Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-08-2012, n. 14629

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 16-11-1999 N.G. e P.R. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Catania – Sezione Distaccata di Acireale C.A., R. P., + ALTRI OMESSI (nato nel (OMISSIS)) esponendo che con sentenze del Tribunale di Catania del 21-1-1987 e della Corte di Appello di Catania del 30-6-1990 pronunciate nelle cause pendenti tra P.S. e la moglie C.A. da una parte e P.R. e N.G. dall’altra erano stati definiti i giudizi relativi alle successioni ereditarie di P.S. (nato nel (OMISSIS)), deceduto in (OMISSIS), e di A.G., deceduta il (OMISSIS), ed il giudizio di divisione degli immobili acquistati per atti "inter vivos"; gli attori intendevano quindi ottenere congiuntamente la divisione degli immobili di loro appartenenza, analiticamente elencati, da quelli che, in forza delle citate sentenze, erano stati assegnati a P.S. e ad C.A., tra cui un terreno u con fabbricato rurale sito in (OMISSIS), di cui alla donazione modale disposta con testamento olografo di A.G.; essi poi rilevavano che il suddetto Tribunale con la menzionata sentenza aveva altresì ordinato la vendita del cinema (OMISSIS) con la distribuzione del ricavato in ragione del 50% tra i condividenti, delegando per le operazioni il notaio Sapienza di Catania, il quale peraltro non aveva provveduto al riguardo; assumevano altresì che P.S., fin dalla morte del padre, era rimasto nel possesso dell’intera bottega sita in (OMISSIS), e dell’intero appartamento sito al primo piano di via (OMISSIS), percependone i frutti, per cui era tenuto a rendere il conto della gestione alla coerede P.R. in ragione di per entrambi gli immobili; gli attori chiedevano quindi la divisione giudiziale dei beni comuni, la determinazione dei danni causati dalla perdita delle piante di limone conseguente all’abbandono dell’agrumeto sito in contrada (OMISSIS), la nomina di un notaio per le operazioni di vendita del cinema (OMISSIS), la fissazione di un termine per eseguire la donazione modale suddetta, e l’attribuzione in natura della quarta parte della bottega di via (OMISSIS).

Costituendosi in giudizio i convenuti dichiaravano di non opporsi soltanto alla domanda di scioglimento della comunione; in particolare e con riferimento al cinema (OMISSIS), nel rilevare che la divisione era già stata disposta con il precedente giudizio, osservavano che P.R., nominata custode dell’immobile fin dal 1984, era tenuta al rendiconto e che, essendo il cinema chiuso per disposizione dell’autorità a causa dell’inosservanza delle norme di pubblica sicurezza, ella doveva rispondere, quale custode, dei mancati frutti e della perdita di valore del bene; infine, con riferimento alla domanda di fissazione di un termine per l’esecuzione della disposizione testamentaria, nel ribadire la loro disponibilità alla stipula dell’atto di cessione, chiedevano che il Tribunale dichiarasse già verificato il doppio trasferimento degli immobili in questione.

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 21-1-2004 rigettava la domanda attrice di riconoscimento di un danno da mancata coltivazione del fondo di contrada (OMISSIS), rigettava la domanda di attuazione della disposizione testamentaria relativa al legato di casa con terreno di cui al testamento del 3-4-1967 di G. A. per carenza di interesse ad agire, rigettava la domanda riconvenzionale di valutazione dei danni da mancato sfruttamento del cinema (OMISSIS) nonchè la domanda di riconoscimento di un credito derivante dai miglioramenti apportati all’immobile sito in (OMISSIS).

Proposto gravame da parte della C. e dei figli R., G., R. e P.M.A. cui resistevano il N. e P.R. che proponevano altresì un appello incidentale, la Corte di Appello di Catania con sentenza del 22-12- 2005 ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata, ha dichiarato che il credito degli appellanti principali per le migliorie apportate all’appartamento sito in (OMISSIS) dopo l’apertura della successione di P.S. (classe 1896), fondante il diritto al prelevamento della massa ereditaria, ammontava ad Euro 6228,37, ed ha rigettato le restanti domande principali e riconvenzionali.

