificazione predetto.
Orbene, avendo il giudice di appello indicato esaustivamente le fonti del proprio convincimento in ordine all’interpretazione della clausola n. 2 del contratto del 12-3-1992 sulla base di criteri di ordine sta letterale che logico, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove la ricorrente tende inammissibilmente a prospettare una ricostruzione della volontà contrattuale ad essa più favorevole, trascurando i limiti del sindacato di legittimità in materia di interpretazione della volontà delle parti; del resto i profili di censura sollevati dalla ricorrente sono basati essenzialmente su di una circostanza – ovvero la conoscenza da parte dei venditori dell’avvenuta concessione edilizia per la gestione di un ristorante sul lotto oggetto della compravendita del 12-3-1992 – che la sentenza impugnata ha ritenuto del tutto sfornita di prova, essendo rimasta una pura affermazione di parte; nè del resto in questa sede tale statuizione è stata censurata in termini specifici, non essendo stato neppure chiarito se detta concessione sia stata effettivamente rilasciata e, nell’ipotesi affermativa, l’epoca di tale rilascio; ancor meno risulta provato, poi, che la pretesa concessione sia stata richiesta dagli stessi coniugi M. e Pa., come pure prospettato dalla ricorrente.
Quanto infine al riferimento del giudice di appello, a riprova che le parti avevano discusso e raggiunto un accordo sul richiamo delle clausole di cui alla vendita del 23-7-1982, alla sussistenza di altri vincoli all’utilizzo edificatorio del lotto, tale elemento rientra nella valutazione del comportamento delle parti da parte del giudice di merito (come tale insindacabile in questa sede), che anche da tali ulteriori pattuizioni ha ritenuto emergere la volontà dei contraenti di chiarire specificamente i vincoli di destinazione del lotto stesso.
Con il quarto motivo proposto in via subordinata la ricorrente, deducendo violazione dell’art. 872 c.c., rilevato che nella specie non vi era comunque stata lesione di un diritto reale, considerato che semmai ricorreva la inosservanza di un rapporto di natura obbligatoria, come riconosciuto dallo stesso giudice di appello, riguardante la destinazione d’uso della costruzione, afferma che conseguentemente la relativa tutela giudiziaria non poteva comportare che il diritto al risarcimento del danno, ovvero ad una riparazione per equivalente, e non quindi la condanna alla interdizione dell’uso dell’immobile diverso dalla civile abitazione.
La censura è infondata.
La Corte territoriale, rilevato che la società Immobiliare xxx non aveva adempiuto all’obbligo contrattualmente assunto di adibire le costruzioni erette sul lotto acquistato soltanto ad uso di civile abitazione, ha accolto la domanda degli appellanti di condanna della suddetta società all’immediata interruzione di qualsiasi attività all’interno dei locali costruiti sul lotto stesso in contrasto con l’uso della civile abitazione; orbene tale statuizione, che ha disposto il ripristino dello stato di fatto sussistente all’atto della compravendita del 12-3-1992, è immune dalle censure sollevate dalla ricorrente basate sull’erroneo riferimento all’art. 872 c.c., comma 2, che invero disciplina la tutela giurisdizionale in materia di distanze tra costruzioni, materia quindi evidentemente estranea alla fattispecie, dove il M. e la Pa. hanno dedotto l’inadempimento contrattuale della controparte ad una determinata clausola che aveva dato vita ad un rapporto di natura obbligatoria.
Con il quinto motivo proposto in via subordinata l’Immobiliare xxx, deducendo violazione degli artt. 2058 e 2933 c.c. ed omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per aver condannato l’esponente alla immediata interruzione di qualsiasi attività in contrasto con l’uso di civile abitazione, trattandosi invero di condanna insuscettibile di esecuzione come qualsiasi obbligazione avente ad oggetto un "facere" infungibile; essa diventa materialmente eseguibile, ai sensi dell’art. 2058 c.c., comma 1, se interpretata come includente la demolizione delle caratteristiche della costruzione che la rendevano funzionale all’attività commerciale;
sennonchè una condanna così sproporzionata rispetto all’interesse del preteso danneggiato dal disturbo alla propria quiete da parte di chi si reca al ristorante è preclusa dalle due norme sopra richiamate.
La censura è infondata.
La sopra enunciata statuizione emessa dalla sentenza impugnata comporta soltanto la condanna della società Immobiliare xxx alla cessazione di tutte le attività all’interno della costruzione realizzata sul lotto oggetto dell’atto del 12-3-1992 in contrasto con l’uso della civile abitazione; si tratta quindi di una condanna ad un "non facere", e ad essa di per sè è quindi estranea una condanna alla demolizione delle strutture ivi esistenti; è poi erroneo il riferimento alla violazione sia dell’art. 2058 c.c., posto che il risarcimento in forma specifica, secondo il criterio generale fissato da tale norma, è applicabile anche alle obbligazioni contrattuali, costituendo rimedio alternativo al risarcimento per equivalente pecuniario (Cass. 2-7-2010 n. 15726), sia dell’art. 2933 c.c., atteso che la suddetta condanna di per sè non implica la distruzione di nessuna cosa, e che comunque non è mai stato dedotto nei precedenti gradi di giudizio che la cessazione dell’attività di ristorazione esercitata sul lotto in questione potesse costituire pregiudizio all’economia nazionale.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2012

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