Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-01-2011, n. 678

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno, le signore D. F. e M. I., proprietarie vicine di immobili prospicienti, agivano per l’annullamento del permesso di costruire n.38236 del 27 ottobre 2004 rilasciato in favore della signora S.A., con il quale il Dirigente del settore tecnico autorizzava la costruzione di un sottotetto a copertura del fabbricato a via Tramontano n.26 in Nocera Inferiore.

Il giudice di primo grado provvedeva nel seguente modo accogliendo il ricorso e annullando il permesso di costruire: 1) rigettava la eccezione di tardività, riconoscendo che le ricorrenti avevano agito entro il termine decadenziale decorrente dalla effettiva conoscenza (della ultimazione) dei lavori, né la controinteressata aveva dato prova della data di conoscenza di ultimazione dei lavori; 2) accoglieva la censura attinente alla violazione delle distanze, sostenuta dalle ricorrenti, ritenendo che si trattava di esecuzione di lavori che avevano determinato creazione di un nuovo volume utile per il proprietario, che non poteva quindi qualificarsi volume tecnico – come invece pretendeva la signora S. in applicazione di una norma del regolamento edilizio – essendo invece nuova fabbrica dotata di autonomia e determinante l’innalzamento della originaria altezza dell’edificio; 3) inoltre, si riteneva che in applicazione del principio generale di cui all’art. 3 del DPR 380/2001, dovesse essere disapplicato il regolamento edilizio contrastante con le previsioni diverse.

Avverso tale sentenza, ritenendola errata e ingiusta, propone appello la signora S., deducendo i seguenti motivi: 1) assoluto difetto di giurisdizione, comprovato dalla circostanza che le ricorrenti di primo grado hanno proposto azione ordinaria dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore sulla violazione delle distanze; 2) inammissibilità del ricorso originario, in quanto le due ricorrenti risiedono in zone diverse a diversa distanza, con conseguente differenza tra le norme applicabili alla controversia; 3) erroneità della sentenza nel punto in cui, ritenendo disapplicabile pur non impugnato e censurato il regolamento edilizio, ha ritenuto che nella specie si trattasse di costruzione da computare piuttosto che di un sottotetto costituente volume tecnico; 4) tardività del ricorso originario, in quanto notificato in data 27 aprile 2006, mentre il permesso di costruire è del 27 ottobre 2004 e i lavori sono iniziati in data 26 settembre 2005; 5) erroneità della sentenza, perché, al massimo, il permesso di costruire sarebbe viziato per la parte relativa alla violazione delle distanze; 6) carenza di istruttoria sull’accertamento effettivo della violazione delle distanze; 7) contestazione degli ulteriori vizi dedotti di difetto di istruttoria, in quanto il permesso di costruire è stato rilasciato su conforme e favorevole proposta del tecnico istruttore e previo parere favorevole dell’apposito Gruppo di valutazione.

Si sono costituiti con controricorso del 17 novembre 2009 la signora F.D. e la signora I.M. chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Si è costituito altresì il Comune di Nocera Inferiore chiedendo l’accoglimento dell’appello e ribadendo la legittimità del suo operato.

Con memoria del 28 maggio 2010 la signora D. F. ha insistito per il rigetto dell’appello.

I difensori dell’appellante S., nel depositare brevi memorie di replica per l’udienza del 15 giugno 2010, hanno depositato certificato di morte della signora D. F. e atto di rinuncia a tutti gli effetti della sentenza impugnata n.3317 del 2009 del TAR Salerno, a firma della signora I.M.. In data 19 ottobre 2010 l’appellante ha depositato altresì atto di transazione e rinuncia da parte della appellata signora M. I..

Alla udienza pubblica del 17 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. E’ infondato il primo motivo di appello con il quale si deduce il difetto di giurisdizione, comprovato dall’esperimento dell’azione dinanzi al giudice civile per il rispetto delle distanze.

Costituisce principio consolidato e pacifico che in tema di distanze fra costruzioni o di queste con i confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti dell’autore dell’attività edilizia illecita (con competenza del G.O.) e, dall’altra, dell’interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell’amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita, permessa (conosciuto dal G.A.).

Il privato, che si ritiene danneggiato da un’attività edilizia autorizzata, che ha violato le norme in tema di distanza fra costruzioni o di queste con i confini, ha diritto alla c.d. " doppia tutela " che si caratterizza per essere concorrente ma separata per le diverse posizioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse.

