Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 27-09-2013, n. 40281

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il Gup presso il Tribunale per i minorenni di Salerno, il 22.3.2010, all’esito del giudizio abbreviato, condannava, con la diminuente della minore età ritenuta equivalente alle circostanze aggravanti contestate di cui all’art. 61 c.p., nn. 2) e 10) e la continuazione, M.C. alla pena di anni sette di reclusione per il tentato omicidio in danno di tre carabinieri che si erano posti al suo inseguimento in quanto ritenuto responsabile del delitto di estorsione (c.d. cavallo di ritorno per un’autovettura rubata), contro i quali aveva esploso cinque colpi di pistola ed aveva puntato l’arma contro il m.llo G. che nell’inseguimento era caduto a terra; nonchè, per i reati di porto e detenzione illegale di un’arma comune da sparo, fatti commessi il (OMISSIS) 2001. Dichiarava, invece, non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al reato di cui all’art. 703 c.p. contestato al capo c).

In data 22.2.2012 la Corte di appello di Salerno, sezione per i minorenni, in parziale riforma della predetta sentenza, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, in uno con la circostanza della minore età, sulle ritenute circostanze aggravanti, rideterminava la pena in anni cinque di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado.

2. La Corte territoriale premetteva che in ordine alla vicenda in contestazione era stata precedentemente disposta l’archiviazione restando vani i tentativi di identificare l’autore; tuttavia, nel 2006 le indagini erano state riaperte allorchè il collaboratore di giustizia R.C. aveva riferito di aver appreso da tale S.A. che il responsabile del conflitto a fuoco con i carabinieri era il M.. In particolare, aveva appreso dallo S. che il giorno in cui si erano verificati i fatti si trovava nella propria autovettura insieme al cognato, I.P., ed era stato fermato dall’imputato che, in palese stato di agitazione, aveva chiesto di salire a bordo dell’auto; quando avevano incrociato i carabinieri il M. aveva cercato di nascondersi per non farsi riconoscere, quindi, aveva riferito loro l’accaduto.

Evidenziava, quindi, la Corte che i predetti di S. e I. avevano confermato la circostanza di avere incontrato quel giorno il M. che aveva chiesto un passaggio in auto; inoltre, dalle intercettazioni ambientali e dalle videoregistrazioni effettuate nella caserma dei carabinieri mentre i predetti erano in attesa di essere esaminati emergevano elementi significativi a conforto di quanto riferito dal R. e risultava, altresì, che subito dopo aver reso le predette dichiarazioni lo S. era stato contattato dall’imputato.

Alla luce di tali emergenze la Corte territoriale riteneva la attendibilità di quanto riferito dal collaboratore di giustizia del quale risultava già vagliata la affidabilità intrinseca, evidenziando l’assoluta plausibilità della circostanza che l’imputato avesse fatto tali confidenze allo S. e allo I., soggetti gravati da precedenti penali. Rilevava, quindi, come le dichiarazioni del R., coerenti e ben inquadrate nel contesto spazio-temporale, abbiano ricevuto positivo riscontro dalle circostanze riferite dallo S. quanto ai punti fondamentali della narrazione, ben potendo comprendersi la ragione per la quale questi e lo I. non abbiano riferito che il M. aveva avuto un conflitto a fuoco con i carabinieri. Significativa veniva ritenuta, altresì, la circostanza che l’imputato subito dopo la convocazione in caserma dei due testimoni, aveva contattato lo S. chiedendogli di incontrarlo per sapere cosa avesse riferito agli inquirenti.

Riteneva, peraltro, del tutto marginale, alla luce del materiale di prova acquisito, la discrasia evidenziata dalla difesa tra quanto riferito dal R. e quanto indicato dallo S. in ordine al punto esatto in cui l’imputato aveva fermato l’auto di quest’ultimo, tenuto conto, altresì, che, comunque, si tratta di luoghi che si trovano lungo il percorso tra Agropoli ed Eboli.

3. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il M., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo con un unico motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della prova della responsabilità per i reati contestati con specifico riferimento alla disciplina di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 e art. 195 c.p.p..

