Cass. civ. Sez. II, Sent., 24-08-2012, n. 14620

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Svolgimento del processo
C.D., proprietario di un fabbricato di nuova costruzione con più unità immobiliari sito in (OMISSIS), avendo necessità di accedere al fondo del vicino, C.A., per l’esecuzione di taluni lavori al proprio edificio, agiva innanzi al Tribunale di Brindisi affinchè gli fosse riconosciuto il diritto all’ingresso.
Nel resistere alla domanda, C.A. chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell’attore a chiudere le vedute e a demolire i balconi che aveva realizzato con aggetto sulla sua proprietà.
Erano, quindi, chiamate in causa xxx, acquirente di uno degli immobili costruiti da C.D., e, in ragione della proposta domanda riconvenzionale, xxx, coniuge di quest’ultimo.
Entrambe le parti chiamate si costituivano. xxx eccepiva la prescrizione di ogni diritto fatto valere dal C. A.; xxx protestava la propria estraneità al giudizio, essendo l’edificio in questione di esclusiva proprietà del marito.
Il Tribunale, ritenuta esistente la sola servitù di veduta, condannava i C. – D.M. e la R., per le rispettive proprietà, a demolire i balconi, e autorizzava l’accesso alla proprietà C.A. e la momentanea sua occupazione per quanto necessario a demolire i balconi e intonacare il fabbricato di proprietà attorea.
Impugnata in via principale dai coniugi C. – D.M. e in via incidentale da C.A. e da xxx, detta sentenza era confermata dalla Corte d’appello di Lecce.
Ritenuta infondata l’eccezione di tardività dell’appello incidentale di xxx, in quanto, ancorchè autonomo rispetto all’impugnazione principale, detto appello manteneva la propria natura incidentale anche quanto al termine di proposizione, nel merito la Corte salentina – per quel che ancora rileva in questa sede – riteneva che la condanna alla demolizione dei balconi ripetesse il proprio fondamento dal diritto dominicale sul fondo gravato dall’aggetto, diritto esteso allo spazio aereo sottostante alla proiezione verticale dei balconi. Nello specifico, osservava che questi ultimi, a differenza di mensole, cornicioni, canalizzazioni di gronda e simili, si caratterizzavano per una maggiore consistenza e ingombro, sicchè era ravvisabile l’interesse del proprietario del terreno sottostante, benchè quest’ultimo fosse privo di vocazione edilizia, a godere dell’immobile in tutte le sue parti di luice e di aria.
La Corte territoriale riteneva, altresì, che dovesse essere rigettato l’appello quanto alla domanda di risarcimento dei danni, priva di concrete e specifiche allegazioni atte a configurare, ove dimostrate, una perdita economica per lucro cessante da mancata vendita o mancata locazione degli immobili.
Avverso detta sentenza C.D. e xxx propongono ricorso per cassazione, affidato a due articolati motivi.
Resiste con controricorso C.A., che propone, altresì, ricorso incidentale affidato a due motivi.
C.D. e xxx hanno proposto, a loro volta, controricorso al ricorso incidentale.
xxx non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente vanno riuniti i due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
2. – Sempre in via preliminare va rilevata l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto da C.A. nei confronti di xxx, per inesistenza della relativa notificazione, indirizzata a lei personalmente a mezzo posta presso la cancelleria della Corte d’appello di Lecce, ove è risultata (ovviamente) sconosciuta.
2.1. – Detta inammissibilità assorbe l’esame del primo motivo del ricorso incidentale, col quale C.A. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 343, 325 e 326 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (rectius, 4), nella parte in cui la sentenza d’appello ha rigettato l’eccezione d’inammissibilità e/o improcedibilità dell’appello proposto tardivamente da A.R. R..
3. – Ancora in via preliminare, va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso principale per inadeguata formulazione dei quesiti di diritto. Rivolto avverso una sentenza pubblicata prima del 2.3.2006, data a decorrere dalla quale si applicano le modifiche processuali apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, introduttivo dell’art. 366-bis c.p.c., il ricorso non è soggetto a quest’ultima norma.
4. – Con il primo motivo, articolato in tre censure, parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 840, 905, 1058, 1065 e 1350 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione sul punto controverso della inclusione o non nella dizione di veduta ed affaccio di balconi aggettanti sul fondo servente, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
4.1. – Con la prima censura si deduce che all’esito del giudizio di primo grado era stato accertato che la cd. zona verde della proprietà C.A. era gravata, in forza dell’atto pubblico 12.5.1966, costituente titolo di provenienza della proprietà attorea, da servitù di veduta e di affaccio, sui lati nord e ovest per i tratti vincolati a verde dalla commissione edilizia. Ciò posto, si sostiene che dal diritto di aprire vedute, ai sensi dell’art. 905 c.c., non può essere scisso quello di creare dei balconi, che ne costituiscono, al pari delle finestre, il mezzo di esercizio. Pertanto, la previsione contrattuale di una servitù di veduta ed affaccio, interpretata secondo i canoni indicati dall’art. 1363 c.c., si estende alla realizzazione di balconi aggettanti direttamente sull’area asservita, prevalendo sul diritto dominicale.
4.2. – La seconda censura allega la violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendo rilevabile d’ufficio, a giudizio dei ricorrenti, la presunta violazione dell’art. 840 c.c. in assenza di "apposita domanda di una delle parti", e costituendo il silenzio serbato sul punto dall’avente diritto un’implicita accettazione del diritto del confinante di occupare il soprasuolo.
