Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-01-2011, n. 676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

La società I.F. S.r.l. ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Campania, accogliendo il ricorso proposto dai signori R.M.M. e A.M., ha condannato il Comune di Alife e la medesima società I.F. S.r.l., in solido, al risarcimento del danno cagionato ai ricorrenti per effetto di illegittima occupazione di un suolo di loro proprietà con irreversibile trasformazione, previa adozione di un provvedimento di acquisizione dell’immobile ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327.

A sostegno dell’impugnazione, la società appellante ha dedotto:

1) omesso esame ed omessa motivazione in ordine a fatti e circostanze determinanti ai fini della decisione (con riferimento al fatto che le istanti avevano, in precedenza, espressamente dichiarato di condividere la determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione loro comunicata, con ciò precludendosi qualsivoglia successiva azione risarcitoria);

2) motivazione contraddittoria (essendo la responsabilità dell’illecito addebitabile esclusivamente al Comune di Alife, il quale non ha provveduto all’adozione di un formale decreto di esproprio pur dopo la scadenza del termine quinquennale di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità);

3) errore nella valutazione della C.T.U. per omesso esame della C.T.P. e mancata adesione all’istanza di chiedere chiarimenti al C.T.U. (con riferimento alle modalità di individuazione dei criteri per la quantificazione del danno risarcibile).

Gli appellati, signori R.M.M. e A.M., si sono costituiti per resistere all’appello, assumendone l’infondatezza e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

Il Comune di Alife, costituitosi, ha a sua volta impugnato la medesima sentenza in via incidentale, sulla base dei seguenti motivi, solo in parte sovrapponibili a quelli di I.F. S.r.l.;

I) eccesso di potere per carenza di motivazione, omessa pronuncia sulle eccezioni dedotte dal resistente Comune di Alife (con riferimento: alla affermata esclusiva responsabilità di I.F. S.r.l., che era stata delegata dall’Amministrazione comunale anche per gli adempimenti relativi alla procedura di esproprio; alla eccepita improcedibilità del ricorso per difetto di interesse, essendo sopravvenuta apposita delibera di proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità; alla eccepita inammissibilità dell’impugnazione, avendo gli istanti a suo tempo accettato la determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione; all’eccepito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo);

II) eccesso di potere per insufficienza ed erroneità della motivazione, errore nei presupposti (con riferimento alla ritenuta applicabilità alla fattispecie del d.P.R. nr. 327 del 2001 ed ai criteri seguiti dal T.A.R. per l’individuazione e quantificazione del danno risarcibile).

Anche ai rilievi dell’Amministrazione gli appellati hanno analiticamente replicato, con apposita memoria.

Alla camera di consiglio del 25 agosto 2009, questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Infine, all’udienza del 5 novembre 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. I signori R.M.M. e A.M. hanno agito dinanzi al T.A.R. della Campania per ottenere il risarcimento del danno loro cagionato dall’illegittima occupazione di suoli in loro proprietà per la realizzazione di un programma di edilizia residenziale agevolata e convenzionata; tale intervento, delegato dal Comune di Alife alla società I.F. S.r.l., era stato dichiarato di pubblica utilità con delibera consiliare nr. 23 del 22 settembre 2001, nella quale erano altresì fissati rispettivamente in due e cinque anni il termine iniziale e finale delle espropriazioni e dei lavori.

Tuttavia, malgrado l’esecuzione dei lavori con conseguente irreversibile trasformazione dell’immobile, e nonostante la scadenza del termine massimo suindicato, nessun decreto definitivo di esproprio risultava essere stato adottato.

Il giudice adito, in accoglimento del ricorso, ha ordinato all’Amministrazione comunale di adottare un provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, ed ha altresì condannato la medesima Amministrazione e la società I.F. S.r.l., in solido, al risarcimento cagionato ai ricorrenti da liquidarsi sulla base dei parametri individuati all’esito di apposita C.T.U.

Avverso tale sentenza insorgono oggi la I.F. S.r.l. e, con appello incidentale improprio, il Comune di Alife.

2. In ordine logico, vanno esaminati prioritariamente i motivi di impugnazione con i quali il Comune di Alife ripropone alcune eccezioni preliminari non esaminate dal primo giudice, e fra esse va in via preliminare delibata quella con cui si assume l’inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

L’eccezione è però infondata.

