Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 22-07-2013, n. 31488

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 30.10.2012 il Tribunale di Palermo, costituito ex art. 309 c.p.p., adito dall’indagato G.N. D.D., in parziale accoglimento dell’istanza difensiva, sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere, applicata con ordinanza 03.10.2012 del Gip della stessa sede, con gli arresti domiciliari da scontare in località (OMISSIS) lontana da quella dei fatti.

Il D.D. è indagato per omicidio del genero P.E. e per detenzione illegale di arma, fatti del giorno 01.10.2012.- Rilevava il Tribunale come fosse pacifico, per sua stessa ammissione, che l’indagato avesse ucciso il marito separato della figlia, sparando all’indirizzo di costui due colpi di fucile da caccia.

L’episodio andava inquadrato nel clima di alta conflittualità esistente tra le due famiglie, dovendosi peraltro rilevare come la vittima fosse stato autore di ripetute condotte minatorie nei confronti della controparte. La sera del fatto il Pilo, dopo varie telefonate nelle quali aveva minacciato di uccidere tutti, si era presentato al cancello della villa dell’indagato, ove da qualche tempo abitava la figlia di costui con le bambine, tentando di scavalcarlo, avendo in mano un coltello. Il Tribunale, ritenuto tutto ciò certo in fatto, escludeva che potesse essere configurata legittima difesa, nè la particolare ipotesi dell’eccesso colposo.

Peraltro il Collegio del riesame, facendo riferimento alla pronuncia n. 164/2011 della Corte Costituzionale in ordine all’art. 275 c.p.p., comma 3, riteneva che la condotta, occasionale, nata da un particolare contesto e posta in essere da persona incensurata e di età matura, non imponesse valutazione di inderogabilità della misura custodiale carceraria, risultando adeguati gli arresti domiciliari che venivano dunque concessi per essere eseguiti in località distante da quella, Palermo, in cui si era consumata la vicenda.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso l’anzidetto Tribunale che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare argomentando in sintesi nei seguenti termini: – gli elementi acquisiti non consentivano di superare la presunzione di adeguatezza della misura della custodia in carcere, potendo anzi i concessi arresti domiciliari sortire l’effetto di inasprire la conflittualità delle due famiglie; – vi era giudizio contraddicono, posto che il Tribunale aveva più volte rimarcato la gravità della condotta, mentre non poteva dirsi certo che la vittima al momento in cui venne uccisa effettivamente avesse in mano un coltello.

3. Con nota in data 03.05.2013 la difesa del D.D. resisteva al ricorso della pubblica accusa, indicandone i profili di inammissibilità.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.

2. Va premesso che l’impugnato provvedimento risulta pienamente legittimo, in quanto motivato, in punto adeguatezza della misura cautelare adottata, sul solco della fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale n. 164/2011 che ha consentito di superare il rigido automatismo che contrassegnava l’art. 275 c.p.p., comma 3, così ripristinando la praticabilità di misure meno afflittive, rispetto al carcere, nei casi – come certamente il presente- di circoscritta e ridotta pericolosità.

Nel merito, poi, il ricorso della pubblica accusa, generico ed apodittico, è totalmente infondato. E’ sicuramente generica la deduzione secondo cui la concessione degli arresti domiciliari potrebbe avere l’effetto di inasprire i contrasti tra le due famiglie, trattandosi di reazione ipotizzata sulla base di inferenze meramente congetturali ed aspecifiche, posto che non si confronta con l’assegnazione dell’indagato in una località ben lontana da quella dei fatti, proprio al fine di frapporre una distanza geografica che deve ragionevolmente tranquillizzare in tal senso. Allo stesso modo risulta illogica la deduzione della ricorrente accusa che invoca la gravità dei fatti ai fini della rilevanza delle esigenze cautelari, dopo avere preso atto che si trattava di condotta che si poneva quasi ai confini dell’esimente ex art. 52 c.p. e comunque in un contesto di subita minaccia, mancando comunque, pacificamente, esigenze cautelari di altro tipo rispetto al mero pericolo di recidiva; tale unico profilo, del resto, non può non essere valutato in relazione alla personalità dell’indagato, persona incensurata e di età matura, ed al particolare contesto in cui è maturato il delitto.

3. In definitiva il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile ex art. 91 c.p.p. e art. 606 c.p.p., u.c..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2013
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