Per la cassazione di tale sentenza C.A., P. R., P.G., P.R. e M.A. P. hanno proposto un ricorso basato su tre motivi cui N.G. e P.R. hanno resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale affidato ad un unico motivo; i ricorrenti principali hanno successivamente depositato una memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2932 – 1359 c.c. e dell’art. 393 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda riconvenzionale con la quale i convenuti avevano chiesto di accertare l’avveramento della condizione sospensiva apposta dalla testatrice A.G. (madre dei germani P.R. e S. P.) al legato della casa con annesso terreno sito in (OMISSIS), e conseguentemente dichiarare già verificato l’acquisto in capo al loro dante causa P.S. dell’immobile allo stesso legato, e trasferire a P.R. l’immobile sito in (OMISSIS), già di proprietà del legatario, con la costituzione delle servitù previste dalla disposizione testamentaria.

I ricorrenti principali premettono che, secondo la clausola del testamento della A., era stata legata al figlio S. P. la suddetta casa con annesso terreno "a condizione che la casa attigua di proprietà di mio figlio con terreno che limita a quella che gli lascio io, questa la deve cedere a sua sorella Pe.Ro. in N…..Se a questo patto mio figlio non consente, allora si dividono la suddetta proprietà…"; rilevato che detta clausola configurava una condizione potestativa dipendente dalla volontà di P.S., essi evidenziano che la porzione di terreno e fabbricato che il legatario avrebbe dovuto offrire alla sorella era di valore assai minore rispetto a quella oggetto del legato, cosicchè P.R. aveva certamente un interesse contrario all’avveramento della condizione.

I ricorrenti principali, considerato ancora che P.S. aveva inutilmente convocato la suddetta sorella dinanzi al notaio, rilevano che nel giudizio che ne seguì quest’ultimo aveva sostenuto che la condizione suddetta avrebbe dovuto ritenersi essersi verificata ai sensi dell’art. 1359 c.c., poichè la sua mancanza era imputabile a P.R. che aveva un interesse contrario al suo avveramento; aggiungono che il Tribunale di Catania aveva disatteso tale assunto e che tale sentenza era stata confermata dalla Corte di Appello di Catania; tuttavia la Corte di Cassazione con sentenza n. 1933 del 1993 aveva ritenuto che "La Corte di Appello…ha del tutto apoditticamente affermato la inidoneità della convocazione davanti al notaio per la stipula dell’atto di trasferimento senza peraltro indicare cosa, in concreto, avrebbe dovuto fare P.S. per operare tale trasferimento, non realizzabile attraverso un atto unilaterale. Altrettanto apoditticamente la Corte di appello ha affermato che P.R. non poteva considerarsi parte che avesse interesse contrario all’avveramento della condizione ai sensi dell’art. 1359 c.c.".

Sulla base di tali premesse, i ricorrenti principali ritengono anzitutto inconferente il richiamo della sentenza impugnata all’art. 2932 c.c. in relazione alla domanda di declaratoria dell’intervenuto acquisto in capo a P.S. della proprietà del bene oggetto del legato, poichè nella specie l’effetto dell’acquisto del bene legato in favore di quest’ultimo era diretta conseguenza dell’avveramento della condizione; in relazione invece al trasferimento in capo a P.R. del bene oggetto dell’onere testamentario, non vi era dubbio che l’adempimento da parte del legatario dell’obbligo di trasferire alla sorella il bene in questione comportasse l’obbligo a carico di quest’ultima di prestare il proprio consenso al fine del trasferimento e della costituzione dei consequenziali diritti di servitù, con conseguente operatività dell’art. 2932 c.c..

In secondo luogo i ricorrenti principali assumono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto l’insussistenza dell’effetto vincolante della menzionata sentenza di questa stessa Corte n. 1933 del 1993 sul presupposto che detta sentenza avesse rilevato un mero vizio motivazionale, e non avesse enunciato il principio di diritto applicabile; in realtà la Corte di Cassazione non si era limitata a rilevare il mero difetto di motivazione, ma aveva enunciato i seguenti principi di diritto nella specie applicabili:

1) La condizione non può essere realizzata attraverso un atto unilaterale bensì solo attraverso un atto bilaterale, ed a tal fine la convocazione davanti al notaio è comportamento idoneo a realizzare l’avveramento della condizione;

2) P.R. doveva considerarsi parte che aveva interesse contrario all’avveramento della condizione ai sensi dell’art. 1359 c.c..

