Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 09-08-2013, n. 34651

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Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 15.1.2013, il Tribunale di Perugia, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., confermava il provvedimento con il quale il Gip della stessa sede aveva applicato a F. A. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di tentato omicidio in danno di M.F.;
annullava, invece, l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di tentata rapina contestata al capo b).
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia.
Con il primo motivo di ricorso lamenta che il tribunale del riesame non ha tenuto conto in alcun modo del fatto che, a seguito dell’intervento dei carabinieri a causa della rissa, era stata redatta un’informativa di reato ed era stato iscritto procedimento penale a carico degli indagati in relazione ai reati di estorsione, danneggiamento, lesioni personali e tentata rapina per i quali il pubblico ministero aveva avanzato richiesta di misura cautelare al gip; soltanto successivamente, i carabinieri, di propria iniziativa, avevano proceduto al fermo dell’indagato in relazione al reato di tentato omicidio e, solo a seguito della avvenuta convalida del fermo e della contestuale emissione della misura cautelare, i due procedimenti erano stati riuniti. Contesta, quindi, la sussistenza dei presupposti per disporre il fermo da parte della polizia giudiziaria in presenza di un procedimento già incardinato in merito agli stessi fatti per il quale il pubblico ministero aveva già avanzato richiesta di applicazione di misura cautelare, nonchè, la sussistenza del pericolo di fuga.
In secondo luogo, il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla mancata trasmissione da parte del pubblico ministero con la richiesta di applicazione della misura cautelare e al tribunale del riesame di atti ritenuti determinanti della valutazione della gravità indiziaria. In particolare, lamenta la mancata trasmissione del supporto informatico sul quale erano registrate le videoriprese utilizzate ai fini dell’applicazione della misura non consentendo, in tal modo, il controllo diretto da parte del giudice, nonchè da parte della difesa, di quanto affermato dalla polizia giudiziaria con conseguente inefficacia del provvedimento custodiale.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per reato di tentato omicidio contestato al ricorrente. Il ricorrente rileva, in specie, che il tribunale non ha tenuto conto in alcun modo delle prospettazioni difensive, limitandosi a ribadire quanto già affermato nel provvedimento impugnato che fonda esclusivamente sulle circostanze riferite da testimoni non disinteressati, trattandosi degli estensori della denuncia querela nei confronti dell’indagato e di persone legate alla vittima, con conseguente dubbio sulla genuinità della testimonianza.
Contesta, inoltre, che i testimoni S. e B. abbiano assistito all’episodio ed evidenzia che le dichiarazioni rese dai predetti testimoni risultano tutt’altro che concordanti; del resto, la denuncia-querela presentata dallo S. offre una ricostruzione dei fatti ancora diversa. D’altro canto, le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da un altro socio del locale, M.S., smentiscono completamente ciò che avevano riferito in denuncia in ordine alle presunte minacce estorsive ricevute dal R.. Ancora, il ricorrente rileva la diversa ricostruzione fornita dal testimone della difesa in sede di indagini difensive, sia pure effettuata successivamente all’udienza dinanzi al tribunale del riesame.
Il ricorrente contesta, altresì, la qualificazione giuridica dei fatti per totale illogicità e contraddizione. Non si comprende in base a quali elementi i giudici definiscano la bottiglia come strumento atto ad offendere in quanto pesante, atteso che la stessa non è mai stata rinvenuta, e non se ne conoscono le dimensioni e le caratteristiche; inoltre, la vittima è stata colpita una sola volta e non già ripetutamente, denotando in tal modo l’assenza di una perdurante determinazione a colpire e, quindi, l’insussistenza della volontà finalizzata ad uccidere. Il testimone che ha visto l’azione non ha mai riferito della rincorsa che l’avrebbe preceduta; inoltre, la persona offesa giunse al pronto soccorso con una patologia qualificata con "codice verde" e solo successivamente, in presenza di un versamento ematico sottotecale, si rese necessario l’intervento;
nè ha mai corso pericolo di vita come si desume dalla certificazione medica in atti. Deve essere, quindi, escluso il dolo diretto, nonchè il dolo alternativo prospettati dal tribunale del riesame.