Infatti, pur senza approfondire la disciplina della giurisdizione in materia espropriativa oggi introdotta dal Codice del processo amministrativo, già in precedenza la giurisprudenza era consolidata nel senso che fossero devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si facesse questione, anche ai fini complementari della tutela risarcitoria, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità, con essa congruenti e ad essa conseguenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non fosse poi sfociato in un tempestivo atto traslativo ovvero fosse stato caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. un., 9 febbraio 2010, nr. 2788; Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 2010, nr. 6861; C.g.a.r.s., 26 maggio 2010, nr. 741).

Tale è la situazione nel caso che occupa, e non certo – come vorrebbe l’Amministrazione appellante – quella di una controversia in materia di determinazione dell’indennità di espropriazione, che comportrebbe la devoluzione della relativa cognizione al giudice ordinario.

3. Va poi esaminato il motivo col quale si reitera l’eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuto difetto di interesse, sul rilievo del sopravvenire dell’ulteriore deliberazione nr. 23 del 28 dicembre 2007, mai impugnata dai ricorrenti, di proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità a tutto il 30 giugno 2008.

Il motivo è solo parzialmente fondato.

Sul punto, le parti appellate hanno rilevato che la delibera di proroga testé richiamata, essendo intervenuta in corso di causa e dopo la scadenza del termine quinquennale fissato nell’atto dichiarativo della pubblica utilità, sarebbe affetta da nullità per difetto assoluto di attribuzione, ma tale assunto non può essere condiviso.

Infatti, se è vero che un provvedimento di proroga del termine fissato nella dichiarazione di pubblica utilità può validamente essere adottato solo prima della scadenza del termine medesimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, nr. 3025; id., 22 dicembre 2003, nr. 8462; id., 25 marzo 2003, nr. 1545; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002, nr. 5443), tuttavia non può dirsi che la proroga tardivamente adottata sia nulla.

Ed invero, secondo l’opinione preferibile la nullità del provvedimento amministrativo per "difetto assoluto di attribuzione", oggi prevista dall’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, va circoscritta ai soli casi di incompetenza assoluta o di c.d. carenza di potere in astratto, ossia al caso in cui manchi del tutto una norma che attribuisca all’Amministrazione il potere in fatto esercitato, e non anche ai casi di c.d. carenza di potere in concreto, ossia di potere (pur astrattamente sussistente) esercitato in assenza dei presupposti di legge.

Tale è certamente il caso della delibera di proroga qui in esame, la quale oltre tutto era certamente nota agli odierni appellati quanto meno dall’11 maggio 2009, allorché fu depositata agli atti del giudizio di primo grado, e che pertanto avrebbe potuto e dovuto essere da essi censurata con motivi aggiunti.

Tuttavia, poiché tale proroga ha esaurito i propri effetti in data 30 giugno 2008, e non essendo contestato che neanche entro tale data è intervenuto un formale decreto di espropriazione, la mancata impugnazione della ridetta delibera nr. 23 del 2007, lungi dal determinare l’improcedibilità in toto del ricorso di primo grado, ha il solo effetto di circoscrivere il danno risarcibile al periodo successivo alla menzionata data del 30 giugno 2008, con le ricadute che si vedranno quanto alla concreta determinazione del danno risarcibile.

4. Con ulteriore motivo d’impugnazione, l’Amministrazione comunale assume l’inapplicabilità ratione temporis della disciplina risarcitoria di cui al menzionato d.P.R. nr. 327 del 2001, essendo stata la dichiarazione di pubblica utilità emanata prima dell’entrata in vigore di tale testo normativo.

Il motivo è infondato.

Infatti, la Sezione ha anche di recente riaffermato il principio – dal quale in questa sede non si ravvisa ragione per discostarsi – secondo cui la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, prevista dall’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma, come testualmente si ricava anche dal successivo art. 57 che, richiamando i "procedimenti in corso", ha introdotto norme transitorie unicamente per individuare l’ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l’atto di acquisizione ex art. 43 è emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell’ambito di operatività della normativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, nr. 1762).

Siffatte conclusioni non mutano per la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità del menzionato art. 43, dovendo mantenersi fermo il principio dell’estraneità della fase risarcitoria al procedimento espropriativo propriamente detto e cambiando – come meglio appresso si dirà – unicamente lo strumento tecnicogiuridico attraverso il quale si realizza l’effetto traslativo della proprietà in favore dell’Amministrazione.

5. Un ulteriore motivo di doglianza, presente sia nell’appello del Comune di Alife che in quello di I.F. S.r.l., attiene alla asserita inammissibilità originaria del ricorso introduttivo per carenza di interesse, avendo gli espropriandi espressamente accettato la determinazione provvisoria dell’indennità di cui al decreto rettificato nr. 1 del 26 gennaio 2006, notificato agli interessati in data 18 maggio 2006.

