Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24976

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con decreto del 12.7.2012, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispose il sequestro preventivo per equivalente per la somma di Euro 54.808,00, nei confronti di D.U., indagato per il reato di truffa ad un ente previdenziale per essersi finto cieco, godendo così della relativa indennità.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe, la rigettò.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:

1. Errore di applicazione della L. n. 138 del 2001, con riguardo al calcolo del grado di visus rilevante ai fini dello stato di cecità;

dal quale calcolo, correttamente svolto emergerebbe infatti – come dettagliatamente illustrato nel ricorso – lo stato di totale cecità dell’imputato;

2. violazione di legge e difetto di motivazione in quanto, benchè la ritenuta assenza di cecità totale sia stata sconfessata dal consulente tecnico di parte, il Tribunale nel confermare il provvedimento del GIP non dedica nessuna considerazione all’elaborato tecnico, che si limita ad ignorare senza peraltro motivare sui profili medico-legali rilevanti ai fini della supposta cecità soltanto parziale dell’indagato;

3. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla individuazione della entità della somma da sottoporre a sequestro, non risultando dal testo del provvedimento impugnato il ragionamento tecnico contabile seguito dai giudici.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui dell’art. 606 c.p.p., lett. e). (Cass. Sez. Un. sent. n. 5876 del 28.1.2004 dep. 13.2.2004 rv 226710. Fattispecie relativa ad annullamento dell’ordinanza di riesame confermativa del sequestro probatorio di cose qualificate come corpo di reato e del tutto priva di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti).

Nel caso in esame, con riguardo al primo motivo si deduce una violazione di legge su rilievi di natura tecnica, di cui non si svolge nessuna considerazione nella richiesta di riesame, nè la questione risulta sottoposta al Tribunale, così precludendosi una valutazione del merito la quale non può essere svolta in questa sede di legittimità.

Circa il secondo motivo si deduce come mancante una motivazione invece sussistente, prospettando addirittura una ricostruzione alternativa dei fatti, così sconfinando in censure di merito.

Inoltre, non si considera la logica argomentazione del Tribunale, che ha disposto la misura cautelare ampiamente argomentando sull’esistenza del fumus commissi delicti.

L’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato lamentandosi una mancata risposta del Tribunale ad una questione mai sollevata nella richiesta di riesame nè – per quanto emerge dagli atti – comunque sottoposta al Tribunale.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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