Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-08-2012, n. 14634

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 22-10-1973 N.F., N.A. e N.M., premesso di essere proprietarie di un edificio sito nell’isolato (OMISSIS) del Piano Regolatore di (OMISSIS), precisamente delle botteghe di cui ai nn. (OMISSIS) con retrostanti vani fino a confinare con la via (OMISSIS), dell’androne di ingresso dell’edificio, del cortile interno con vani su di esso prospicienti, e di tutti gli appartamenti siti al primo piano ed ai piani superiori, assumevano che i coniugi P.L. e M.F., proprietari a loro volta delle botteghe di cui ai nn. (OMISSIS) con i retrostanti vani fino a confinare con la via (OMISSIS), nell’eseguire lavori di ristrutturazione dell’ammezzato esistente sulle botteghe di loro proprietà, avevano modificato in vedute le luci prospettanti sul cortile interno di proprietà di esse N., ed avevano ampliato la finestra ed il balcone di detto ammezzato prospettanti sullo spazio di isolamento di proprietà condominiale frapposto tra l’edificio e la chiesa di (OMISSIS); ciò premesso, la attrici convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina il L. e la M. chiedendone la condanna alla eliminazione delle nuove opere dagli stessi illegittimamente realizzate, al ripristino della situazione dei luoghi ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.

Costituendosi in giudizio i convenuti contestavano le domande attrici assumendo la legittimità delle opere da essi realizzate; in via riconvenzionale chiedevano riconoscersi la proprietà esclusiva in proprio favore, per titolo o comunque per maturata usucapione, sullo spazio di isolamento, e condannarsi le controparti al rimborso delle spese per la sostituzione di tubi di acque nere delle unità N., sostenute da essi convenuti a richiesta e nell’interesse delle N., ad eliminare le vedute verso lo spazio di isolamento costituite dalle N. nella realizzazione della sopraelevazione dell’edificio, ad eliminare gli scoli derivanti, per la mancanza di gronda, dal cornicione di tale sopraelevazione, ad uniformare il prospetto verso la via Cavour della sopraelevazione con il prospetto della parte preesistente sottostante, ad arretrare alla distanza di legge dalle luci degli esponenti una tubazione di scarico collocata dalle attrici sul muro perimetrale.

A seguito della morte del P. il processo veniva riassunto dalle attrici nei confronti degli eredi M.F., P. S. e P.F..

Il Tribunale adito con sentenza del 23-5-2001 accoglieva tutte le domande attrici e per l’effetto condannava i convenuti alla eliminazione delle opere denunciate dalle N., al ripristino della situazione dei luoghi ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, dichiarava che lo spazio di isolamento dell’edificio era di proprietà condominiale e rigettava tutte le domande riconvenzionali.

Proposta impugnazione da parte della M., di S. P. e di P.F. cui resistevano N.F., N.A. e N.M. la Corte di Appello di Messina con sentenza del 13-3-2006 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza M.F., P. S. e P.F. hanno proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui N.F., N.A. e N. M. hanno resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo contraddittoria motivazione, assumono che il giudice di appello, dopo aver affermato che il giudicato derivante dalla sentenza della Corte di Appello di Messina del 10-7-1987 emessa nel giudizio promosso da An. M. nei confronti dei coniugi M. e P. era inefficace nei confronti delle N. che non avevano partecipato a quel giudizio ed erano titolari di un diritto autonomo rispetto a quello delle parti in causa, tuttavia ha poi ribaltato quanto deciso con la suindicata sentenza ritenendo che lo spazio di isolamento doveva ritenersi comune alle parti.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando omessa valutazione delle risultanze processuali, rilevano che la Corte territoriale, nell’escludere che gli esponenti avessero acquistato per usucapione lo spazio di isolamento frapposto tra l’edificio condominiale e la chiesa di (OMISSIS), ha valorizzato soltanto le dichiarazioni del teste A.A. indotto dalle N., trascurando del tutto di esaminare quelle rese dai testi Sa.

M. e Mi.Pi., che invece la sentenza della Corte di appello di Messina del 10-7-1987 aveva ritenuto decisive ai fini del riconoscimento della proprietà esclusiva del suddetto spazio di isolamento in capo ai coniugi P. e M..

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo insufficiente motivazione, rilevano che la sentenza impugnata, nell’escludere l’acquisto per usucapione da parte degli esponenti dello spazio di isolamento sopra richiamato, ha in particolare affermato che nel periodo della realizzazione della sopraelevazione da parte delle N. queste ultime avevano occupato lo spazio di isolamento con impalcature ed attrezzature; orbene tale convincimento è erroneo, in quanto l’interruzione naturale dell’usucapione ai sensi dell’art. 1167 c.c. ricorre quando il possessore non ha voluto nè provocato la perdita del possesso, ma è stato costretto a subirla; pertanto l’utilizzazione da parte delle N. dello spazio di isolamento per l’esecuzione dei lavori di sopraelevazione, in quanto non voluta dal P. e dalla M., non aveva interrotto il termine per usucapire detto spazio.

Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando erronea motivazione, censurano il convincimento espresso dalla sentenza impugnata in ordine all’infondatezza della domanda di usucapione del predetto spazio di isolamento avendo le N. esercitato sempre il compossesso di tale spazio, ed essendo altresì emerso che esse avevano concesso al P. ed alla M. il permesso di realizzare nello spazio in questione una scala in ferro per il raggiungimento del piano ammezzato soprastante le loro botteghe;

sotto un primo profilo i ricorrenti affermano che l’affaccio delle N. sullo spazio di isolamento non configurava un compossesso dello stesso, trattandosi dell’effetto di atti di mera tolleranza traenti origine da rapporti di buon vicinato; il permesso poi della realizzazione di una scala in ferro doveva essere interpretato come limite alla facoltà del P. e della M. di utilizzare il muro perimetrale comune per installarvi detta scala in conformità a quanto previsto dall’art. 1102 c.c..

Con il quinto motivo i ricorrenti, denunciando erronea motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver disatteso la domanda riconvenzionale proposta dal P. e dalla M. con la quale era stata chiesta la condanna delle N. a spostare a distanza legale le tubazioni insistenti sul muro perimetrale dell’edificio, atteso che lo stesso CTU aveva affermato che le controparti erano obbligate a rifare il rivestimento protettivo dei tubi che transitavano in prossimità dell’architrave delle ultime due luci.

Premesso che in riferimento alla data di pubblicazione della sentenza impugnata (13-3-2006) trova applicazione "ratione temporis" l’art. 366 "bis" c.p.c., il Collegio rileva che tutti gli enunciati motivi di ricorso, con i quali vengono dedotti vizi di motivazione, sono del tutto privi di una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare ai sensi della norma ora menzionata in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione; in altri termini la relativa censura deve contenere un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; con specifico riferimento poi al terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce insufficiente motivazione, deve osservarsi che il contenuto sostanziale della censura sembra piuttosto denunciare una violazione di legge, ovvero dell’art. 1167 c.c.; e tuttavia non può giungersi a conclusioni diverse da quelle sopra prospettate, considerata comunque anche la assoluta mancanza di un quesito di diritto in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regola iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

Pertanto tutti i motivi di ricorso sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 2500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2012

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