Pertanto per tali controversie la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, qualora si tratti di impugnazione del relativo provvedimento per l’annullamento di quest’ultimo, poichè in tal caso si fa valere una posizione di interesse legittimo, mentre spetta al giudice ordinario, qualora venga richiesto il risarcimento del danno, ovvero alla rimozione dell’opera (in tal caso infatti è implicita una richiesta di disapplicazione dell’atto medesimo) (in tal senso, tra tante, si veda Consiglio Stato, sez. V, 24 ottobre 1996, n. 1273).

La controversia derivante dalla impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali costituisce una disputa non già tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione, nella quale la posizione del primo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione (anche e certamente) al giudice amministrativo.

2. E’ altresì infondato il motivo di appello con il quale si lamenta la inammissibilità del ricorso collettivo, proposto insieme dalle due ricorrenti odierne appellate, che si troverebbero in situazioni diverse, a partire dalle diverse distanze dalla contestata costruzione.

E’ pacifica la ammissibilità del ricorso collettivo, proposto da una pluralità di soggetti, quando non sussista un conflitto di interessi tra i ricorrenti, nel senso che l’interesse sostanziale fatto valere non presenta punti di contrasto o conflitto, poiché l’eventuale accoglimento del gravame avanti al giudice amministrativo può tornare a vantaggio di tutti (così non sarebbe, per esempio, se in virtù dell’accoglimento per mancato rispetto delle distanze, l’arretramento del fabbricato portasse a una nuova violazione nei confronti di un ricorrente e non dell’altro; Consiglio di Stato, IV, 14 ottobre 2004, n.6671).

Va considerato, inoltre, che, come si vedrà in seguito, la ricorrente appellata M. I. ha transatto in relazione alla controversia (anche innanzi al giudice civile) rinunciando espressamente alla esecuzione della sentenza appellata e agli effetti della medesima, rinunciando altresì all’azione esperita innanzi al giudice amministrativo anche per il futuro.

Nel processo amministrativo il ricorso collettivo è ammissibile se i ricorrenti agiscono a tutela di posizioni analoghe e lese da atti aventi identico contenuto (Consiglio di Stato, V, 11 dicembre 2008, n.6162).

3.E’ da rigettare anche l’altro motivo di appello con il quale si lamenta la tardività ricorso originario

La lesività della concessione o del permesso di costruire può essere apprezzata dal vicino che se ne dolga esclusivamente alla data di ultimazione dei lavori, se solo in tale momento è consentito avere piena cognizione della esistenza e della entità delle violazioni edilizie, per cui a tale fine è insufficiente fare riferimento all’atto del permesso di costruire o soltanto all’inizio dei lavori, incombendo, tra l’altro, la prova della eventuale tardività alla parte che la eccepisce (ex plurimis, Consiglio di Stato, V, 5 febbraio 2007, n.452).

4.E’ infondato il motivo di appello con il quale si sostiene la qualificazione giuridica di mero "volume tecnico" del sottotetto assentito.

Infatti, sono volumi tecnici soltanto quelli la cui funzione è necessaria e strumentale per la utilizzazione dell’immobile, mentre devono necessariamente essere computati i volumi utilizzabili o adattabili ad uso abitativo (in tal senso, per esempio, Consiglio di Stato, V, 19 gennaio 2009, n.236).

Se pertanto la struttura costituente la copertura di un edificio già esistente non può ex se costituire una sopraelevazione, poiché in tale caso l’attività edilizia viene ad essere volta solo ad assicurare il permanere di un accessorio indispensabile per l’immobile, tuttavia quando l’esecuzione dei lavori comporti innovazioni tali da determinare la creazione di un nuovo volume utile per il proprietario, è evidente che l’opera non può non qualificarsi come sopraelevazione, trattandosi, nella specie, di nuova fabbrica dotata di autonomia e determinante l’innalzamento della originaria altezza dell’edificio.

I volumi tecnici sono quindi solo quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo della abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno; pertanto non sono tali – e sono computabili quindi ai fini della volumetria consentita – le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero; e non è volume tecnico un piano di copertura, definito impropriamente sottotetto, se costituente in realtà una mansarda, come nel caso di specie, in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 13 maggio 1997, n.483).

5. E’ infondato il motivo di appello con il quale si deduce (e lo deduce anche il Comune di Nocera Inferiore nella memoria difensiva) la erroneità della sentenza nel punto in cui ha di fatto disapplicato, senza che fosse ritualmente impugnato e annullato, il regolamento edilizio comunale laddove esso stabiliva (art. 23) una specifica disciplina quanto alle distanze, ai sottotetti e alla definizione di volumi tecnici.