Con l’ultimo motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle esigenze cautelari. Il ricorrente assume che i giudici del riesame hanno affermato in maniera totalmente apodittica la straordinaria gravità del fatto, riferita alla messa in pericolo della vita di una persona e all’avere terrorizzato molte altre persone presenti nel locale, circostanze prive di alcun concreto elemento di riscontro in atti.
Contraddittoria deve ritenersi, altresì, la motivazione nella parte in cui assume che il movente dell’azione sarebbe riconducibile ad intenti estorsivi. Inoltre, i giudici del riesame hanno completamente omesso di valutare che l’indagato è persona praticamente incensurata, a carico della quale risulta un unico precedente costituito dal reato di guida senza patente. Neppure sussistono le esigenze cautelari in ordine al pericolo di fuga, essendo stato ampiamente documentato che il ricorrente non è mai fuggito all’atto dell’intervento della polizia giudiziaria giunta posto al momento del fatto.
Motivi della decisione
1. E’ manifestamente infondato il primo motivo di ricorso, atteso che nessuna irregolarità può essere rilevata avuto riguardo alla iscrizione di distinte notizie di reato; nè del resto, il ricorrente deduce alcuna violazione specifica, limitandosi ad una generica doglianza. In ogni caso, le censure si riferiscono al provvedimento di fermo ed alla conseguente convalida, del tutto autonomi rispetto a quello con il quale è stata applicata la misura cautelare oggetto dell’ordinanza impugnata. La convalida dell’arresto o del fermo e l’ordinanza con cui, in sede di convalida, il Gip disponga una misura cautelare costituiscono due provvedimenti indipendenti ed autonomi, soggetti ciascuno a distinti mezzi di impugnazione con diversi presupposti e finalità. In particolare, contro il provvedimento di convalida dell’arresto, per il quale l’art. 391 c.p.p., comma 4, prevede il ricorso per cassazione, possono farsi valere soltanto ragioni miranti a far accertare l’illegittimità dell’arresto, in quanto eventualmente operato fuori dei casi previsti dalla legge, con riferimento al titolo del reato, all’esistenza o meno della flagranza, all’osservanza dei termini, mentre le questioni relative all’esistenza degli indizi di colpevolezza ed alle esigenze cautelari devono essere dedotte mediante gli appositi rimedi di cui agli artt. 309, 310 e 311 c.p.p. contro l’ordinanza applicativa della misura cautelare. (Sez. 1^, n. 753 del 04/02/1994, xxx, rv. 197002;
Sez. 6^, n. 38180 del 14/10/2010, xxx, rv. 248519).
2. Sono infondate le doglianze del ricorrente avuto riguardo alla mancata trasmissione da parte del pubblico ministero con la richiesta di applicazione della misura cautelare e al tribunale del riesame del supporto informatico sul quale erano registrate le videoriprese utilizzate ai fini dell’applicazione della misura.
Invero, il tribunale ha correttamente applicato i principi di diritto più volte affermati da questa Corte nel ritenere infondata l’eccepita inefficacia della misura cautelare in ragione della utilizzazione degli elementi tratti da videoriprese eseguite all’interno del locale nel quale erano accaduti i fatti. Ha, infatti, evidenziato che il pubblico ministero non aveva l’obbligo di trasmettere il supporto informatico contenente le videoriprese i cui esiti erano contenuti nella annotazione di servizio nella quale si dà atto di quanto esaminato dalla polizia giudiziaria e degli elementi desunti dalla visione.
Invero, così come per la utilizzazione a fini cautelari del risultato di intercettazioni telefoniche, è sufficiente che il pubblico ministero presenti semplici riferimenti riassuntivi, non rilevando la mancata allegazione dei verbali delle operazioni e dei nastri di registrazione sonora, ovvero audiovisiva (Sez. 6^, n. 208 del 21/01/1999, Vitale, rv. 213582; Sez. 5^, n. 36439 del 21/05/2004, xxx, rv. 230074).