Pertanto il giudice di appello avrebbe dovuto attenersi a tali principi di diritto e conseguentemente accogliere la domanda riconvenzionale.

Infine i ricorrenti principali sostengono che comunque, anche a prescindere dalla vincolatività della richiamata sentenza di questa stessa Corte, era erronea l’affermazione del giudice di appello secondo cui P.R. non era parte del negozio cui la condizione era apposta, essendo invece quest’ultima destinatala degli effetti patrimoniali del negozio, ed avendo interesse contrario all’avveramento della condizione; ancor meno poteva essere condiviso il convincimento secondo cui nella specie ricorreva una condizione potestativa semplice, dipendente dalla volontà di P.R.:

invero l’avveramento della condizione dipendeva soltanto da P.S., al quale in forza del menzionato testamento veniva rimesso l’apprezzamento discrezionale di realizzare o meno la suddetta condizione.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, nell’esaminare il motivo di appello relativo alla domanda degli eredi di P.S. di accertamento dell’avveramento della condizione sospensiva apposta dalla testatrice A.G. al legato della casa sita in (OMISSIS), disposto in favore del figlio P.S., con conseguente declaratoria di avvenuto acquisto del bene in suo favore e trasferimento con sentenza costitutiva dell’immobile di proprietà di esso legatario, oggetto della suddetta condizione, alla sorella P.R., ha anzitutto disatteso la domanda di pronuncia di sentenza costitutiva in quanto l’operatività dell’art. 2932 c.c. presuppone la violazione di un obbligo a contrarre, sia esso di fonte legale ovvero negoziale, del tutto insussistente in capo a R. P.; ha poi negato alla sentenza di questa stessa Corte del 16- 5-1993 n. 1933 l’effetto vincolante attribuitole dagli appellanti, essendo pacifico che la causa tra le parti decisa con detta sentenza non era stata riassunta davanti alla Corte di Appello di Messina, e che la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Messina del 31-1-1989 era avvenuta solo per un vizio motivazionale; infine, nel negare la realizzazione della fattispecie di cui all’art. 1359 c.c. invocata dagli appellanti per avere più volte il loro dante causa convocato inutilmente la sorella P.R. davanti al notaio, ha ritenuto che la norma ora richiamata presuppone il mancato avveramento della condizione per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario, mentre nella fattispecie era decisivo rilevare che P.R. non era parte del negozio cui la condizione era apposta.

Orbene il convincimento espresso dalla Corte territoriale è corretto e quindi immune dai profili di censura sollevati dai ricorrenti principali.

Con riferimento anzitutto all’invocata operatività dell’art. 2932 c.c., è agevole osservare che l’obbligo di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto può trovare la sua fonte solo in un obbligo di natura negoziale o legale, e non può quindi discendere dalla volontà di un terzo, quale nella fattispecie il testatore.

Deve poi escludersi qualsiasi effetto vincolante alla sentenza di questa stessa Corte sopra richiamata, che invero aveva cassato la sentenza della Corte di Appello di Messina soltanto per vizio motivazionale; è infatti orientamento consolidato che, nel caso di estinzione del processo ai sensi dell’art. 393 c.p.c. per mancata riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, tale norma, nell’affermare l’affetto vincolante della sentenza di cassazione nel nuovo processo instaurato con la riproposizione della domanda, intende far salvo solo il principio di diritto enunciato dalla sentenza di legittimità (vedi "ex multis" Cass. 9-3-2006 n. 5104), nella specie insussistente.

Infine è infondato l’assunto dei ricorrenti principali secondo cui P.R. avrebbe dovuto essere ritenuta parte portatrice di un interesse contrario all’avveramento della condizione; in realtà la condizione suddetta era mista, in quanto dipendente in parte dalla volontà del legatario ed in parte da quella di un terzo, tale dovendosi intendere l’altra erede P.R. in relazione al legato in favore del coerede P.S.; ne consegue che il mancato verificarsi della condizione aveva precluso a quest’ultimo l’acquisizione dell’oggetto del legato.

