Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 22-07-2013, n. 31489

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 16.10.2012 il Tribunale di Catanzaro, costituito ex art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta da xxx avverso il provvedimento 04.10.1012 del Gip della stessa sede che aveva applicato nei suoi confronti la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di concorso in duplice omicidio e tentato omicidio pluriaggravati anche L. n. 203 del 1991, ex art. 7, fatti commessi in (OMISSIS). Nella circostanza due persone travisate avevano fatto irruzione nell’abitazione delle vittime, uccidendo a colpi d’arma da fuoco R. e I.B. e tentando di uccidere xxx. Il fatto di sangue era ritenuto dagli inquirenti provenire da appartenenti alla ‘ndrina Presta, egemone sul territorio, ed essere la ritorsione per l’uccisione, avvenuta un mese prima (il 17.01.2011), di P.D., figlio del capocosca P.F., all’epoca latitante, ad opera di xxx, legato da parentela alle vittime del fatto di cui al presente processo, peraltro confesso per tale omicidio.
Ciò posto, rilevava il Collegio del riesame come sussistessero gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato – che peraltro nulla aveva adotto a sua discolpa, avvalendosi della facoltà di non rispondere – che era stato riconosciuto, così come l’altro componente del commando (tale Sc.Do.), dal sopravvissuto xxx; costui in particolare aveva precisato che gli attentatori erano travisati con calze di nylon che consentivano però di vedere gli occhi; peraltro anche i tratti somatici generali e le movenze conducevano a persone conosciute, legate al P., di tal che era stato possibile anche effettuare riconoscimento fotografico positivo.
Tanto ritenuto, respingendo le deduzioni della difesa dell’indagato, il Tribunale riteneva: a) che le dichiarazioni della parte lesa De.
M.S. fossero pienamente utilizzabili, non essendo sostenibile l’ipotesi di favoreggiamento personale per le precedenti deposizioni reticenti della parte lesa che aveva spiegato che il proprio timore iniziale era venuto meno solo allorchè era stato arrestato, il 12.04.2012, il latitante P.F.; b) che non sussistessero le incongruenze descrittive lamentate dalla difesa, dovendosi ritenere saldo il nucleo centrale delle deposizioni, nonchè prive di intenti calunniatori; in tal senso non poteva essere rilevante che una zia del Si. avesse telefonato alla Polizia per riferire che quest’ultimo avrebbe confidato ad altra zia di aver riconosciuto lo stesso P.F. e S.C.; si trattava infatti di dichiarazioni de relato, superate dalle dichiarazioni dirette della vittima; c) era evidente la ragione dell’agguato, riconducibile alla risposta all’uccisione di P.D., e dunque al consolidamento della cosca Presta, dovendosi così convalidare l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, secondo dinamiche riferite anche dai collaboratori C.A. e F. G.; il dato era confermato, del resto, dalle foto dello S. ritratto insieme con l’ucciso P.D., nonchè da frasi commemorative, rinvenute nelle abitazioni dell’indagato, odierno ricorrente, e dello Sc..
La rilevante gravità dei fatti, le modalità di esecuzione ed il movente, riconducibile a dinamiche mafiose, rendevano poi evidente la sussistenza di esigenze cautelari di grado massimo, per forte e concreto pericolo di recidiva specifica.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto indagato che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova, in particolare argomentando – in sintesi – nei seguenti termini: a) il Tribunale aveva analizzato solo gli elementi di natura accusatoria, ignorando le censure difensive; era stata data in particolare piena credibilità alla parte lesa, nonostante che la stessa avesse reso in precedenza tre deposizioni con le quali si dava descrizione in fatto differente e discordante da quella poi sostenuta nei successivi verbali; si trattava non di dettagli, ma di elementi centrali riferiti sia alla dinamica dell’agguato che alla descrizione degli autori; b) vi era contraddittorietà della motivazione anche con riferimento al movente, incerto tra la ritorsione per l’uccisione di P.D. ed una non chiarita estorsione; c) era evidente che la parte lesa aveva voluto indirizzare le indagini; vi era non rilevata incongruenza sulla parlata di uno degli autori, all’inizio indicata dallo stesso xxx come dialetto di (OMISSIS), il che indirizzava sul P.F., non confacente ad esso ricorrente che è dello stesso paese del dichiarante; se avesse effettivamente riconosciuto esso indagato, lo avrebbe potuto individuare già per la voce, trattandosi di persona conosciuta; d) era stata illogicamente svilito il dato riferito dalla zia della parte lesa, D.M.M., che aveva riportato il riconoscimento che era stato fatto dallo stesso Si. in altra direzione; e) non era stato colto che la dinamica del fatto di sangue, così come narrata dal denunciante, non poteva essere accolta, anche perchè sulla sedia, sulla quale affermava di essere caduto, non vi erano tracce di sangue, il che ancora minava l’attendibilità della parte lesa.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere rigettato.