Anche questo motivo è però infondato.

Al riguardo, vanno integralmente condivisi gli argomenti svolti dalle parti appellate, le quali hanno rilevato come la determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione di cui all’art. 20 del d.P.R. nr. 327 del 2001 costituisca soltanto il prodromo di una possibile cessione volontaria del bene espropriato, la quale deve però pur sempre perfezionarsi successivamente con l’accordo sulla misura definitiva dell’indennità di espropriazione; ne consegue che l’eventuale accettazione dell’indennità provvisoria da parte del proprietario espropriando ha il valore giuridico di una mera proposta irrevocabile, alla quale deve seguire il negozio di cessione volontaria di cui al comma 8 del citato art. 20, ovvero – qualora il proprietario si sottragga al proprio obbligo di contrarre, o comunque per qualsiasi ragione non intervenga l’accordo inter partes- l’adozione di un formale decreto di esproprio da parte dell’Amministrazione procedente.

Ne discende, secondo la giurisprudenza, che un eventuale accordo tra Amministrazione e proprietario sull’ammontare dell’indennità è destinato a perdere efficacia, qualora il procedimento espropriativo non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio (cfr. ex multis Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2002, nr. 6968; Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009, nr. 4022).

È appunto quanto avvenuto nel caso che qui occupa, atteso che la dichiarazione di "condivisione" della determinazione dell’indennità, pur espressamente sottoscritta dagli odierni appellati, non risulta aver avuto alcun seguito nei sensi sopra precisati; pertanto, legittimamente gli stessi espropriati, una volta verificatisi i presupposti di fatto dell’occupazione c.d. usurpativa, si sono attivati con la domanda risarcitoria oggetto del presente giudizio.

6. Privi di pregio sono anche i motivi di impugnazione, contenuti in entrambi gli appelli, con i quali ciascuna delle parti appellanti tende a escludere la propria responsabilità per i danni cagionati agli espropriati, accollandola in via esclusiva all’altro appellante.

In particolare, si assume da parte di I.F. S.r.l. che la mancata tempestiva emanazione del decreto di esproprio sarebbe esclusiva responsabilità del Comune, trattandosi di atto rientrante nell’esclusiva competenza di quest’ultimo; al contrario, l’Amministrazione comunale, rilevando che I.F. S.r.l. era stata delegata non soltanto per l’esecuzione dell’intervento edilizio, ma anche per l’effettuazione delle procedure di esproprio, afferma che la mancata adozione del decreto di esproprio sarebbe da ascrivere a esclusiva responsabilità della società delegata, non avendo la stessa dato impulso alla cessione volontaria dopo l’accettazione dell’indennità provvisoria da parte dei proprietari interessati.

Sul punto, giova richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, laddove la p.a. abbia non solo affidato ad altro soggetto la realizzazione dell’opera pubblica, ma anche delegato lo stesso per lo svolgimento delle procedure espropriative, in caso di danni cagionati all’espropriato per occupazione illegittima, si configura la responsabilità solidale tra delegante e delegato quante volte vi siano elementi idonei a evidenziare un concorso di colpa fra di essi (anche solo per omesso controllo del primo sul secondo), e salva la diversa conclusione cui può pervenirsi sulla base di concreti e specifici elementi che escludano la responsabilità dell’uno o dell’altro dei predetti soggetti (cfr. Cass. civ., sez. I, 4 giugno 2010, nr. 13615; Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2009, nr. 7444; id., 14 maggio 2007, nr. 2389).

Orbene, nel caso che occupa è evidente che alcun elemento è stato prodotto che sia idoneo a escludere il difetto di vigilanza dell’Amministrazione comunale sull’inerzia della società delegata, sicché risulta condivisibile la conclusione del primo giudice, che ha considerato solidalmente responsabili i due odierni appellanti (salva restando ogni questione afferente ai loro rapporti interni).

7. Una volta confermata la statuizione del primo giudice che ha condannato le parti odierne appellanti al risarcimento del danno cagionato dall’illegittima occupazione per cui è causa, va aggiunto che su detta statuizione non incide significativamente la recente sentenza della Corte Costituzionale nr. 293 dell’8 ottobre 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del più volte citato art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001.