Con il secondo motivo i ricorrenti principali, deducendo insufficiente motivazione, assumono che erroneamente la Corte territoriale ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti di condanna degli attori al risarcimento dei danni per il mancato sfruttamento del cinema (OMISSIS) in seguito alla diminuzione di valore subita per effetto sia della distruzione dell’avviamento sia per i deterioramenti subiti dai cespiti aziendali (immobile e mobili).

Premesso che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, tale domanda era stata introdotta già nella comparsa di risposta del 30- 12-1999, i ricorrenti principali rilevano che P.R. era stata nominata custode giudiziario dell’azienda cinema (OMISSIS) con provvedimento del 30-6-1984 del giudice istruttore del Tribunale di Catania convalidato con sentenza n. 38/1987 dello stesso Tribunale, e che la P. aveva condotto in affitto detta azienda, in base ad autorizzazione del giudice istruttore, dal 26-2-1985 al 28-3-1987, allorchè la Commissione Provinciale di Vigilanza aveva espresso parere contrario all’agibilità del cinema, con la conseguenza che il Questore di Catania con decreto del 3-4-1987 aveva sospeso la licenza per l’esercizio del cinema stesso; orbene è pacifico che sia il custode giudiziario sia l’affittuario di un bene hanno l’obbligo di mantenerlo nelle stesse condizioni in cui l’hanno ricevuto, cosicchè, anche se le spese richieste per l’adeguamento del cinema alle sopravvenute norme di sicurezza dovevano essere sostenute da entrambi i comproprietari e non solo dal custode, è incontestabile che spettava alla P., che si trovava nel possesso esclusivo del bene, assumere ogni iniziativa relativa al mantenimento in attività dell’azienda, o quantomeno avvisare il giudice e l’altro proprietario della necessità di effettuare le opere al fine di prendere una decisione circa il futuro dell’azienda stessa; la P. invece era rimasta al riguardo del tutto inerte e negligente.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha premesso che gli appellanti nella comparsa di risposta depositata nel giudizio di primo grado avevano dedotto la responsabilità di P.R., nominata custode del fabbricato adibito a cinema (OMISSIS) sottoposto a sequestro giudiziario, per i danni derivati sia dalla mancata fruttificazione, sia dalla diminuzione di valore subita dal cespite per la completa distruzione dell’avviamento, danni conseguiti alla chiusura, per ordine dell’autorità amministrativa, del suddetto cinema per inosservanza delle norme di sicurezza; ha aggiunto che nell’atto di gravame gli appellanti si erano doluti per l’insufficienza della motivazione per non aver considerato i danni per il deterioramento dell’immobile e per il deterioramento e la mancanza di beni mobili dell’azienda quale il gruppo elettrogeno; orbene, pur rilevando che tali ultime domande erano nuove, il giudice di appello ha ritenuto che P.R. aveva dimostrato, attraverso idonea documentazione fotografica, che il gruppo elettrogeno era al suo posto.

La sentenza impugnata ha poi osservato che nella specie, esaurita la fase gestionale dell’azienda cinematografica sotto la disciplina del contratto di affitto autorizzato dal giudice della cautela, la custode P.R., cui il giudice che l’aveva nominata non aveva imposto altri obblighi se non quello di versare una cauzione e di presentare il rendiconto trimestrale della gestione, si vide imporre la chiusura dell’esercizio commerciale per difetto di agibilità con provvedimento del 28-3-1987 della Commissione Provinciale di Vigilanza sui locali di pubblico spettacolo istituita presso la Prefettura di Catania; premesso poi che il custode può rispondere a titolo extracontrattuale nei confronti del titolare del diritto controverso qualora con il suo comportamento doloso o colposo abbia cagionato un danno a quest’ultimo, il giudice di appello ha affermato che nella specie nessun difetto di informazione era addebitabile a P.R., essendo risultato documentalmente che lo stesso P.S., evidentemente a conoscenza del suddetto provvedimento dell’Autorità amministrativa, aveva richiesto al giudice della cautela di consentire la riattivazione dell’esercizio attraverso la stipula di un contratto con la società cooperativa ARCI, ricevendo tuttavia in proposito un motivato rifiuto da parte dello stesso giudice; la Corte territoriale ha pertanto concluso che la domanda di risarcimento danni per il mancato sfruttamento del cinema Ideai era del tutto priva di base, con conseguente inutilità di disporre l’accertamento peritale al riguardo richiesto dagli appellanti.

