Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24979

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. I ricorrenti – imputati nel procedimento penale n. 32113/05 pendente presso il Tribunale di Roma – hanno avanzato richiesta di rimessione del procedimento ad altro giudice per legittimo sospetto ai sensi degli artt. 45 c.p.p. e segg..

Fondano la propria istanza su taluni rilievi, quali: la reiterata presenza in aula, nel pubblico, del Dott. B.S., magistrato ordinario coniugato con un giudice del Tribunale civile di Roma e cugino della parte offesa; l’identità di cognome tra il giudice civile che ha disposto il sequestro di cui i ricorrenti contestarono i presupposti (Dott. D.S.G.) e il Pubblico ministero che curò le indagini preliminari (Dott. D.S. E.); il fatto che il Tribunale non ha ammesso nè la maggior parte dei testimoni richiesti dagli imputati nè la CTU da essi sollecitata. I ricorrenti criticano inoltre alcuni provvedimenti adottati da vari giudici e ritenuti errati e il fatto che a fronte della denuncia di alcuni testimoni da parte degli imputati il PM abbia richiesto archiviazione.

Le doglianze sono riproposte ed ulteriormente illustrate nella memoria depositata in data 18.5.2013, nella quale è pure sollevata questione costituzionale relativamente all’art. 391 bis c.p.p., n. 10, con riguardo agli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost., contestandosi disparità di potere tra Pubblico Ministero e difesa in materia di convocazione dei testimoni o effettuazione di consulenze tecniche di parte, segnalandosi in particolare tale disparità nel fatto che la richiesta di CTP deve essere avanzata dalla difesa al PM e nel fatto che solo l’Ufficio di Procura può avvalersi dell’accompagnamento coattivo dei testimoni.

Motivi della decisione

1. La richiesta è manifestamente infondata.

L’istituto della rimessione è finalizzato a salvaguardare i principi della imparzialità e della indipendenza del giudice da un lato, e della inviolabilità del diritto di difesa dall’altro.

L’istituto della rimessione – come pure evidenzia il presupposto su cui si fonda: la gravità della situazione locale – esprime una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge: ha dunque natura eccezionale (cfr. Cass. Sez. 1^, 10 marzo 1997, n. 1952; Sez. 1^, 7 febbraio 1995, n. 740; Sez. 1^, 10 marzo 1997, n. 1952; Sez. 1^, 20 settembre 1995, n. 4462).

Questa Corte ha avuto modo di precisare che "Per grave situazione locale che può determinare la rimessione deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale e riguardante l’ambiente territoriale nel quale il processo si svolge, connotato da tale abnormità e consistenza da dover essere ritenuto un concreto pericolo per la imparzialità del giudice – inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito – e possibile pregiudizio alla libertà delle persone che partecipano al processo. I motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa. In tal senso i comportamenti del giudice ed i provvedimenti da questo assunti rilevano solo in quanto dipendano dalla situazione esterna ed assumano valore sintomatico di una mancanza di imparzialità dell’intero ufficio giudiziario" (Cass. sez. 1^, 12.10.2011, n. 41715).

Dei tre profili sotto cui l’art. 45 c.p.p., attribuisce rilievo alle situazioni locali – pregiudizio per la libera determinazione delle persone che partecipano al processo; pregiudizio per la sicurezza o l’incolumità pubblica; motivi di legittimo sospetto – nel caso di specie rileva l’ultimo. Sempre questa Corte, nella sentenza da ultimo citata, ha chiarito che "il legittimo sospetto è costituito dal ragionevole dubbio che la gravità di un’obiettiva situazione locale giustifichi la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice – inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito – e possa portare il giudice a non essere, comunque, imparziale o sereno".

"Va ulteriormente precisato" – prosegue la sentenza ricordata – "che connotato del sospetto deve essere la "legittimità", così da ancorarne la ricorrenza solo in presenza di dati obiettivi e concreti che consentano di asserire il venir meno della imparzialità del giudice che, con la sua naturalità, assicura il "giudice giusto". La nozione di "legittimo sospetto" è, quindi, più ampia rispetto alla formula "libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo", in quanto pone l’accento sull’effetto, cioè sul pericolo concreto che possano essere pregiudicate la imparzialità o la serenità, e non richiede che quell’effetto sia conseguenza della impossibilità per il giudice di essere imparziale per essere stato coartato fisicamente o psichicamente". Nel caso di specie gli imputati allegano o fatti palesemente irrilevanti (parentele tra giudici diversi da quelli che conducono il processo; omonimie tra magistrati che si sono occupati di aspetti diversi della vicenda) oppure criticano decisioni a loro sfavorevoli, pretendendo di fondare anche su tale critica il legittimo sospetto verso l’operato dei giudici. In tal modo non evidenziano sotto nessun aspetto la sussistenza dell’elemento di fattispecie della gravità della situazione locale in punto di legittimo sospetto sulla imparzialità del Tribunale di Roma. Quanto alla ipotizzata questione di costituzionalità, la stessa è irrilevante ai sensi della L. n. 87 del 1953, art. 23, non rinvenendosi nessuna pregiudizialità tra la norma dell’art. 391 bis c.p.p., n. 10 e l’oggetto del presente processo, ossia l’istituto della remissione del processo.

2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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