In specie, il ricorrente contesta l’affermazione secondo la quale la responsabilità è fondata su solidi elementi di prova, atteso che la valutazione probatoria presenta insormontabili vizi avuto riguardo alle circostanze riferite dal R., testimone de relato, che risultano tutt’altro che confortate – come ha ritenuto la Corte territoriale – dalle dichiarazioni rese dallo S. e dallo I.. Invero, dalla comparazione delle dichiarazioni rese dai predetti testimoni non soltanto non emergono ulteriori elementi di prova necessari a riscontro di quanto riferito dal R., ma questi risulta addirittura sconfessato dallo S..

Del resto, una volta acquisita la deposizione della persona dalla quale il testimone de relato ha appreso quanto riferito, il giudice, in mancanza di coincidenza tra le due dichiarazioni, ha l’obbligo di valutare esclusivamente quanto dichiarato dal testimone diretto, non potendo più effettuare una valutazione comparativa tra le due deposizioni (cita Sez. 1^, rv. 206967).

Rileva, pertanto, il ricorrente che la dichiarazione del R. non ha ricevuto alcun positivo riscontro dal testimone di riferimento S., restando del tutto generico il richiamo della Corte territoriale al nucleo fondamentale della narrazione, ovvero, assolutamente congetturale l’affermazione che difficilmente S. e I. avrebbero avuto il coraggio di accusare esplicitamente il M.. In particolare, si evidenzia la smentita dello S. in ordine al luogo del presunto incontro con il ricorrente che la Corte di merito apoditticamente ha ritenuto scarsamente rilevante.

Conseguentemente, ad avviso del ricorrente, le dichiarazioni del R. restano mero indizio non confermato da altri elementi come richiesto dall’art. 192 c.p.p., comma 3, mentre, del tutto neutre ai fini dell’affermazione della responsabilità sono le circostanze riferite dagli altri due testimoni.

Prive di alcuna motivata risposta sono rimaste, altresì, le doglianze difensive in ordine alla descrizione fisica dell’autore del fatto, alla dinamica dell’episodio, alla svalutazione degli altri elementi investigativi.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.

I giudici di merito hanno operato una compiuta valutazione delle prove acquisite all’esito del giudizio abbreviato, facendo corretta applicazione della regole di giudizio di cui all’art. 192 c.p.p..

Premesso, infatti, l’esame della attendibilità del dichiarante, la Corte territoriale ha dato atto che le circostanze riferite dal R. de relato hanno trovato conferma in ciò che è stato riferito dai testimoni diretti, S. e I., in specie avuto riguardo alla identificazione dell’autore delle condotte cadute sotto la diretta percezione dei carabinieri.

Ha evidenziato, in particolare, che le dichiarazioni dei predetti – in uno agli elementi tratti dalle videoriprese ed alla circostanza che l’imputato subito dopo la convocazione in caserma dei due testimoni aveva contattato lo S. chiedendogli di incontrarlo per sapere cosa avesse riferito agli inquirenti – confortano il racconto del R. unitamente al quale costituiscono un compendio probatorio utile ai fini dell’affermazione della responsabilità del ricorrente, – quanto meno ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2.

Ed invero, come ha rilevato la Corte di appello, tutte le predette dichiarazioni riconducono, anche se in modo non completamente sovrapponibile, il fatto all’imputato.

Quanto alla dedotta violazione della previsione dell’art. 195 c.p.p., è opportuno precisare come la decisione citata dal ricorrente non sia in termini ed è necessario, altresì, ricordare che la norma non pone una regola di giudizio ai fini della valutazione della prova, ma ha riguardo esclusivamente alla disciplina della utilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali indirette relativa all’esame dei testimoni in dibattimento, diversa da quel che accade nel rito abbreviato (Sez. 3^, n. 11100 del 29/01/2008 – dep. 12/03/2008, rv.

239080).

Le restanti censure si palesano del tutto generiche e volte alla mera rivalutazione degli elementi di prova acquisiti nel giudizio abbreviato in ordine ai quali la Corte territoriale ha operato una valutazione compiuta e complessivamente ancorata alle circostanze di fatto acquisite, con discorso giustificativo – sintetizzato in premessa – immune da illogicità ed interne contraddizioni.

Alla dichiarazione di inammissibilità non consegue nel caso di specie, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende, atteso che il ricorrente al momento del fatto era minorenne.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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