Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-05-2013) 25-06-2013, n. 27762

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. – Con ordinanza deliberata in data 13 dicembre 2012, depositata in cancelleria il 14 dicembre 2012, il Tribunale di Lucca, quale giudice del riesame, rigettava la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di G.G. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 16 novembre 2012 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lucca avente ad oggetto alcuni beni immobili ed altro, provvedimento che veniva così confermato.
In via di premessa, il giudice chiariva che il sequestro era stato disposto nei confronti di G.A. e G.G., indagati del reato di cui alla L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31 (omessa comunicazione al nucleo di Polizia tributaria circa la variazione patrimoniale di persona sottoposta a misura di prevenzione) e L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies (trasferimento fraudolento di valori).
Il giudice argomentava la propria decisione rilevando sussistere sia il fumus del reato che il presupposto cautelare.
2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. xxx, ha Interposto tempestivo ricorso per cassazione G.G. e G.A. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare è stato rilevato dai ricorrenti, con un unico atto di ricorso, che non poteva in alcun modo essere configurato il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies sia sotto il profilo soggettivo che di quello oggettivo. Il G.A. non aveva aggirato le misure patrimoniali L. n. 575 del 1965, ex art. 10 posto che non era stato comprovato che i mezzi economici per la costituzione e la gestione della ditta individuale di cui G., il figlio, era titolare, provenissero da A. anche perchè essa ditta era stata istituita nel 2001 quando ancora A. era detenuto in carcere, mentre solo nel 2008 era entrato a far parte dell’attività economica del figlio.
Motivi della decisione
3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.
3.1 – E’ orientamento consolidato di questa Corte che il ricorso per cassazione in tema di misure cautelari reali, siccome limitato alla violazione di legge, è proponibile solo per denunciare la mancanza assoluta di motivazione dell’ordinanza di conferma di un sequestro preventivo circa la sussistenza dei presupposti idonei a legittimare detta misura cautelare (cfr., in termini, Cass., Sez. 2, 16 novembre 2006, n. 5225). E’ da escludere quindi la sindacabilità dell’illogicità manifesta della motivazione, di cui all’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), trattandosi di vizio non riconducibile alla tipologia della violazione di legge (cfr., in termini, Cass. Sez. Un. 28 maggio 2003 n. 12). E’ richiesto invece che la motivazione manchi assolutamente, ovvero sia del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, sì da non essere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero che le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate da rendere impossibile la percezione delle ragioni che hanno giustificato il provvedimento (Cass., Sez. 2, 14 novembre 2008, n. 4515S, Gasparro).
Nella specie in esame non può invece parlarsi di motivazione inesistente o meramente apparente dell’ordinanza impugnata. Il Tribunale del riesame ha infatti adeguatamente motivato circa la sussistenza, allo stato, di validi e concreti indizi, tali da far fondatamente ritenere che la ditta del figlio fosse gestita da G.A. con proventi illeciti richiamando sul punto le attività di indagine del Nucleo di PT della Guardia di Finanza di Lucca, nonchè dagli esiti di ascolto di cui all’informativa del 12 dicembre 2012 e la circostanza palese che il prefato operasse, senza alcun titolo apparente, all’interno della attività del figlio.
Peraltro, sottolinea il giudice, alcuna argomentazione era stata spesa da G.G. in relazione alla provenienza delle risorse finanziarie utili ad attivare l’impresa, poco rilevando la circostanza che, all’epoca della istituzione della ditta, l’ A. fosse ancora in carcere dal momento che ciò certamente non avrebbe impedito lo storno e l’immissione dei cespiti illeciti del prefato nell’attività del figlio.
4. – Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento ciascuno della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2013

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