4.3. – La terza critica lamenta il fatto che la sentenza impugnata non abbia tratto dalla dizione di "servitù di veduta ed affaccio" la conseguenza che, a norma dell’art. 900 c.c., siano compresi anche balconi aggettanti sul fondo servente.
5. – La prima e la terza censura, da esaminare congiuntamente perchè espressione, sotto profili interagenti, di una medesima tesi di diritto, sono infondate.
La servitù di veduta e quella esercitata mediante un balcone aggettante sul fondo gravato soddisfano interessi e determinano pesi differenti, di guisa che la prima non include totalmente la seconda.
Infatti, la veduta esaurisce la propria utilitas nella maggiore amenità arrecata al fondo dominante (cfr. Cass. n. 4042/79), lì dove il balcone aggettante associa a tale vantaggio quello ulteriore costituito dall’incremento di superficie dell’unità immobiliare cui accede, e della quale costituisce un prolungamento (cfr. su tale ultima notazione, Cass. nn. 6624/12, 15913/07 e 14576/04).
Correlativamente diverso è il peso che grava sul fondo servente, che nel primo caso subisce solo una menomazione in termini di privatezza, mentre nel secondo sopporta anche la compressione della facoltà di utilizzare in altezza la porzione del fondo sottostante il balcone.
Ne consegue che il titolo negoziale costitutivo di una servitù di "veduta ed affaccio" non implica di per sè – assenti specifiche indicazioni di segno diverso e tenuto conto che la nozione di affaccio è comune tanto alle vedute dirette, quanto ai balconi – la facoltà del proprietario del fondo dominante di esercitare la veduta tramite un balcone aggettante, la cui realizzazione viola, pertanto, l’art. 840 c.c. (in senso conforme, v. Cass. n. 1955/89, che ha ricollegato la violazione di detta norma all’arbitraria veduta realizzata mediante la realizzazione di un balcone invasivo dello spazio aereo sovrastante il suolo altrui).
5.1. – Ritenendo che per la consistenza e l’ingombro dei balconi fosse ravvisabile l’interesse del proprietario del terreno gravato ad evitare la correlata riduzione di godimento del fondo, la Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto anzi detto, per cui non ricorre la denunciata violazione di legge.
5.2. – E’ sufficiente osservare, poi, quanto alla seconda censura del primo motivo, che oggetto di domanda o di eccezione non è l’accertamento della violazione di una norma piuttosto che di un’altra, ma l’effetto di giudicato sostanziale richiesto nei confronti della parte avversa, essendo invece esclusivo compito del giudice selezionare, indipendentemente dalle allegazioni delle parti, le esatte disposizioni di legge applicabili nell’affermare o negare tale effetto.
6. – Il secondo motivo (erroneamente rubricato come terzo) denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2 e dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1223 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3.
Con esso parte ricorrente lamenta che la Corte d’appella non si sia pronunciata sul danno da infiltrazioni d’acqua, sebbene ne fosse stato richiesto il risarcimento, con conseguente omessa pronuncia.
Quanto, poi, alla statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno per mancata vendita o locazione degli appartamenti, parte ricorrente sostiene che la pretesa non sia stata contestata in maniera specifica, sicchè l’esistenza del fatto lesivo della sfera patrimoniale dei coniugi C. – D.M. può ritenersi pacifica, e comunque è un dato di comune esperienza che un appartamento privo di finiture esterne da alcuni lustri ha minore appetibilità sul mercato, di guisa che il relativo danno ben avrebbe potuto essere liquidato in via equitativa.
7. – Entrambe le censure difettano del requisito di autosufficienza (su cui v. da ultimo e per tutte, Cass. n. 9108/12), la prima non indicando in qual modo e in quale atto sia stata introdotta, all’interno della domanda risarcitoria, anche la richiesta di reintegrazione per danni da infiltrazioni d’acqua, la seconda non specificando le difese di parte convenuta che autorizzerebbero a ritenere non controverso il fatto costitutivo della pretesa.
7.1. – Quanto alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., va osservato che la normale potenzialità lesiva di una situazione di fatto oggettivamente pregiudizievole non implica di necessità l’esistenza, e dunque la prova, del danno, che richiede la prioritaria allegazione dei fatti che sorreggono la domanda.
8. – Il secondo motivo dell’impugnazione incidentale denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza d’appello, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte territoriale, nell’affermare esistente, in favore delle proprietà C. – D.M. (e R.), il diritto di aprire vedute sulla facciata dell’edificio confinante col fondo di proprietà C.A., perchè previsto nel titolo di proprietà, è immotivata e contraddittoria, perchè non tiene conto delle risultanze della relazione del c.t.u. e non è supportata da un coerente ragionamento logico.
9. – Il motivo è inammissibile per la sua totale genericità, poichè non chiarisce, nè trascrive, nè almeno puntualizza quali sarebbero gli elementi di natura tecnica, emersi dall’attività dell’ausiliario, da cui dovrebbe desumersi l’inesistenza del diritto vantato dai C. – D.M..
10. – Per le considerazioni svolte, sia il ricorso principale, sia quello incidentale proposto verso i C. – D.M., vanno respinti.
11 – La soccombenza reciproca legittima l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale nei confronti dei ricorrenti C. – D. M., dichiara inammissibile il ricorso incidentale nei confronti di xxx e compensa integralmente le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2012

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