Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24963

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, ha condannato lo stesso per il delitto di danneggiamento tentato e aggravato.

Ricorre l’imputato assistito da difensore, chiedendo, preliminarmente, dichiararsi l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione essendo quest’ultima maturata nel corso del giudizio di appello; lamentando inoltre violazione di legge per non essere stato derubricato il reato da danneggiamento a violenza privata; chiedendo infine dichiararsi compensate le spese liquidate in favore della parte civile, avendole la Corte di Appello confermate pur avendo contestualmente parzialmente riformata la sentenza appellata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

La censura sulla qualificazione del fatto è enunciata in maniera insuperabilmente generica, nemmeno comprendendosi per quale ragione il fatto qualificato dalla Corte con diffusa motivazione, come danneggiamento e consistente nella scalfittura di forma circolare cagionata con una punta di trapano su un serbatoio di proprietà della parte offesa, avrebbero dovuto qualificarsi nel senso della violenza privata (a nulla ovviamente rilevando le intenzioni ipoteticamente nutrite dall’indagato, e ribadite dalla difesa, di aver in tal modo agito allo scopo di porre fine a controversie giuridiche pendenti tra le parti). Circa la censura sulle spese riconosciute alla parte civile, la stessa è manifestamente infondata per avere la Corte di Appello decretato la condanna dell’imputato.

Quanto alla doglianza sulla prescrizione, il reato deve ritenersi prescritto in data 8.2.2012, ossia successivamente alla sentenza di appello pronunciata in data 22.10.2010; ciò in quanto al termine di prescrizione del reato, commesso il (OMISSIS), pari ad anni sette e mesi sei, devono aggiungersi quattro mesi e dieci giorni di sospensione nel corso del giudizio di primo grado.

cosi che la manifesta infondatezza dei motivi sollevati, impedendo l’instaurazione del rapporto processuale preclude la declaratoria di prescrizione in questa sede di legittimità.

2. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013
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