Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-08-2012, n. 14631

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Svolgimento del processo

Con citazione 12.3.1999 l’amministrazione provinciale di Salerno proponeva appello alla sentenza n. 113/98 del Pretore di Vallo della Lucania che aveva accolto il ricorso possessorio proposto da M. D. e l’aveva condannata a reintegrarlo nel possesso del fondo di proprietà sito nel Comune di (OMISSIS) ed in comune di (OMISSIS), ordinando di aprire il varco sulla strada provinciale (OMISSIS), chiuso mediante applicazione di bulloni sulla barriera di recinzione.

Il M. chiedeva il rigetto dell’impugnazione ed il tribunale di Vallo della Lucania, in accoglimento del gravame, con sentenza 562/05, rigettava il ricorso possessorio con condanna del soccombente alle spese, sul presupposto che trattavasi di strada a scorrimento in cui costituisce pericolo alla sicurezza della circolazione ed alla incolumità delle persone ammettere l’esistenza di accessi privati.

La stessa con le relative pertinenze apparteneva al demanio stradale ed ai sensi dell’art. 1145 c.c. non appariva configurabile nei confronti della P.A. il possesso tutelabile ex art. 1168 c.c..

Ricorre M. con due motivi, illustrati da memoria, resiste controparte.

Motivi della decisione

Col primo motivo si denunzia motivazione illogica quando il Tribunale afferma che il Pretore in sostanza avrebbe ritenuto la implicita occupazione del fondo da parte della amministrazione provinciale. Era evidente la volontarietà di alterare lo stato preesistente.

Col secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1140, 1145 e 1168 c.c. per avere il Tribunale escluso l’applicazione delle norme sul possesso.

Le censure, generiche ed apodittiche, non meritano accoglimento, attaccando solo aspetti marginali e non risolutivi della decisione e non la complessiva motivazione che fa leva sulle esigenze di tutela della sicurezza stradale e della incolumità delle persone, sulla demanialità della strada e l’impossibilità di tutela di un possesso non corrisponde al un diritto reale ed inequivocabilmente volto ad esercitare sulla cosa, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno "ius in re aliena" ("ex plurimis" Cass. 9 agosto 2001 n. 11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa.

Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo E’ principio pacifico che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi ed alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222) e nella specie, il vizio di motivazione viene individuato genericamente nella mancata conferma della decisione del primo giudice.

La situazione di fatto tutelabile in sede di azione di reintegrazione, indipendentemente dalla prova che spetti un diritto, da parte di chi è privato violentemente od occultamente della disponibilità del bene, anche tra privati non è assoluta.

La relativa legittimazione spetta non solo al possessore uti dominus ma anche al detentore nei confronti dello spoliator che sia titolare del diritto e tenti di difendersi opponendo che "feci sed iure feci" ma va verificata sulla base di elementi di riscontro soggettivi ed oggetti vi emergenti dagli atti.

Per l’esperimento dell’azione di reintegrazione, è sufficiente un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purchè abbia i caratteri esteriori di un diritto reale (Cass. 1 agosto 2007 n. 16974, 7 ottobre 1991 n. 10470).

Questa Corte Suprema (S.U. 4 dicembre 2001 n. 15289, 24 gennaio 2000 n. 737; 20 luglio 1989 n. 3403) ha ritenuto legittima l’azione di spoglio tra privati anche in relazione ad un bene demaniale ma non nei confronti della P.A., che, essendo responsabile della sicurezza e dell’incolumità dei cittadini ha l’obbligo di predisporre ogni accorgimento che, non dando luogo ad una attività iure privatorum, esclude l’esercizio dell’azione di spoglio al riguardo, anche per l’assenza dell’animus spoliandi.

Tale requisito, di regola insito nel fatto stesso materiale della privazione totale o parziale del possesso altrui, è escluso dalle circostanze concrete di un’attività iure imperii, volta alla tutela della sicurezza della collettività.

Al riguardo è da rilevare che già la L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 4 sanciva il divieto assoluto di giurisdizione per l’azione di reintegrazione nei confronti della P.A., anche in presenza di atti amministrativi viziati.

Questa Corte Suprema ha riservato al G.O. l’azione del privato nei confronti della P.A. di fronte ad un mero comportamento materiale ed in mancanza di un atto amministrativo (S.U. 4.11.2004 n. 21099), riconfermando, in genere, l’improponibilità dell’azione nei confronti della PA., ammettendola, invece, nei confronti del concessionario di suolo demaniale che, di propria iniziativa, occupi il terreno del confinante.

La memoria non si limita ad illustrare i motivi e deduce l’interclusione, comunque irrilevante.

In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2200,00, di cui 2000,00 per compensi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2012
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