Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-08-2012, n. 14630

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Svolgimento del processo

1.- – G.M. esponeva che, a seguito di atto di divisione del compendio ereditario per successione della madre, aveva ricevuto un appezzamento di terreno in agro di (OMISSIS), terreno cui si accedeva attraverso strada condominiale, dipartentesi dalla S.P. per (OMISSIS) e che era recintato e delimitato da cancello chiuso con costruzione; che sul terreno assegnato al fratello A. esisteva una costruzione realizzata sul confine e recintata con muretto sormontato da sbarre di ferro e rete metallica ad opera dei nipoti M. ed Gr.An., figli di A.,il quale aveva donato ai predetti il terreno a lui pervenuto;che nel mese di maggio 91 esso ricorrente, portatosi in campagna, aveva notato che erano stati abbattuto il muretto, a confine tra i due fondi, e spostata la rete metallica per tutta la sua lunghezza, così da creare un varco di accesso nella sua proprietà, nel mentre i due nipoti Gr. si erano impossessati di vasta zona del terreno in suo possesso, recidendo le piantagioni ivi allocate (viti, alberi da frutto e olivi) e rimuovendo il cancello che delimitava l’accesso; che la linea di confine era stata allungata su buona parte dello stradone condominiale, conseguentemente ristretto e delimitato da un muretto eretto quale nuovo confine.

Pertanto, G.M. chiedeva all’adito Pretore di Apricena di essere immediatamente reintegrato nel possesso della parte dei fondi suddescritti, di cui era stato violentemente ed occultamente spogliato, merce ordine a Gr.An. e M. di ripristinare la situazione anteatta.

Si costituivano i resistenti,i quali eccepivano la genericità della narrativa avversaria, che non consentiva di identificare nemmeno l’appezzamento di terra, oggetto di contesa; ove, comunque le doglianze avessero riguardato le particelle 118 e 119 del fondo (OMISSIS), i resistenti deducevano che la prima era rimasta in possesso del padre, pur se oggetto di donazione, la seconda era posseduta dal solo M. (jr) che aveva proceduto a sistemare la sua delimitazione, previo conseguimento delle concessioni amministrative e verifica del posizionamento del confine da parte di tecnico di fiducia dello zio, ricorrente. Concludevano, pertanto, chiedendo preliminarmente dichiararsi inammissibile il ricorso perchè generico ed in subordine dichiararsi la carenza di legittimazione passiva di Gr.An. e G.M., per quest’ultimo limitatamente alla particella 118; nel merito rigettarsi la domanda a riguardo della particella 119 perchè infondata.

Interveniva volontariamente in giudizio anche G.A., confermando di aver mantenuto la proprietà ed il possesso delle particelle 118 e 96 ed assumendo che si era proceduto,presenti i tecnici di rispettiva fiducia, P. e V., alla misurazione ei rispettivi fondi, addivenendosi alla intesa che G.A. avrebbe avuto il possesso esclusivo delle particelle 118 e 96 del fol. 26, mentre G.M. (sen.) avrebbe avuto la particella 90, di talchè reciprocamente i condividenti avrebbero rinunciato al compossesso sulle particelle assegnate in via esclusiva.

Con sentenza n. 32/99 il Tribunale di Lucera sez. distaccata di Apricena, subentrato al Pretore, accoglieva la domanda.

Con sentenza dep. il 4 aprile 2006 la Corte di appello di Bari rigettava l’impugnazione proposta dai resistenti.

Secondo i Giudici, era infondata l’eccezione di indeterminatezza del petitum in difetto di individuazione delle porzioni di terreno delle quali era stato lamentato lo spoglio, posto che nell’atto introduttivo del giudizio, nel quale era stato richiamato l’atto di divisione del 29-12-1974 con cui i fratelli G. avevano proceduto allo scioglimento della comunione ereditaria e all’assegnazione delle quote di proprietà esclusiva, erano chiaramente individuate le strisce di terreno in questione, anche sulla scorta della documentazione fotografica allegata all’atto introduttivo e alla stregua di quanto dedotto e prodotto ancora nella fase sommaria dal nuovo difensore del ricorrente, successivamente costituitosi, e dichiarato dalle parti concordemente.

La sentenza, dopo avere descritto gli immobili de quibus, riteneva che erano circostanze pacifiche, perchè ammesse dalle controparti sia che l’attore possedeva le particelle 118 e 96 e che il fondo era recintato e chiuso da un cancello assicurato con chiave sia l’avvenuto spoglio, posto che in proposito – ad eccezione di Gr.An. che si era dichiarato estraneo ai fatti – i resistenti avevano confessato i fatti, dichiarando, però, di avere agito con il consenso del ricorrente. Al riguardo, sostenevano che il confine era stato determinato da due tecnici di rispettiva fiducia incaricati dai fratelli M. e A. che ebbero a procedere alla misurazione e a porre i picchetti delimitanti i confini concordati.