Orbene con il motivo in esame i ricorrenti principali sostanzialmente addebitano a P.R. di aver omesso ogni iniziativa necessaria a scongiurare la chiusura del cinema (OMISSIS), trascurando di considerare che detto provvedimento era stato determinato, come evidenziato dalla sentenza impugnata, dalla mancata esecuzione dei lavori imposti dalle nuove disposizioni in materia di sicurezza nei locali di pubblico spettacolo, lavori che, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti principali, avrebbero comportato delle spese da porre a carico di entrambi i comproprietari del bene, e quindi a carico anche di P.S.; ed in proposito non è stato neppure dedotto che quest’ultimo fosse stato disposto a sopportare tali esborsi; anzi costui, nel richiedere al giudice della cautela l’autorizzazione alla stipula di un contratto di affitto di azienda con la cooperativa ARCI, la quale si sarebbe fatta carico di tutte le spese di adeguamento occorrenti, ha evidenziato implicitamente che non intendeva assumere in proprio "pro quota" tali oneri; nè d’altra parte il rifiuto della suddetta autorizzazione da parte del giudice poteva essere imputabile a P.R., come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata.

Del resto deve rilevarsi che i ricorrenti principali non hanno censurato la statuizione della sentenza impugnata che ha ritenuto superfluo disporre una CTU in relazione all’accertamento di danni in ordine ai quali non era stato offerto alcun elemento oggettivo di riscontro, e neppure hanno dedotto che tali danni erano stati provati.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 725 e 754 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento di un credito per le migliorie apportate da P.S. all’appartamento in (OMISSIS), in relazione alle opere eseguite anteriormente al 14-1-1970, data di apertura della successione di P.S. (nato nel 1896), sull’assunto che il costo di esecuzione di tali lavori costituiva un credito di P.S. (nato nel 1927) verso il padre regolato dall’art. 754 c.c., secondo cui gli eredi rispondono dei debiti del "de cuius" in base al valore della quota nella quale sono chiamati a succedere, e che in relazione a detto credito non sussisteva un diritto al prelevamento; in realtà il credito vantato da P. S. per i miglioramenti e le addizioni apportati al bene oggetto della comunione ereditaria dava diritto al prelevamento ai sensi dell’art. 725 c.c.; infatti la "ratio" della divisione ereditaria è proprio quella di definire tutti i rapporti inerenti alla comunione, mentre la "ratio" del prelevamento, che costituisce una delle operazioni propedeutiche alla divisione, è quella di far sì che le quote dei condividenti diventino uguali in modo che la divisione possa effettuarsi attraverso l’assegnazione o l’attribuzione delle porzioni mediante estrazione a sorte; non trovava invece applicazione nella fattispecie l’art. 754 c.c., che disciplina il pagamento dei debiti ereditari in favore dei terzi.

Il motivo è fondato nei termini che saranno chiariti e deve essere accolto per quanto di ragione.

La Corte territoriale ha accertato un credito per migliorie apportate dall’avvocato P.S. all’appartamento sito in (OMISSIS), in gran parte risalenti ad epoca anteriore all’apertura della successione di P.S. (deceduto il (OMISSIS)), credito quindi sussistente nei confronti di quest’ultimo; ha quindi rigettato la domanda degli eredi dell’avvocato P.S. che avevano chiesto il riconoscimento del loro diritto al prelevamento ai sensi dell’art. 725 c.c., ritenendo invece nella fattispecie l’operatività dell’art. 754 c.c., secondo il quale gli eredi rispondono dei debiti del "de cuius" secondo il valore della quota nella quale essi sono chiamati a succedere.

Tale convincimento non può essere condiviso.

Invero gli artt. 752 e 754 c.c. regolano rispettivamente la ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi ed il pagamento di tali debiti da parte dei coeredi con il conseguente diritto di rivalsa del coerede che ha pagato i creditori oltre la parte a lui spettante nei confronti degli altri coeredi; tali norme quindi disciplinano i rapporti tra coeredi da un lato e creditori del "de cuius "dall’altro, tra i quali ultimi quindi non può essere compreso il coerede che vanta un credito nei confronti del "de cuius".

