Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 09-08-2013, n. 34646

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con decreto in data 30.5.2012 la Corte di appello di Palermo confermava il provvedimento con il quale il Tribunale di Agrigento applicava ad G.A. la misura della prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di anni tre, ai sensi della L. n. 575 del 1965, e disponeva la confisca in danno del predetto dei beni, come specificamente indicati, nella titolarità formale del proposto e della moglie, N.G..
2. Avverso il decreto di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il G., a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge ed il vizio della motivazione in ordine all’attualità della pericolosità, trattandosi di persona detenuta in applicazione di misura cautelare che, pertanto, si trova nell’impossibilità di porre in essere condotte illecite, mentre l’applicazione della misura di prevenzione presuppone lo stato di libertà del soggetto, atteso che la maggior parte delle prescrizioni della sorveglianza speciale sarebbero prive di significato.
2.2. Il ricorrente deduce, quindi, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la confisca dei beni. Rileva che era stata chiesta l’acquisizione delle dichiarazioni dei redditi al fine di giustificare l’acquisto dei beni di modesto valore oggetto di confisca, atteso che manca la riconducibilità dei beni ad attività criminali non essendovi prova che il G. avesse commesso fatti illeciti prima del periodo in cui i beni sono stati acquisiti.
Motivi della decisione
Ad avviso del Collegio, il ricorso è inammissibile.
1. Secondo un principio consolidato, ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione personale, l’accertamento della pericolosità sociale prescinde dall’affermazione della penale responsabilità e deve fondare su una valutazione da parte del giudice di elementi di fatto dai quali si possa desumere, tenuto conto delle oggettive condotte di vita del proposto, la pericolosità sociale dello stesso secondo le categorie cui la normativa vigente riconduce l’applicabilità delle misure di prevenzione personali.
Quanto alla valutazione dell’attualità della pericolosità, se è vero che l’appartenenza ad una associazione di tipo mafioso evidenzia di per sè una particolare pericolosità sociale, anche per gli indiziati di partecipazione ad associazioni mafiose deve essere accertata la presenza, al momento della valutazione finalizza all’applicazione della misura di prevenzione, di elementi sintomatici dell’attualità di una condotta di vita tale da legittimare l’adozione delle misure personali.
Pertanto, pur se il requisito dell’attualità della pericolosità sociale è da considerarsi necessariamente implicito nella ritenuta appartenenza del proposto ad una associazione mafiosa, occorre, comunque, che non sussistano elementi, oltre il decorso del tempo, dai quali possa ragionevolmente desumersi che l’inserimento nell’organizzazione sia venuto meno. Naturalmente, posto che la mera appartenenza ad una associazione di tipo mafioso evidenzia di per sè una particolare pericolosità sociale, i diversi livelli di adesione e di partecipazione si riverberano sulla individuazione degli elementi in concreto sufficienti a desumere il successivo allontanamento dall’organizzazione e (Sez. 1, n. 17932, 10/03/2010, De Carlo, rv. 247053).
Tuttavia, lo stato di detenzione del proposto non può essere considerato in sè circostanza idonea a ritenere cessata la persistenza della pericolosità in quanto non è incompatibile con il protrarsi della pericolosità (Sez. 6, n. 49881 del 06/12/2012, Lauria, rv. 253672).
Nella specie, quindi, la censura del ricorrente si palesa infondata, atteso che si limita genericamente a rivendicare la mancanza di attualità della pericolosità in ragione dello stato di detenzione a seguito di applicazione di una misura cautelare, senza neppure indicare da quanto tempo è in stato di detenzione.
2. Anche le doglianze in ordine alla insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca sono, all’evidenza, generiche.
Come è noto, ai fini della applicazione della misura ablatoria di prevenzione non è necessario che i beni dei quali sia accertata la disponibilità in capo al proposto, siano frutto dell’attività illecita posta in essere dallo stesso, essendo sufficiente che l’acquisizione patrimoniale risulti sproporzionata ai redditi leciti e – esclusa la necessità di un legame di vera e propria pertinenzialità tra l’accrescimento patrimoniale e le condotte del proposto dalle quali si desume la pericolosità dello stesso – che sia riconducibile, sotto il profilo della prossimità, all’epoca nella quale si è manifestata la pericolosità.
Invero, il ricorrente non ha neppure indicato l’epoca in cui si è manifestata la pericolosità sociale e lamenta la mancata attività istruttoria da parte dei giudici di merito senza indicarne la effettiva rilevanza.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2013

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