Il giudice, pertanto, ben poteva fondare la propria valutazione su detti elementi, fatta salva la possibilità per l’indagato di richiedere ai fini difensivi il supporto informatico (Sez. 6^, n. 45984 del 10/10/2011, Cosentino, rv. 251274) che, all’evidenza, è cosa diversa dalla inefficacia della misura cautelare eccepita dal ricorrente.
3. Diversamente da quanto denunciata in relazione alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità dell’indagato in ordine al tentato omicidio in danno del M.F..
Il tribunale ha affermato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato alla luce della ricostruzione del fatto operata attraverso le dichiarazioni ritenute precise, attendibili e concordanti dei testimoni, M.M., F. D., S.L., B.A., tutti presenti all’interno del locale al momento in cui si era verificato il fatto.
In particolare, ha rilevato che i carabinieri erano intervenuti nel locale notturno (OMISSIS), a seguito di una rissa scatenata da R.A. e da un amico di questi, chiamato A. ed identificato nell’indagato. La vittima, che si trovava nel locale era stata colpita deliberatamente e violentemente alla testa con una bottiglia riportando lesioni alla regione temporale sinistra tali da richiedere l’intervento di neurochirurgia con prognosi riservata. L’indagato veniva identificato come la persona che aveva colpito il M.F. alla testa sulla base delle circostanze riferite dai testimoni e tratte dalle riprese registrate dall’impianto installato nel locale, visionate dagli investigatori, che mostravano il predetto mentre si allontanava velocemente dopo l’aggressione, andandosi ad unire alle persone che erano sulla pista da ballo.
Orbene, ribadito che non possono essere esaminate in questa sede le circostanze non valutate dal tribunale del riesame in quanto acquisite successivamente – che, pertanto, devono formare oggetto di istanza rivolta al giudice della misura cautelare – i rilievi mossi dal ricorrente, ancorchè supportati da allegazione, si palesano inammissibili, sostanziandosi in censure di fatto, volte ad una non consentita rivalutazione da parte del giudice di legittimità delle circostanze che sono state esaminate dal tribunale (in specie in ordine alla attendibilità dei testimoni) che ha argomentato il proprio convincimento con discorso giustificativo immune dai denunciati vizi.
Anche il rilievo difensivo relativo alla qualificazione giuridica del fatto, sotto il profilo della configurabilità dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di tentato omicidio, è finalizzata alla rivalutazione degli elementi valorizzati dal tribunale che ha tenuto conto: che l’indagato ha usato uno strumento pesante e particolarmente offensivo per sua natura quale la bottiglia; che il colpo era stato sferrato con violenza anche attraverso la rincorsa, come indicato dai testimoni; che è stata attinta una zona vitale;
che l’entità delle lesioni riportate che conferma la idoneità del colpo a cagionare la morte della persona offesa.
Di tal che, la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.
4. Quanto alle doglianze formulate in ordine alla motivazione del provvedimento impugnato avuto riguardo alla valutazione delle esigenze cautelari, deve essere ribadito che l’insussistenza delle stesse è censurabile in sede di legittimità soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1^, n. 795, 06/02/1996, rv. 204014).
Nella specie, il giudice del riesame, condividendo le valutazioni operante nell’ordinanza impugnata, ha ampiamente argomentato in ordine alla gravità delle modalità del fatto ritenendo che le stesse denotino un’allarmante personalità delinquenziale dell’indagato che ha messo in pericolo la vita di una persona nell’ambito di una sequenza di avvenimenti violenti, preordinati e non occasionali.
Si tratta, all’evidenza, di argomentazioni immuni dai dedotti vizi ed ancorate alle circostanze di fatto acquisite agli atti. Invero, anche sotto tale profilo le doglianze del ricorrente sono finalizzate ad una mera rivalutazione delle circostanze di fatto.
Al rigetto del ricorso consegue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2013

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