Infatti, come ha bene ricordato il giudice di primo grado, il secondo comma dell’art. 3 del t.u. edilizia prevede che in ordine alle definizioni di cui al primo comma del medesimo articolo, esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.

Si tratta quindi di una prevalenza che vale certamente in ordine alle formule definitorie difformi, fermo restando il ruolo dello strumento urbanistico locale, che rimane arbitro della situazione (per esempio, vietando, consentendo, imponendo limiti e così via).

La individuazione analitica delle varie tipologie di interventi, effettuata all’art. 3 in una gerarchia ascendente, a seconda della incidenza sull’assetto del edilizio e territoriale, prevale quindi sulle eventuali diverse formulazioni definitorie contenute nei piani regolatori, nella normativa tecnica di attuazione e nei regolamenti edilizi: si tratta di una forma di abrogazione implicita, di cedevolezza, di prevalenza, di resistenza o disapplicazione delle disposizioni degli strumenti urbanistici locali (lo strumento o l’istituto al quale si ricorre può essere vario), che cedono di fronte alle definizioni dettate dalla fonte primaria (anche se trattasi di testo unico adottato con la forma del D.P.R.), le quali hanno un grado di durezza e una efficacia cogente tali da prevalere su ogni altra contraria definizione, acquistando anche la valenza di un criterio ermeneutico generale per la intera disciplina urbanisticoedilizia su base locale.

6.In ordine alla rinuncia all’azione, al ricorso originario e agli effetti della sentenza, effettuata soltanto dalla ricorrente M. e non anche dalla D.,a causa della intervenuta transazione, il Collegio osserva che è ammissibile la rinuncia all’impugnazione proposta solo da alcuni dei ricorrenti nel caso di ricorso collettivocumulativo, la quale comporta l’estinzione del giudizio stesso solo per la parte relativa ai ricorrenti che hanno rinunziato, a causa della autonomia delle azioni.

La rinuncia al ricorso, seppur proposta da uno solo dei soggetti insorti uno actu contro l’impugnato provvedimento e non notificata a nessuno degli altri, deve ritenersi ammissibile atteso che il ricorso collettivo, ancorché cartolarmente unitario, si caratterizza per l’autonomia delle singole azioni che in esso si esprimono, sicché le iniziative di ordine processuale assunte da uno dei ricorrenti non sono in grado di pregiudicare la posizione degli altri nè tanto meno di estinguere il giudizio anche per essi.

La rinuncia in appello al ricorso di primo grado e agli effetti della sentenza che lo ha concluso configura una causa estintiva del giudizio che comporta, ai sensi dell’art. 34 comma 1, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, l’annullamento senza rinvio della sentenza appellata, configurandosi come una ipotesi di sopravvenuto difetto di interesse alla decisione (così tra tante, Consiglio Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 3783).

La rinuncia al ricorso da parte dell’appellato vittorioso in I grado configura un’ipotesi di estinzione del giudizio la quale determina, ai sensi dell’art. 34 comma 1 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata nella parte in cui contiene statuizioni, in caso di pluralità di appellanti, nei confronti dei rinuncianti (Consiglio Stato, sez. V, 27 maggio 1993, n. 637).

In applicazione del nuovo codice di rito, la rinuncia al ricorso determina la improcedibilità del ricorso originario (art. 35 comma primo lettera c)) ovvero la estinzione del giudizio (secondo comma dell’art. 35).

Nella specie, però, si è in presenza di una sentenza che non può essere annullata senza rinvio, a causa della circostanza che nessuna rinuncia risulta effettuata dall’altra ricorrente, con conseguente permanenza dell’effetto demolitorio statuito in primo grado.

Conseguentemente, deve ritenersi che in assenza di alcuna rinuncia effettuata (anche) dalla ricorrente D., la quale ha proposto in fatto e in diritto una azione da ritenersi autonoma, non può annullarsi la sentenza di primo grado che va quindi confermata, unitamente al consequenziale annullamento dell’atto impugnato in primo grado.

7.Non rileva, inoltre, il deposito del certificato di morte della signora D., in quanto, in mancanza di dichiarazione effettuata dal suo difensore (art. 300 c.p.c.), la parte resta processualmente ancora in vita; d’altronde, alla parte che ha interesse ad evitare la interruzione del processo, non automatica nella specie, è possibile agire in riassunzione avverso gli eredi della parte defunta, cosa nella specie non avvenuta (art. 299 c.p.c.).

8.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Anna Leoni, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Raffaele Greco, Consigliere

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