Per altro verso neppure può riconoscersi ai ricorrenti principali un diritto al prelevamento ai sensi dell’art. 725 c.c., posto che l’art. 725 c.c. e dell’art. 724 c.c., comma 2 regolano la definizione dei rapporti obbligatori tra coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione, ai quali è evidentemente estraneo il credito vantato da un coerede nei confronti del "de cuius" e quindi della massa ereditaria.

Nondimeno deve ritenersi che non sussiste alcuna preclusione a far valere detto credito, invece che in un giudizio autonomo rispetto a quello di scioglimento della comunione ereditaria, nello stesso giudizio divisorio, sussistendo anzi ragioni di economia processuale a fondamento di tale assunto; infatti, considerato che nell’ambito del giudizio di divisione si realizza la finalità di definire tutti i rapporti di dare ed avere tra i coeredi, sia pure in dipendenza dei rapporti di comunione, deve ritenersi ammissibile definire in tale sede un rapporto obbligatorio che, pur avendo una natura diversa (come appunto il credito del coerede nei confronti della massa ereditaria), trova comunque la sua collocazione e la sua tutela nell’ambito della vicenda successoria che ha dato luogo alla comunione ereditaria.

Pertanto nella fattispecie il credito dei ricorrenti principali nei confronti del "de cuius"e quindi della massa ereditaria può essere fatto valere nell’ambito del giudizio divisorio con imputazione alle quote degli altri coeredi; da detto credito, peraltro, deve essere detratto un importo corrispondente alla quota di debito a carico, quale coerede, dello stesso avvocato P.S. (e dunque dei suoi aventi causa), per effetto della parziale estinzione, limitatamente a tale quota, del credito in questione per confusione (art. 1253 c.c.), non risultando che quest’ultimo abbia accettato l’eredità con beneficio di inventario.

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Venendo a tal punto all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con l’unico motivo articolato viene ribadita la domanda di risarcimento danni per la mancata coltivazione del fondo in (OMISSIS), nel possesso esclusivo di S. P., come si evince dai rendiconto da lui reso al giudice istruttore del Tribunale di Catania; in proposito i ricorrenti incidentali sostengono l’irrilevanza della giustificazione secondo cui la coltivazione del fondo non sarebbe stata più remunerativa, poichè in tal caso P.S. avrebbe potuto cedere il possesso dei bene alla sorella P.R., che avrebbe evitato sia la moria delle piante, sia la perdita di valore del fondo.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha anzitutto rilevato che non era stata fornita la prova del fatto dannoso (ovvero la moria delle piante di limone) cui neanche il CTU, incaricato di valutare eventuali danni all’agrumeto descritto in stato di abbandono, aveva accennato.

Inoltre il giudice di appello ha escluso che tale presunta moria delle piante potesse essere imputata al comportamento doloso o colposo della controparte, atteso che da un lato la mancata coltivazione appariva ampiamente giustificata dal costante andamento negativo della gestione per tutte le annate agrarie considerate nel rendiconto, e dall’altro che nulla vietava alla comproprietaria R. P., cessata la coltivazione del fondo in via esclusiva da parte del fratello, di provvedervi essa stessa, evitando che si verificasse l’asserita ma non provata moria.

Orbene in presenza di tali puntuali argomentazioni offerte dalla sentenza impugnata a sostegno del proprio convincimento, i rilievi sollevati dai ricorrenti incidentali si rivelano insanabilmente generici, in quanto non sono stati censurate nè l’inesistenza della pretesa moria delle piante nè la mancata redditività del fondo in questione; per altro verso neppure è stata specificatamente censurata la statuizione della Corte territoriale in ordine alla affermata possibilità per P.R., una volta cessata la coltivazione in via esclusiva del fondo da parte del fratello, di provvedervi personalmente onde scongiurare la lamentata moria delle piante.

Il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accoglimento per quanto di ragione del terzo motivo del ricorso principale, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania.

P.Q.M.

La Corte, Riunisce i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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