I Giudici escludevano, alla stregua delle dichiarazioni rese dai predetti tecnici, escussi quali testi, che le parti avessero in proposito raggiunto un accordo vincolante sulla determinazione dei confini e neppure che avessero manifestato un consenso tacito all’operato dei tecnici con assenso a una modifica immediata dello stato dei luoghi, non essendo interpretabile come tale il mero silenzio. In effetti, non era stato provato dai resistenti, che avevano invocato il consenso dello spogliato, che le parti si fossero vicendevolmente immesse nel possesso delle fasce di terreno ridistribuite secondo l’allineamento indicato dai tecnici:

circostanza addirittura contraddetta dal fatto che il cancelletto di accesso alla proprietà del ricorrente venne divelto con forza e praticamente distrutto.

Essendo stata raggiunta la prova dei fatti posti a base della domanda, era revocata l’ordinanza di ammissione del giuramento suppletorio.

2.- Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione A., An. e G.M. (jr.) sulla base di sei motivi. Ha resistito con controricorso G.M. (sen.); ha spiegato intervento volontario Gr.An., nato il (OMISSIS), figlio di G.M. (sen.), nato il (OMISSIS), nelle more deceduto.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevata l’ammissibilità dell’intervento spiegato da G.A., nato il (OMISSIS), che si è costituito nella presente fase quale successore a titolo universale del controricorrente G.M. (sen.) nato il (OMISSIS) e deceduto nel corso della presente fase di giudizio: peraltro, poichè il predetto è subentrato nelle medesima posizione processuale della parte alla quale è succeduto, egli può illustrare le ragioni difensive enunciate con il controricorso ma non può – e sono da dichiarare, come tali, inammissibili – sollevare eccezioni o prospettare questioni che non fossero state formulate originariamente dal suo dante causa con il controricorso, essendo stati in quel momento consumati i poteri processuali spettanti alla parte.

1.1. – Il primo motivo ("violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 125 c.p.c. in riferimento agli artt. 163 e 164 c.p.c. ed all’art. 156 c.p.c.") censura la decisione gravata che, nell’escludere la indeterminatezza dell’oggetto, aveva fatto riferimento all’atto di divisione, senza che fosse precisato quali dei fondi in esso menzionati erano oggetto della domanda, non potendo bastare le fotografie anonime allegate. La Corte, con evidente contraddizione, per giustificare la sentenza di primo grado, aveva poi fatto riferimento ad atti diversi dal ricorso introduttivo, quali la comparsa del nuovo difensore o le dichiarazioni rese in sede di ispezione.

1.2. – Il secondo motivo ("violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 112 c.p.c."), denuncia la ultrapetizione della decisione impugnata che aveva sostituito il dispositivo della decisione di primo grado con una serie di argomentazioni, volte a sostenere che i beni fossero individuabili o individuati, mai sostenute dalla difesa del ricorrente mentre semmai avrebbe dovuto limitarsi a rigettare l’appello ove non avesse ritenuto la sussistenza della dedotta nullità del ricorso di primo grado.

1.3. – Il primo e il secondo motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati. Deve escludersi il difetto di determinatezza del petitum della domanda proposta dall’attore.

In primo luogo va osservato che, secondo quanto accertato dai Giudici, il ricorso introduttivo era stato integrato, precisato e chiarito dal ricorrente fin dalla fase sommaria del procedimento possessorio, sicchè nessuna incertezza poteva sussistere circa il petitum oggetto della domanda relativa al giudizio di merito possessorio che è stato poi deciso con la sentenza del Tribunale confermata dalla Corte di appello. D’altra parte, dall’esame del ricorso introduttivo (consentito dalla natura processuale del vizio denunciato) è emerso che G.M., nell’indicare la situazione dei luoghi, i beni rispettivamente assegnati e quelli oggetto di spoglio, non limitava a richiamare l’atto di divisione ma forniva la descrizione degli appezzamenti rispettivamente assegnati a G.M. e A., menzionando la loro ubicazione e i relativi confini; quindi, nel lamentare l’avvenuto spoglio, denunciava che il muretto delimitante il confine fra le due proprietà era stato in parte abbattuto con la creazione di un comodo accesso alle proprietà dell’istante, mentre la rete metallica che sormontava il muretto era spostata per tutta la sua lunghezza di diversi metri sulla proprietà di esso ricorrente. Pertanto, correttamente i Giudici hanno escluso la nullità per indeterminatezza del petitum, che era chiaramente individuato e, nel respingere l’eccezione formulata dagli appellanti, si sono limitati a chiarire e precisare quali erano stati i beni che avevano formato oggetto del ricorso introduttivo: appare comunque fuori luogo la denuncia di ultrapetizione, che è configurabile a proposito del difetto di attività del giudice che abbia posto a base della decisione ragioni basate su una domanda o su un eccezione non proposta dalla parte.