Infatti, l’effetto di tale pronuncia si risolve nel rendere privo di effetto il decisum della sentenza impugnata nella parte in cui ha ordinato all’Amministrazione comunale di adottare un provvedimento di c.d. acquisizione sanante, ma ovviamente non elimina il dovere di ristorare i proprietari espropriati del pregiudizio cagionato dall’occupazione sine titulo: tanto più in un caso come quello di specie in cui, chiedendo unicamente il risarcimento per equivalente, i ricorrenti in primo grado hanno preso atto dell’irreversibile trasformazione dell’immobile e di fatto rinunciato alla restitutio in integrum (sul punto, cfr. C.g.a.r.s., 25 maggio 2009, nr. 486; id., 7 ottobre 2008, nr. 848).

A tale rinuncia tuttavia, formulata all’interno di un contesto normativo ben diverso da quello oggi conseguente alla caducazione del ricordato art. 43 (il ricorso introduttivo è stato notificato nel 2007), non può in alcun modo attribuirsi un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, nr. 290).

Pertanto, resta fermo il dovere dell’Amministrazione di addivenire a un accordo transattivo con gli appellati che determini il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile, accompagnandosi anche al doveroso risarcimento del danno da occupazione illegittima (come meglio appresso sarà precisato); del resto, una volta venuta meno la norma che attribuiva al soggetto pubblico il potere di determinare unilateralmente l’effetto traslativo, è chiaro che la produzione di quest’ultimo non può prescindere dal concorso della volontà dell’espropriato.

In questo senso, per vero, depone univocamente nella specie la condotta tenuta da entrambe le parti: da un lato, la parte privata – come detto – ha manifestato la propria disponibilità a rinunciare alla proprietà omettendo di chiedere la restituito in integrum; per altro verso, appare evidente la volontà dell’Amministrazione non solo di conservare il possesso, ma anche di acquisire la proprietà dell’opera pubblica realizzata con l’irreversibile trasformazione dell’immobile de quo.

8. Con riguardo a tale ultimo aspetto, va rilevato che quanto osservato in ordine alla legittimità del decreto di proroga dei termini fino al 30 giugno 2008, ed alla conseguente necessità che il danno risarcibile vada liquidato solo con riferimento all’occupazione successiva a tale data, comporta come effetto – indipendentemente dalle censure sviluppate dalle parti sul punto – il travolgimento di quanto statuito dal T.A.R. in ordine alla qualificazione del danno, laddove si è fatto riferimento a parametri (epoca della trasformazione irreversibile, valore venale dell’immobile nel periodo 20032006) che sono oggettivamente incompatibili con il parziale accoglimento dell’appello del Comune, sotto il profilo innanzi richiamato.

Ne discende che risultano superate anche le doglianze articolate in entrambi gli appelli in esame circa le modalità di calcolo del danno da risarcire e la C.T.U. all’uopo disposta dal primo giudice.

Al contrario, questa Sezione ritiene di dover provvedere in ordine al quantum del danno risarcibile ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., non risultando al riguardo alcuna espressa opposizione delle parti.

In particolare, dovrà farsi riferimento al periodo di illegittima occupazione a decorrere dal 1 luglio 2008 e fino alla data dell’atto con il quale, nei sensi sopra precisati, si realizzerà l’effetto traslativo della proprietà in favore degli espropriati, mentre per quanto concerne i criteri per la fissazione della somma da corrispondere, occorre distinguere tra due diverse voci logicamente e concettualmente distinte: non solo il danno da occupazione illegittima, quello conseguente alla mancata utilizzazione dell’immobile per il periodo di illegittimo spossessamento, ma anche il corrispettivo che le parti dovranno concordare per la cessione della proprietà.

Sotto tale ultimo profilo, dovrà aversi riguardo al valore di mercato dell’immobile non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l’istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell’Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo, come detto, ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l’effetto traslativo de quo.

Quanto al primo aspetto, i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale "capitale" di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andrano poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza.

In tal senso, e conclusivamente, le parti odierne appellanti dovranno formulare un’offerta risarcitoria e addivenire a un accordo con gli appellati, con la determinazione del corrispettivo della cessione secondo il criterio innanzi indicato.

Questa Sezione si riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, non solo di provvedere alla liquidazione del danno risarcibile in caso di mancato accordo sul quantum di esso, ma anche, più in generale, nell’ipotesi in cui non si addivenga all’accordo transattivo sopra indicato, di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione.

9. Tenuto conto del parziale accoglimento dell’appello del Comune di Alife, della conseguente revisione delle statuizioni del primo giudice e della novità delle questioni al riguardo esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando:

– accoglie in parte l’appello del Comune di Alife, come precisato in motivazione, e lo respinge per il resto;

– respinge l’appello di I.F. S.r.l.;

– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, provvede sulla domanda di risarcimento danni di cui al ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 5 novembre 2010 e 17 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Armando Pozzi, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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