2. Il complesso accusatorio, invero, recepito prima da Gip e poi dal Tribunale del riesame, ben resiste alle critiche del ricorrente.
E’ infondato, infatti, il primo motivo di ricorso (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.a) nel quale l’indagato aggredisce la credibilità della parte lesa xxx sotto il profilo della non coerenza delle sue versioni, modificate nella rievocazione del subito agguato. Trattasi di argomento già proposto dalla difesa al Tribunale del riesame e da questo risolto in termini non censurabili, logici e coerenti, con riferimento all’intervenuto arresto, il 12.04.2012, del latitante P.F., temuto capo dell’omonima cosca. Tale fondamentale svolta nelle indagini ebbe a rimuovere, nel De.Ma., i perduranti (e ben comprensibili) tentennamenti, di tal che solo successivamente a tale evento te dichiarazioni della parte lesa, liberate dalle remore, acquisirono più ampio sviluppo descrittivo ed affidabilità soggettiva. Peraltro, sul punto -pur trattandosi di un teste e non di un collaboratore – deve questa Corte ricordare la consolidata giurisprudenza di legittimità, di valore più generale, in ordine al nucleo centrale degli apporti dichiarativi, che rimane saldo, rispetto a particolari meno importanti che ben possono essere confusi nel ricordo, perchè non focalizzati, specie in presenza di un contesto traumatico. La motivazione è dunque immune da vizi logici e risulta ben correlata ai dati di causa.
Il motivo è infondato.
Infondato è anche il secondo motivo dell’impugnazione (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.b) relativo al presumibile movente del gravissimo fatto di sangue. Non c’è dubbio, invero, che il Tribunale del riesame recepisce, e ritiene provato, il movente, rilevante ed adeguato, connesso alla vendetta per l’omicidio di D. P., in tal senso richiamando anche le dichiarazioni dei collaboratori C. e G. (e così confermando anche la specifica aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7); la questione circa precedenti pretese di tipo estorsivo è stata richiamata dal Tribunale di Catanzaro solo per lumeggiare il clima di contrasto che già serpeggiava tra i gruppi contrapposti, ma – con tutta chiarezza – siffatta (secondaria) vicenda non è stata assunta dal Collegio del riesame quale possibile movente del duplice omicidio. Il ricorso, sul punto, risulta pertanto eccentrico rispetto alla ratio decidendi.
Non ha pregio neppure il terzo motivo del ricorso (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.c) che riprende il tema dell’asserita scarsa credibilità di xxx, questa volta sotto il profilo del compiuto riconoscimento ed in particolare con riferimento al dialetto che avrebbe contraddistinto uno degli aggressori (o entrambi). Sul punto, strettamente legato al primo motivo del ricorso, devono senz’altro essere qui richiamate le considerazioni svolte in proposito (v. sopra). Le argomentazioni del ricorrente sulla prospettata rilevabilità di dialetti diversi, relativi a paesi dello stesso comprensorio, non possono essere apprezzati – allo stato, con gli strumenti disponibili – cha questa Corte; peraltro la pretesa di trarre conclusioni identificative sulla base delle poche parole pronunciate e, si ripete, in un contesto altamente drammatico, risulta francamente eccessiva. Il motivo è infondato.
E’ di certo infondato anche il successivo motivo di ricorso (v.
sopra, sub ritenuto, al p. 2.d) nel quale l’indagato ritorna sul tema della telefonata fatta alla polizia dalla zia del De.Ma.. Del tutto correttamente il Tribunale ha rilevato la scarsa rilevanza di tale contributo, incerto e doppiamente de relato, comunque superato dalle dichiarazioni dirette, già valutate come conclusivamente affidabili, della parte lesa. La motivazione del Tribunale è dunque logica e corretta. Il ricorso, anche sul punto, è infondato.
Anche l’ultimo motivo dell’impugnazione (v. sopra, sub ritenuto, al p. 2.e) non può trovare apprezzamento: esso ritorna sul tema dell’affidabilità del De.Ma., questa volta con riferimento alla descrizione della subita aggressione; si tratta di motivo versato in fatto, come tale non spendibile in questa sede di legittimità, e non fondato neppure in relazione alla tenuta logica della motivazione del provvedimento impugnato, poste le corrette argomentazioni svolte dal Tribunale; va poi qui ricordato quanto sopra già rilevato, in ordine sia alla situazione soggettiva del De.Ma., sia all’evolversi del suo contributo dichiarativo, sia infine al principio giurisprudenziale circa il c.d. nucleo centrale del narrato. Si tratta, del resto, di materia che, con tutta probabilità, sarà oggetto di approfondimenti e riscontri in corso di processo, anche di tipo scientifico; allo stato degli atti, comunque, la proposizione difensiva appare apodittica e non riscontrata, contraria alle evidenze fin qui disponibili. Il motivo non può essere accolto.
3. Il ricorso deve dunque essere respinto siccome infondato.
Al completo rigetto dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Deve seguire altresì la comunicazione prevista dall’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2013

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