2.1.- Il terzo motivo ("insufficiente omessa e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 81 c.p.c.; e riferito alla legittimazione passiva di GR.An."), censura la sentenza laddove, pur avendo affermato che Gr.An. si era dichiarato estraneo ai fatti, lo aveva condannato alla reintegrazione senza esaminare la eccezione di carenza di legittimazione passiva del medesimo sollevata dagli appellanti e suffragata dalle dichiarazioni rese dalle parti.

2.2.- Il motivo va disatteso.

Premesso che anche Gr.An. era stato ritenuto responsabile, unitamente ad A. e M. jr., dello spoglio in danno dell’attore ed era stato condannato a reintegrarlo nel possesso, il medesimo avrebbe dovuto: a) allegare e dimostrare, trascrivendone il contenuto, di avere formulato uno specifico motivo di appello dedotto a fondamento dell’estraneità ai fatti di esso ricorrente ovvero contestare la titolarità passiva del rapporto, che attiene piuttosto a una questione di merito riservata al potere dispositivo della parte e non alla legittimazione a resistere; b) denunciare nella presente sede, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omesso esame.

Tali oneri non sono stati ottemperati dalla parte ricorrente.

3.1.- Il quarto motivo ("violazione e falsa applicazione di norme) di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 112, 115 e 166 c.p.c."), censura la contraddittorietà della sentenza impugnata laddove – in relazione alla mancata prova dell’animus spoliandi – dopo avere revocato il giuramento suppletorio considerando già raggiunta la prova sulla base delle prove emerse in primo grado, aveva ritenuto necessario sentire in appello il teste P..

3.2. – Il motivo va disatteso.

La motivazione della sentenza impugnata relativamente all’animus spoliandi si fonda sulla valutazione del complessivo materiale probatorio acquisito agli atti: evidentemente i Giudici, ritenendo che la deposizione del teste P. non avesse fatto altro che confermare quanto era stato riferito in primo grado dagli altri testimoni senza apportare nuovi o contrastanti elementi in senso favorevole agli appellanti, hanno considerato già raggiunta la prova dei fatti posti dall’attore a fondamento della domanda e conseguentemente hanno revocato il giuramento suppletorio.

4.1.- Il quinto motivo ("omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e alla luce dell’art. 1168 c.c."), denuncia il travisamento delle risultanze processuali laddove, nel ritenere l’animus spoliandi, aveva escluso – in contrasto con le risultanze processuali – il consenso dell’attore al diverso allineamento dei confini avvenuto con la apposizione dei picchetti, quando dalle deposizioni dei testi escussi doveva ritenersi l’approvazione – e non un silenzio passivo – all’operato dei tecnici avvenuto alla presenza delle parti.

4.2.- Il motivo va disatteso.

Con motivazione immune da vizi logici o giuridici la sentenza ha, da un lato, chiarito come dalle deposizioni dei testi escussi non era risultata la manifestazione di una effettiva e non equivoca volontà dei fratelli G. di approvare l’operato dei tecnici nominati dalle parti, concordando i confini in base ai risultati dai medesimi raggiunti e procedendo alla effettiva immissione in possesso sulla base della redistribuzione del terreno conseguente al determinazione dei confini; dall’altro, ha evidenziato che l’avvenuto accordo ovvero il consenso dell’attore erano addirittura smentiti dalle modalità dell’impossessamento del terreno dell’attore, che era avvenuto con violenza: il consenso di quest’ultimo ovvero la ragionevole convinzione nello spogliatore del consenso del possessore a una modifica del possesso era correttamente escluso alla stregua del comportamento degli autori dello spoglio che ebbero la necessità di procedere alla quasi distruzione del cancello per accedere alla proprietà dell’attore, posto che i resistenti avrebbero altrimenti dovuto aprirsi l’accesso, chiedendo la chiave al possessore; ciò che avrebbe assunto rilievo era che i convenuti fossero stati già immessi nel possesso in base all’accordo.

Orbene, le critiche formulate dai ricorrenti non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza; le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere attraverso la disamina e la discussione delle prove raccolte – l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici laddove, in contrasto con quanto sarebbe emerso dalle prove, era stata ritenuto l’animus spoliandi. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire:

in sostanza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

5.1.- Il sesto motivo ("violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 91 cod. proc. civ."), denuncia l’erronea e immotivata condanna alle spese comminata a carico degli appellanti, tenuto conto che la decisione impugnata era risultata affetta da tutta una serie di vizi che erano stati denunciati.

5.2.- Il motivo è infondato.

La statuizione di condanna alle spese è stata correttamente emessa in applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., essendo risultati gli attuali ricorrenti soccombenti all’esito del giudizio che ha visto respinte, perchè risultate infondate le eccezioni e le deduzioni dai medesimi formulate per contrastare la domanda proposta dall’attore.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore di G. A., nato il (OMISSIS), delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2012

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