Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-08-2012, n. 14636

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Svolgimento del processo

che la Corte d’appello di Perugia, con decreto in data 24 maggio 2011, in parziale accoglimento della domanda di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, proposta da A. P., ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 20.000,00, con interessi dalla domanda al saldo, nonchè al rimborso delle spese processuali, liquidate in Euro 700,00 per diritti ed onorari e in Euro 38,82 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge;

che la Corte territoriale ha rilevato che il giudizio presupposto (concernente una controversia di risoluzione contrattuale e di risarcimento del danno svoltasi dinanzi al Tribunale di Roma) ha registrato una eccedenza di circa nove anni e otto mesi rispetto alla durata ragionevole, parametrata in tre anni; ed ha liquidato in Euro 2.000,00 per ciascun anno di eccessiva durata l’indennizzo a titolo di danno non patrimoniale, "in considerazione delle condizioni fisiche preesistenti ed indipendenti dal procedimento in analisi e tenuto conto del particolare patimento sofferto dall’istante come evidenziato dalla relazione a firma del dott. I. in atti";

che la Corte d’appello ha escluso la risarcibilità del danno biologico, sottolineando come "dagli stessi documenti proposti dall’istante detto danno in misura del 35% dovrebbe aggiungersi ad una inabilità permanente già in precedenza valutata, in relazione a circostanze del tutto estranee al procedimento innanzi al Tribunale di Roma, nella misura del 100%", con conseguente "incongruenza" e "difetto di idonea efficacia probatoria" dei dati discendenti dalla relazione del consulente di parte, "che se valorizzati darebbero luogo ad una percentuale di invalidità permanente del 135%";

che – ha osservato conclusivamente la Corte di merito – in ogni caso la situazione psichica dell’istante trova "adeguata sede di valutazione in relazione alla valutazione del danno non patrimoniale nei termini indicati e superiori agli standard medi fissati dalla Corte";

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 10 gennaio 2012, sulla base di tre motivi;

che il Ministero della giustizia non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che con il primo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) si lamenta che la Corte d’appello non abbia riconosciuto in favore del ricorrente il risarcimento del danno per la patologia psichica a carattere permanente ed invalidità del 35%, conseguente alla eccessiva durata del processo presupposto;

che la stessa censura è articolata con il secondo motivo, rubricato violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

che l’uno e l’altro motivo – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati;

che occorre premettere che, in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo, il danno biologico che si assuma derivare da tale durata eccessiva non può ritenersi presuntivamente sussistente come voce autonoma (ed ulteriore rispetto al patema d’animo e alla sofferenza morale, normalmente insiti nell’accertamento che il processo non si è concluso nei termini fisiologici), essendo necessaria la prova della esistenza del pregiudizio alla salute, fisica o psichica, e del nesso di causalità tra la irragionevole durata del processo e il danno (Cass., Sez. 1, 16 marzo 2007, n. 6294);

che a tale principio si è attenuta la Corte d’appello, avendo rilevato, con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di causa, che, essendo il P. già riconosciuto invalido permanente nella misura del 100% per circostanze antecedenti e del tutto indipendenti dalla vicenda in questione, doveva escludersi qualsiasi valenza probatoria alla relazione medico-legale di parte che aveva invece ritenuto sussistente un danno psichico permanente del 35% per la sindrome ossessivo compulsiva a decorso cronico provocata dal ritardo nella definizione del processo;

che la valutazione operata dal giudice del merito appare ispirata a ragionevolezza e tiene conto anche della natura meramente patrimoniale degli interessi in gioco nel processo civile presupposto, ciò che rende logicamente del tutto implausibile la configurabilità, accanto al patema d’animo transeunte, di un danno permanente di cosi devastante portata, quale quello prospettato nella documentazione sanitaria di parte;

che, del resto, la Corte territoriale ha tenuto conto della particolare condizione personale del P. per accordare, in suo favore, una liquidazione del danno non patrimoniale, pari ad Euro 2.000,00 per ciascun anno di irragionevole durata, di gran lunga superiore rispetto a quella che sarebbe derivata dalla applicazione degli standard medi (Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo ed euro 1.000 per gli anni successivi);

che il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 nonchè omessa motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) è relativo alla misura delle spese liquidate;

che esso è fondato;

che ai fini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale per l’equa riparazione del pregiudizio derivante dalla riduzione del termine di ragionevole durata del processo – di cui alla L. n. 89 del 2001 – va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato per l’attività in esso prestata, trovano applicazione le tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. 3 aprile 2004, n. 127, nonchè il principio, di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 della inderogabilità degli onorari minimi e dei diritti stabiliti in detta tariffa (Cass., Sez. 1, 7 ottobre 2009, n. 21371);

che nella specie il giudice a quo ha proceduto ad una determinazione globale dei diritti e degli onorari, pervenendo ad una liquidazione inferiore al minimo della tariffa professionale;

che la Corte del merito, per rispettare detto minimo, avrebbe dovuto riconoscere, a titolo di spese processuali, l’importo di Euro 1.140,00, di cui Euro 490,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge;

che in questa parte il decreto impugnato deve essere cassato e – sussistendo i presupposti per una decisione nel merito da parte della Corte – può procedersi direttamente alla liquidazione delle spese del merito, nell’importo sopra indicato;

che sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione, essendo il ricorso accolto soltanto in minima parte rispetto alle censure veicolate.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo;

cassa, in relazione alla censura accolta il decreto impugnato e, ferme le altre statuizioni in esso contenute, condanna il Ministero della giustizia al rimborso, in favore di P.A., delle spese processuali della fase di merito, liquidate in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 490,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge;

dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2012

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